Hic sunt leones,
(Qui ci sono i leoni)
AIDEN
Stavo iniziando a detestare con tutto me stesso il corridoio asettico adibito a sala d'aspetto per le sedute di fisioterapia, eppure anche quella mattina ero stato trascinato lì, stavolta era stato Andrew a portarmi. Lui era chiaramente preso dai suoi pensieri, stava in piedi accanto a me, appoggiato contro il muro, ma non era davvero lì.
Lo trovavo spesso con quell'espressione preoccupata sul viso a fissare un punto non specificato davanti a lui, dubitavo che trasportarmi in giro per Brooklyn fosse il massimo del divertimento, forse era già stanco di me. Forse aveva iniziato a pentirsi di essere stato tanto gentile da permettermi di vivere in casa sua. Mi ponevo quelle domande tutti i giorni ormai, non perché Andrew si fosse mai mostrato sgarbato o infelice della mia presenza, era soltanto un grosso dubbio che andava a incrementare il resto.
- Puoi andare, tanto qui si aspetta sempre ... non finirò prima di due ore – avevo detto in un disperato tentativo di alleggerire quel suo strano stato d'animo.
Andrew mi aveva messo a fuoco poco dopo, era chiaro che aveva dimenticato dove si trovasse.
- Tranquillo, ti farò compagnia fino a quando non ti chiamano
Gran bella compagnia, pensai, ma ebbi la decenza di tacere.
- Perché? Temi che possa darmela a gambe da questo schifo? Magari potessi. Sfortunatamente al momento non posso neanche muoverle le gambe, quindi ... - risi amaramente, passando la mano sul metallo freddo della sedia che mi sorreggeva. Quanto la detestavo.
- Hai detto bene. Al momento. Vedi di comportarti bene con il dottore stavolta, altrimenti niente ali di pollo da Nando's.
- Ah, adesso tiri fuori le minacce, eh? E che minacce ... figlio di puttana. Non si scherza con quelle!
Andrew fece l'occhiolino – Ti tengo per le palle.
Stavo per aggiungere qualcosa quando realizzai che non eravamo più da soli. C'era una ragazza in piedi davanti a me, mi fissava con una certa curiosità negli occhi scuri. Soltanto ad una seconda occhiata notai che si reggeva ad una stampella e non ci misi molto a realizzare che era stata mandata lì dal dottor Gillian, forse con la vana speranza di farmi sentire meno solo e dannato in quel viaggio.
La mia faccia non doveva mostrare granché entusiasmo quando si presentò a me, ma cercai di mandare giù quel boccone amaro e qualche attimo dopo ci ritrovammo a parlare.
Era una ragazza piuttosto nella norma, capelli e occhi scuri, la parte che più spiccava era la pacatezza che sembrava emanare.
- Com'è successo? – chiesi quando sentii che con i convenevoli poteva bastare.
Paige si era seduta accanto a me da un pezzo, non ero sicuro che mi importasse di sentire la sua storia, ma in qualche modo ne ero incuriosito ormai.
- E' successo durante una vacanza in montagna. Io e mio padre amiamo sciare ... quel giorno però le condizioni meteo non erano buone, abbiamo confuso la segnaletica e siamo finiti su un'altra pista. Durante la discesa ho preso in pieno un albero. Il danno è stato assurdo, sono rimasta in coma per tre mesi ...
- Dannazione ... - ero colpito – mi hai battuto.
La vidi ridere, ne parlava con una tale tranquillità da rendere tutto ancora più assurdo
- Beh, nel volo mi sono spezzata anche la schiena, oltre al trauma cranico. Sono passata sotto ben otto operazioni prima di mettermi in piedi. Senza contare i due anni di fisioterapia ...
- Due anni?
- Te l'ho detto, non ero messa benissimo – ancora quel tono pacato, come chi stesse parlando del più e del meno e non di un dannato incidente che per poco non le era costato la vita.
- Continuo a non capire perché Gillian ti abbia mandato qui. Mi dispiace per quello che ti è successo, ma non vedo come la tua storia possa rendere la mia situazione meno schifosa – dissi sinceramente.
Paige non se la prese – Non è questo lo scopo. Credo che sia importante parlarne, Aiden. Poter confrontarsi con qualcuno che ci è già passato ... perché diciamocelo, nessuno di loro sa cosa significhi trovarsi immobilizzato su una sedia a rotelle, a dipendere dagli altri in tutto e per tutto. E non è giusto farne una colpa, è soltanto la realtà dei fatti ... loro non possono sapere.
Ero d'accordo con lei, la guardai con più attenzione adesso. Quattro mesi di coma, otto operazioni alla schiena e due anni di riabilitazione. Quanto coraggio le ci era voluto per andare avanti nonostante tutto?
- Non riuscirei a sopportare due anni così ... - ammisi, turbato
Paige rise – Non sei messo così male tu. E credimi, ne ho visti un sacco di ragazzi disabili in questi anni ... ce la farai. Molti altri non sono fortunati quanto noi. Ci sono quelli che non si sono mai svegliati o quelli che hanno riportato danni cognitivi
Non volevo neanche pensare a quella possibilità.
- Quindi dobbiamo ritenerci fortunati ... - conclusi per lei
- Beh, se fossimo stati fortunati non saremmo finiti in coma, ma potremmo considerarci meno sfortunati di altri.
Scossi la testa, aveva ragione. Quel dannato di Gillian aveva fatto qualcosa di decente per quel giorno, forse mi sarei concesso un po' di motivazione per affrontare meglio quelle sedute devastanti.
- Aiden Berg? E' il tuo turno
La segretaria aveva fatto il mio nome, una routine triste, ma inevitabile. Guardai Paige e le feci un cenno di saluto con la mano
- Ci vediamo domani? – chiesi, ormai sulla porta dell'ufficio
- E anche dopodomani – mi assicurò lei.
La seduta fu lunga e insopportabile come sempre. Quando uscii ero dolorante e stanco, ma anche vagamente soddisfatto per aver mantenuto il controllo e portato a termine le due ore senza farmi prendere dallo sconforto. Andrew era stato particolarmente dolce, mi aveva portato un gelato e lo avevamo mangiato in auto mentre eravamo diretti a casa.
- Sai che possiamo uscire quando ti va ... non volevi vedere quel film sui supereroi?
Mi venne da ridere – Tu li odi i supereroi, Andrew. – gli fece presente
- Ma vorrei che tu uscissi un po'.
- Sto uscendo
- Fare la strada da casa all'ospedale non vale come uscita – commentò, adesso con gli occhi fissi su di me.
Stavamo aspettando l'ascensore, la superficie metallica rifletteva il mio viso pallido, dagli occhi spenti e cerchiati di nero. Ero davvero io quello? Sembravo un opaco riflesso da quattro soldi, un'immagine terribilmente lontana dall'Aiden che lavorava come modello alle sfilate di moda.
- Non mi piace come mi guarda la gente quando sono in giro ... odio vedere la pietà sui loro volti. I loro sorrisi che si spengono quando appaio nel loro campo visivo ... - parlare in quei termini era duro, mi costava più di quel che credevo.
- Per adesso è così, Aiden. Solo per adesso. Questo non è un buon motivo per chiuderti in casa e perderti tutta la bellezza che c'è di fuori. Ricordo quanto ti piaceva startene in spiaggia fino al crepuscolo o andare alla pista di skate a goderti il pomeriggio. Adesso non ti lasci neanche portare al cinema.
Ero riuscito a rattristire Andrew più di quanto non lo fosse già. Gran bel lavoro, pensai, mentre lo sentivo sospirare piano.
- Possiamo vederlo a casa ... Keno ha scaricato un sacco di film. Avrei anche voglia di pop-corn. Proverò a uscire in questi giorni, ok? Oggi sono stanco.
Ero giù di morale come sempre, Andrew dovette leggermelo sul volto, perché si calò su di me e mi strinse in un abbraccio. Chiusi gli occhi, inebriato da quel calore che non mi aveva concesso molto spesso. Quel profumo risvegliava in me dei ricordi che fino a quel momento erano rimasti a vagare nel buio del mio inconscio. Ricordavo i suoi baci, la sensazione delle sue labbra sulla mia pelle fremente ... gli occhi di Andrew intrisi di piacere e i suoi gemiti bassi che mi facevano impazzire. Ricordavo la spiaggia e la nostra prima volta a casa sua. La freschezza della brezza estiva che accarezzava i nostri corpi bollenti, ancora stesi l'uno accanto all'altro sul letto. E quella fantastica vista che si apriva su Coney Island, le tende bianche del terrazzo che sembravano danzare sospinte dal un vento leggero e caldo, con il cielo rosso, tipico dell'imbrunire durante quei pomeriggi di fine estate che amavo tanto.
Ed Andrew era ancora lì, stretto a me, pronto a tirarmi su nel momento peggiore della mia vita. Lo guardai, le mie braccia erano ancora intrecciate intorno alle sue spalle. Bello e terribilmente triste come non lo avevo mai visto o forse la mia mente mi stava ingannando ancora una volta.
Soffriva per me?
Non potevo saperlo, non volevo più pensare e torturarmi. Lo feci senza preavviso, spinto soltanto da un bisogno che covavo dentro da un po'. Lo baciai, aprii le labbra per percepire la sorpresa in lui, sfiorai la sua lingua, volevo di più, ma Andrew era scattato indietro. Era turbato ed io mi sentivo andare a fuoco. Presi un profondo respiro, mentre lui si schiariva la gola e si portava le mani al viso in un gesto di pura angoscia
- Che ti è preso?
- S-scusa ... non dovevo. Non so perché l'ho fatto ... - dissi ad occhi bassi, dentro mi sentivo andare in fiamme. Niente più eccitazione, soltanto una profonda vergogna che mi impediva di guardarlo.
Salimmo in ascensore nel silenzio totale, potevo percepire il nervosismo di Andrew propagarsi nell'atmosfera intorno a noi. Avevo complicato tutto.
- Senti, non so cosa mi sia preso. Ho ricordato delle cose mentre mi abbracciavi e anche l'altra notte, quando abbiamo dormito insieme ... ho solo fatto confusione tra quello che c'era prima e quello che c'è adesso, ok? Mi dispiace, non dovevo – dissi in fretta
- Lascia stare. Non preoccuparti ...
Il suo sorriso non riusciva a mascherare il disagio dietro quella maschera. Per fortuna eravamo arrivati, pregai che ci fosse già qualcuno lì, un appiglio per non dover rimanere ancora in silenzio con lui. Volevo che avesse la possibilità di andar via e di lasciarmi alle cure di chiunque. Per fortuna le mie preghiere vennero esaudite. Keno era già lì.
- Ehi ... Stevenson si è ammalato! Niente ultime ore di Storia per oggi, quindi sono venuto adesso. Ti ho preso del gelato, dovremmo mangiarlo prima che arrivi tua madre
Provai a ridere, a nascondere quel dannato imbarazzo che mi era rimasto addosso. No, non era solo imbarazzo ... era un terribile senso di rifiuto.
- Lo abbiamo già preso il gelato. Cercate di pranzare con qualcosa di serio.
Andrew non disse nient'altro, lo vidi fare dietro front e sparire oltre la porta.
- Lo abbiamo già preso il gelato – Keno imitò la sua voce controllata, poi fece una smorfia disgustata – che cazzo aveva? Mi è sembrato più odioso del solito.
Avevo provato ad eludere il suo sguardo, non era semplice mentire ad una delle poche persone al mondo che mi conosceva così bene.
- Aiden? Spero che tu non abbia fatto di nuovo lo stronzo con il fisioterapista
Scossi la testa – No. Sono andato alla seduta ed è stata meno terribile del solito in realtà.
- Allora? - Keno era in attesa.
E' perché l'ho baciato – dissi alla fine
Silenzio. Keno era immobile davanti a me, non mi piaceva il modo in cui mi fissava, mi faceva sentire colpevole di un terribile crimine contro l'umanità.
- L'ho baciato due minuti fa, poi mi sono scusato. Non avrei dovuto farlo ... non dopo quello che ho combinato con Levin. Sono già fortunato che lui mi tratti così bene nonostante i nostri trascorsi. – aggiunsi dopo.
Dentro di me non mi sentivo tanto magnanimo però, quel rifiuto mi aveva fatto male e quelle parole erano soltanto uno specchio per le allodole. Keno odiava la debolezza, dovevo minimizzare tutto, ero bravo a farlo.
- Beh, ho fame. Che cosa mi cucini di buono?
Sorrisi. La mia mente era ancora bloccata al piano di sotto, fissata sul disagio che avevo visto negli occhi di Andrew, sulle sue spalle rigide e su quel silenzio opprimente. Non mi aveva perdonato, forse non lo avrebbe mai fatto. Quella era una verità che non potevo fingere di non vedere.
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Split
RomanceBrooklyn. Le vite di un gruppo di giovani ragazzi si intrecciano nella città piena di luci mentre cercano di tenere a bada le ombre del loro passato. C'è chi lotta per un amore inconciliabile e chi, semplicemente, si batte soltanto per rimanere a ga...