31. Our Waterloo

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Militat omnis amans (Ovidio)
Ogni amante è soldato


ANDREW



I vecchi, gloriosi tempi erano tornati, con il mio comportamento avventato ero riuscito a far scappare via l'unica persona che fosse capace di rendere quel supplizio un po' meno terribile. Mi toccava passare il pomeriggio in compagnia di Keno e dei signori Berg. Lui era corso in ospedale appena concluse le lezioni, era piombato in stanza con la sua solita determinazione che rasentava quasi la follia, poi aveva gettato lo zaino a terra e aveva posizionato la sua sedia dall'altra parte del letto, nel punto esattamente opposto al mio. Quel gesto non mi soprese, né feci qualcosa per interrompere il silenzio pesante che aleggiava tra noi due. La mia mente era altrove anche se il mio corpo si intimava di rimanere lì ancora un po'. La mia mancanza di concentrazione sulla realtà mi infastidiva più di tutto il resto, perché si supponeva che fossi lì soltanto per Aiden, sarebbe stato giusto dedicare il mio tempo a lui, soltanto a lui. Keno lo faceva, non c'era un solo istante in cui smettesse di parlargli e prendersi cura di lui ... allora perché io non riuscivo a concentrarmi neanche un attimo? Perché continuavo a pensare a Levin e a quello che sarebbe potuto succedere e che, purtroppo, non era successo?
Sapevo di averlo messo involontariamente in una brutta posizione, Levin mi stava evitando anche a costo di non vedere Aiden e non mi aspettavo una chiamata nonostante gli avessi lasciato il mio numero. Dovevo parlargli, volevo parlargli e, allo stesso tempo, non avevo idea di ciò che avrei potuto dirgli. Che era stato un errore? Magari era quello che voleva sentirsi dire o l'unica cosa giusta da dire.
- Che cazzo di fine ha fatto Levin? Non passa da giorni - la dolcezza con cui Keno parlava ad Aiden svanì immediatamente non appena si rivolse a me. I suoi occhi lampeggiarono di rabbia, ma anche di qualcosa molto simile alla soddisfazione
- Beh, suppongo che Aiden abbia perso ogni attrattiva per lui adesso che è in coma e non può scoparselo
Ero in piedi prima ancora che avesse potuto finire – Smettila.
- Ho toccato un nervo scoperto? Come siamo suscettibili oggi – Keno aprì le labbra in un sorriso cattivo, poi scosse la testa e tornò a fissare tutta la sua attenzione su Aiden. Il suo sguardo cambiò in fretta quando riprese a leggere per il suo amico.
Se fossi rimasto lì avrei rischiato di mettergli le mani addosso e non potevo colpire un dannato diciottenne in un cazzo di ospedale. Alla fine constatai che era riuscito nel suo intento di scacciarmi da lì. Non volevo dividere neanche per un altro istante la stessa aria che respirava anche lui, me ne sarei tornato a casa dal cane, l'unico che sembrava apprezzare la mia compagnia a quel punto.
Voltai l'angolo e mi ritrovai davanti l'ultima persona che avrei mai pensato di vedere dopo quattro giorni di silenzio. Levin arrestò il suo passo non appena mi notò, anch'io avevo fatto la stessa cosa senza rendermene conto, ero rimasto a fissarlo con un'espressione inebetita sul volto e non mi stavo perdendo niente. I suoi occhi stanchi, quasi imploranti fermi nei miei, la posa rigida del suo corpo, la sorpresa e l'imbarazzo che sembravano prendere possesso di entrambi.
- Ehi, non mi aspettavo di rivederti – dissi subito dopo
Non mi avvicinai, attesi che fosse lui a venirmi più vicino. Nei giorni precedenti avevo sperato di poter superare quella situazione in modo diverso, mi ero detto che forse la magia si sarebbe infranta con la luce del giorno, ma non stava succedendo. La tensione era ancora lì, era come se l'atmosfera fosse carica di fili elettrici scoperti che minacciavano di rovinarci addosso.
- Vado a trovare Aiden e poi possiamo parlare, se ti va – il suo tono era cauto, non aveva mai smesso di guardarmi, forse in cerca di qualcosa che lo aiutasse ad orientarsi. Non potevo dargli niente, ero perso anch'io.
- Ti aspetto in macchina, fa con calma.
L'attesa mi avrebbe fatto impazzire, Levin voleva parlare e io non avevo idea di ciò che avrei potuto dirgli per alleviare la sua confusione. Non avevo nessun tipo di soluzione per quello che ci stava succedendo, anche se i segnali di pericolo erano ovunque, lampeggiavano davanti ai miei occhi che però sbarravo. Fingevo di non vedere, di non capire dove mi avrebbe portato vivere ad occhi chiusi. Salii in auto e le mie mani erano gelide per la tensione, se in passato qualcuno mi avesse detto che mi sarei ridotto in quel modo gli avrei riso in faccia. Prendermi una sbandata per Levin Eickam? Era impossibile. E invece stava succedendo e proprio nel momento peggiore di tutti. Forse stava succedendo proprio per quel motivo, pensai, forse era soltanto un insensato bisogno di volere qualcuno vicino che potesse capire. Forse non era neanche Levin quello che volevo. Non era la prima volta che confondevo la mera attrazione fisica per un interesse più profondo, non mi conoscevo per niente da quel punto di vista.
Come diavolo avrei fatto a capire come stavano le cose realmente? Vedere uno come lui equivaleva a giocare con il fuoco. Tra tutti perché proprio Eickam?
Levin stava arrivando. Ero rimasto in auto per mezz'ora e non avevo risolto niente. Cercai di mostrarmi calmo e controllato, non era necessario che vedesse quello che mi stava succedendo ad uno strato più profondo. Mi rivolsi a lui con un sorriso, conscio del fatto che guardarlo troppo mi avrebbe fatto male
- Allora? Sei stato in rehab post serata di merda? Bacio così male?
Avevo usato un tono canzonatorio con l'intento di mandar via l'aura di disagio che ci stava schiacciando. Levin stava sorridendo
- Benvenuto nel mondo di Levin Eickam. Il ragazzo che spera di risolvere i propri problemi non risolvendoli ...
- Beh, ti sei fatto vivo alla fine, quindi sei più maturo di me alla tua età sicuramente. Io sto imparando a risolvere i miei problemi da ... da adesso – dissi, riflettendoci – più o meno dopo aver collezionato una lunga serie di storie finite male a causa della mia anaffettività e del mio essere elusivo. La mia comprovata esperienza non mi ha impedito di mantenere il controllo sulla nostra situazione però.
- La nostra situazione ... un modo carino per fare riferimento alla nostra bassezza morale
- Cosa ti aspetti? E' da ventotto anni che riesco a trovare dei termini gentili per giustificare la mia anima da peccatore. Sono un esperto in questo
Levin sospirò piano, un attimo di silenzio mentre i suoi occhi erano fermi sulla strada – Stiamo andando a casa tua, vero?
Tentennai – Ti dispiace?
- Dovrebbe?
- Non lo so ... dipende da quello che vuoi. – gli feci notare. Stavamo parlando in codice, lo facevamo spesso e mi piaceva. Eravamo sulla stessa lunghezza d'onda.
- E tu cosa vuoi? – mi chiese subito dopo
I nostri occhi si incontrarono, niente schermi stavolta, gli lasciai vedere ciò che cercava. Se aveva ancora dei dubbi sul mio interesse quello sguardo avrebbe chiarito tutto. Un attimo dopo Levin era arrossito violentemente
- E' tutto più chiaro adesso? Se decidi di entrare a casa mia sappi che non ne uscirai senza essere passato prima dal mio letto. E' la politica Wolfhart.
Da dove veniva tutta quella sicurezza che ostentavo? Era solo più semplice comportarmi in quel modo, come avevo sempre fatto con tutti. Rendeva quella situazione meno unica e pericolosa, stavo confinando Levin nella stessa zona a cui appartenevano tutti quelli che mi ero portato a letto. Un posto confortevole, i cui abitanti non mi avrebbero mai minacciato.
- E come la mettiamo con tutto il resto? – Levin si era ripreso in fretta
- Tutto il resto? Esiste qualcuno o qualcosa all'infuori di noi?
- Ah, ecco come intendi metterla. Comodo, facile, ma non so se fa per me – lo vidi perdersi un attimo nei suoi pensieri – arriva sempre il momento di affrontare le conseguenze.
- Ma non è per adesso. Guarda cos'è successo ad Aiden, lui è l'esempio lampante di quanto tutto sia terribilmente temporaneo e fragile qui. Ci stiamo preoccupando di qualcosa che forse non arriveremo neanche a dover affrontare, Levin.
- Io ho sempre scontato ogni cosa però.
- Cosa pensi che accadrà? Dimmi. Credi che finiremo per innamorarci per caso? Che la mia vita dipenderà dalla tua? Che perderò il sonno e mi strapperò il cuore dal petto quando tutto questo finirà? Sta tranquillo, non c'è questo pericolo ... - il mio tono era amaro, forse ero stato troppo brusco con lui, ma Levin non era Aiden. Non viveva in un mondo adolescenziale fatto di illusioni e grande speranze, lui mi aveva capito alla prima occhiata e non era mai stato necessario fingere.
- E non lo dico per te, tu sei a posto. Solo che mi conosco e so quanto sono fatto male.
- Non devi giustificarti ... prima di Aiden c'era qualcun altro che non credo di aver ancora superato.
– Un ex? – chiesi con cautela
Levin annuì – Un ex che adesso non è qui.
- Vedi? Siamo entrambi incasinati per motivi diversi, ci terremo compagnia per un po'. Almeno è quello che vorrei io.
Lui non parlò, stava riflettendo sulle mie parole, forse mi ero impegnato fin troppo nel mio lavoro di persuasione, anche quello non faceva parte di me, stavo cercando di portarmelo a casa in tutti i modi possibili ed immaginabili. Bastava far scorrere il mio sguardo sul suo corpo per risvegliare il mio in un istante. Era una sensazione elettrica, forse sarebbe andata via dopo averlo portato a letto.
Eravamo arrivati. La mia bella villa di Coney Island era un piacere per gli occhi, immensa e stagliata sul mare, non portavo quasi nessuno lì. Levin doveva considerarsi fortunato. Spensi il motore e a quel punto tutta la mia attenzione ricadde sul sedile del passeggero e su chi lo occupava.
- Che vuoi fare? Siamo ancora in tempo per passare a casa dei miei, così ti faccio salutare Keno. La scelta è tua. Pillola rossa o pillola blu? – dissi, citando Morpheus in Matrix.
Levin portò gli occhi al cielo, poi fece qualcosa di assolutamente inaspettato. Aprì la portiera per primo e lasciò l'auto. A quel punto il mio stomaco si era serrato e torto in una morsa di piacere e dolore.
- Sei sicuro?
- Devo firmare qualche documento per caso? Sei il Christian Grey di Brooklyn? – chiese quello, con l'aria di uno che adesso aveva davvero tutto sotto controllo.
Ero stupefatto – Chi? Cosa?
- E allora chiudi quella bocca, Andrew. Non sono un bambino, andiamo.
Mi aveva lasciato piacevolmente sorpreso, adesso ero io quello a sentirsi teso. Incredibile. Recuperai le chiavi di casa e lo feci entrare. Si guardò intorno senza far alcun tipo di commento, anche quello era strano, tutti decantavano la bellezza di casa mia.
- Non ti piace?
Levin fece spallucce – E' piena di roba costosa, ma non sento calore. Non rimani mai qui per molto, no? Si sente.
- Cosa vuoi farci? Casa mia è il cielo! – dissi, allargando le braccia in una posa artistica che lo fece ridere – vuoi qualcosa da bere? Dovrei avere delle birre. Niente Whiskey per te, tranquillo
- Sto bene così. Non ho bisogno di rilassarmi io. E tu?
Uno sguardo di sfida che scosse qualcosa dentro di me. Mi stava provocando. Mi credeva un debole? Forse mi aveva capito meglio di quanto avessi immaginato in un primo momento.
- No ... è da un po' che non faccio sesso da lucido, solo questo.
Era così, non me ne ero reso neanche conto, ma ultimamente ero sempre ubriaco quando mi vedevo con Aiden. L'alcol sedava molte cose, soprattutto i pensieri e i sensi di colpa.
- Meglio così. Magari alla fine te la ricorderai come si deve questa scopata ...
Levin era vicino, aveva parlato con voce bassa, quasi carezzevole. Era spaventoso il modo che aveva di trasformarsi in quel modo nel giro di pochi istanti. Mi ritrovai spiazzato, avevo ancora il cappotto addosso e fanculo ai convenevoli da bravo anfitrione. Fanculo la camera da letto, fanculo tutto.
Il suo viso era bellissimo visto da quella distanza ravvicinata
- Mi piacciono i tuoi occhi – mi lasciai sfuggire ad un centimetro dalla sua bocca pronta ad accogliere la mia
- E a me piace il tuo culo
La mia risata fu interrotta dalle sue labbra. Sfacciato e terribile. Lo baciai con foga e subito le sue mani si strinsero intorno al mio sedere.
- Allora ti piace davvero tanto ...
- Non mento se non è strettamente necessario – un'altra risata bassa contro il mio orecchio che mi provocò una lunga serie di brividi ovunque. Mi gettai sul suo viso per divorarlo, non c'era più neanche un solo pensiero che non fosse diretto a lui, alla sua lingua esperta che cercava la mia, ai nostri corpi che lottavano per coesistere nello stesso spazio, quasi facendo a gara su chi spingeva di più per sovrastare l'altro. Avevo lasciato vagare le mie mani ovunque, tra i capelli morbidi e scompigliati, poi sul viso magro che avevo afferrato per introdurmi ancora meglio nella sua bocca in un bacio aggressivo e pieno di voglia repressa che finalmente lasciavamo libera di fare quello che diavolo voleva. Eravamo come due vulcani pronti a radere al suolo un'intera città. E quel contatto non bastava, volevamo di più, lo stavo spogliando così in fretta da farmi paura da solo. Lo spinsi contro il bancone della mia cucina e qualcosa di grosso e pesante volò a terra. Non importava, poteva perfino crollarci addosso l'universo intero, perché niente avrebbe potuto fermarci.
Levin mugolò forte, adesso il mio bacino premeva contro il suo, coperto soltanto dai boxer. Ero nudo, com'era successo? Lo guardai, tra il confuso e lo sbalordito
- Dov'eravamo rimasti l'altra sera? – Levin si finse confuso, poi i suoi occhi si illuminarono – ah, ecco. Adesso ricordo. Eravamo rimasti qui
La sua mano scese sul mio inguine e bastò quel gesto per farmi gemere forte. Il tessuto dei miei boxer era diventato il mio nemico numero uno, ma Levin non voleva limitarsi ad usare le mani. Si stava abbassando piano, fino a quando non tornò nell'esatta posizione di quattro notti prima, nel vicolo accanto al pub.
- Vuoi fermarmi anche adesso?
- Col cazzo – la mia voce suonò roca e spaventosa, stavo tremando e non avevo freddo. Lo guardai mentre mi liberava dagli slip per trovare sotto un'erezione da Oscar come migliore protagonista maschile. I suoi occhi non abbandonavano i miei, era una provocazione bella e buona, vederlo con la bocca ad un centimetro dalla mia erezione mi stava facendo impazzire. Non volevo mettergli le mani dietro, non era carino, mi dicevo, volevo che fosse lui ad avere il pieno controllo della situazione. E Levin ce l'aveva, capii un attimo dopo.
La sua bocca si chiuse sulla mia erezione e fu come se le porte del paradiso si fossero aperte davanti a me dopo un lungo viaggio nella selva oscura. Non ero in me, ero oltre, ero nella sua bocca, nel calore di Levin, nel ritmo perfetto che seguiva, nei gemiti bassi che mi sfuggivano incontrollati, nei miei polpastrelli che sfioravano piano i suoi capelli.
- P- potrei morire qui e adesso e ne sarei felice
Ero stato io a parlare? Deliravo. Quello che Levin mi stava facendo era la tortura più bella che sarei mai stato capace immaginare. Non volevo venire in quel modo, volevo che fosse dentro di lui la prima volta, volevo dargli qualcosa di altrettanto meraviglioso e importante.
- L-levin ...
Era andato più in fondo, strappandomi un gemito strozzato. Non ero così forte da impedirgli di continuare, volevo che continuasse all'infinito, non volevo fare nient'altro che non fosse quello per il resto della mia vita. Avevo parecchio controllo sul mio corpo, sapevo fino a che punto potevo spingermi e lasciandolo andare avanti a quel ritmo capii che non mi restava molto.
- E-ehi, lascia che sia io ad occuparmi di te
Ero riuscito a mettere in fila un paio di parole di senso compiuto, meritavo un premio per quello. Avevo un caldo assurdo, il mio viso doveva essere incasinato almeno come mi sentivo dentro in quel momento. Levin si sollevò piano, passandosi una mano sulle labbra rosse e umide. Poi mi guardò
- Voglio stare sopra ... - sussurrò con un filo di voce
- No, no no. Comportati bene – scossi la testa e presi il suo viso tra le mani per poi baciarlo piano, come si farebbe con un bambino irragionevole, peccato che fosse anche così dannatamente sexy.
- Di cosa hai paura? Faccio piano – parlava tra un bacio che avrebbe dovuto ammorbidirmi e l'altro
- Non è questo il punto
- E allora qual è? – altri baci sul collo che mi fecero fremere e gemere forte. Parlava contro il mio orecchio – non sto sotto con gente a caso
- Non sono uno a caso
Avevo bloccato il suo volto con le dita, impedendogli di continuare quella tortura ai danni del mio collo che mi stava facendo impazzire lentamente. Adesso lo guardavo con attenzione, perso nell'incredibile bellezza cupa di Levin.
- Fidati di me, lascia che sia io a farlo stavolta – dissi piano, continuando ad accarezzare quel viso delicato – e se non ti va di andare in fondo ci fermeremo prima, c'è molto altro che possiamo provare.
Eravamo stretti in un abbraccio, ancora in piedi contro il bancone freddo della cucina, il suo viso era nascosto contro l'incavo del mio collo in un gesto di protezione. Ed io non smettevo di reggerlo e stringerlo, ero sul punto di accompagnarlo in salotto ed occuparmi di lui in un altro modo, quando Levin si scostò piano da me, mi guardò e in quel momento vidi tutte le sue paure fare capolino una dopo l'altra.
- Non preoccuparti, andiamo di là.
- Posso fidarmi? – la sua domanda mi colse di sorpresa
Il mio cuore mancò un battito, non avevo mai smesso di reggere il suo viso tra le mani, così lo baciai. E fu un bacio completamente diverso dagli altri ... c'era dolcezza e comprensione, c'era tutta la mia voglia di rassicurarlo su qualsiasi cosa sbagliata ci fosse nel mondo
- Te lo prometto, Levin.


LEVIN


Le lenzuola di Andrew scivolavano lungo il mio corpo con la leggerezza tipica della seta, erano fresche, un perfetto antidoto per il mio corpo bollente e teso. Lui era nudo davanti a me, una sagoma scura, illuminata appena da una luce lontana, proveniente dal corridoio. I suoi contorni erano nitidi, le braccia muscolose, la vita stretta, poi le sue mani puntate sul materasso, si stava facendo strada verso di me con un'espressione di puro compiacimento impressa sul volto.
Gli stavo permettendo tanto, lo stavo guidando dove soltanto Yael era riuscito ad arrivare prima. E non volevo tornare indietro. Era troppo tardi per farlo. Avevo perso il controllo sulla realtà, doveva essere a causa di quello che mi stava facendo. La sua bocca vagava lungo il mio corpo, lo cospargeva di baci e morsi, senza prendere fiato, poi tornava ad occuparsi di me, baci su baci che si facevano sempre più serrati, come il suo corpo che premeva sul mio, inguine contro inguine.
- Ciao – sussurrò ad un centimetro dalla mia bocca
- Dove vai? – trovai la forza di chiedere, mi sentivo spaventosamente eccitato.
Andrew non rispose, un sorriso appena accennato prima di scendere giù tra le mie gambe che adesso stavo allargando per permettergli di posizionarsi lì. La tensione crebbe appena, chiusi gli occhi e deglutii, le sue dita erano a pochi centimetri dalle mie, così le afferrai e, subito, le strinse nelle sue.
- Sei così pallido ... basta premere un po' più forte con le labbra per farti arrossare – aveva parlato in direzione del mio stomaco prima di piazzare un piccolo bacio sui peli radi che scendevano giù – mi piace un sacco
- E a me piace questo – stavo biascicando, allungai un braccio per sfiorare la striscia di pelle pallida sui fianchi, in contrasto con quella più scura sopra
- Cosa? Il segno dell'abbronzatura?
Annuii – E' sexy. Mi fa venire voglia di morderti e ... - provai a sollevarmi da lì per artigliare la sua vita stretta, con le ossa dei fianchi ben in vista a creare una bellissima V. Anch'io provavo un certo interesse per il suo sedere che avrebbe fatto invidia a quello di una statua greca, ma Andrew dovette leggermi nel pensiero, perché mi spinse di nuovo giù.
- Ah, cosa pensi di fare? Ti ho capito perfettamente e sappi che non succederà oggi – il suo tono era divertito ed eccitato allo stesso tempo, anch'io mi lasciai andare ad una risata bassa
- Hai detto oggi ... ciò non esclude che ...
Poi mi tappò la bocca con un bacio, spingendomi ad aderire con le spalle al materasso. Ero rimasto senza fiato quando aveva ripreso a toccarmi, ma stavolta in un modo tutto nuovo. La sua mano era scesa sulla mia erezione che iniziò a massaggiare con lentezza. Mi trattenni dal gemere troppo, mi mordevo le labbra. Bastava così poco per farmi agitare tanto? Forse perché desideravo che mi toccasse da un secolo e, adesso che stava succedendo, ogni sensazione che provavo sembrava amplificata al massimo. Ma Andrew non si stava limitando a toccarmi, era sceso in basso, ad accarezzare il mio sedere.
- A-andrew?
- Va tutto bene, rilassati. Ti piacerà
Non stava mentendo, quando la sua lingua entrò in scena capii quanto fosse stato profetico. Mi ritrovai a gemere, spiazzato dalla sensazione della sua bocca che si chiudeva intorno alla mia entrata, poi le labbra lasciarono posto alla lingua. Avevo artigliato le lenzuola e inarcato la schiena, Andrew mi dava il tormento, voleva farmi perdere la testa, prepararmi al massimo per quello che sarebbe successo a breve.
- Mmm, vedo che hai smesso di lamentarti. Qualcosa mi dice che presto o tardi chiederai il bis
Non riuscivo a ribattere, la sola idea di poter rispondere mi sembrava un'impresa titanica. Erano i miei gemiti quelli che spezzavano il silenzio assoluto della stanza e che, allo stesso tempo, incitavano Andrew a continuare. La mia mano era ancora stretta nella sua, sentivo i suoi muscoli tesi tremare per l'eccitazione di quello che mi stava facendo.
Soltanto dopo molto tempo sostituì la sua bocca con le dita. Era risalito su, un sorriso fin troppo beato impresso sul volto prima di calare a baciare il mio collo con lentezza mentre la sua mano si occupava ancora di me.
Le mie difese non erano mai state tanto basse come quella notte. Stavo cedendo, stavo capitolando come un guerriero di fronte ad un'armata impossibile da contrastare. Ero ad un passo dalla disfatta, sul punto di combattere l'ultima battaglia che mi avrebbe confinato per sempre nella miseria. Ero come Napoleone ed Andrew era la mia Waterloo.
- Levin ... dove sei stato per tutto questo tempo? Dimmi, dove sei stato ... dimmi perché mi hai privato di questo? – aveva parlato al mio orecchio prima di leccarlo con foga, per poi scendere lungo il mio collo e dedicargli le stesse attenzioni
Stavo gemendo, il piacere era troppo e ovunque. Le sue dita dentro di me, quelle parole sussurrate piano contro la mia pelle, poi i suoi sospiri bassi ogni volta che intrappolavo la sua bocca nella mia.
- E tu?
- Probabilmente a farmi mezza Brooklyn
- Doveva essere la mezza Brooklyn che non frequentavo – gli feci notare, stupendomi della mia sagacia in un momento in cui i miei neuroni faticavano a collaborare.
Un sorrisino accattivante apparve sul suo viso, ero immobile, intrappolato nei suoi occhi ricolmi di desiderio. Eravamo allo stremo e sapevamo entrambi quale sarebbe stato il passo successivo. Andrew mi piazzò un bacio sul petto prima di allungarsi verso il comodino e tirare fuori dei condom. Nel vederlo compiere quel gesto, sentii una scossa violenta al basso ventre, i miei occhi seguivano febbrilmente ogni suo movimento. Non riuscii a dire nulla, le mie preghiere di fare piano morirono sulla mia bocca, Andrew si era steso nuovamente su di me ed era tornato a baciarmi dolcemente, poi, con estrema lentezza, si era spinto sulla mia entrata e aveva iniziato a penetrarmi. I miei gemiti furono soffocati dalle sue labbra, mi stava toccando, dei massaggi dal ritmo perfetto che avrebbero dovuto equilibrare il dolore dettato dalla sua avanzata dentro il mio corpo.
- Va tutto bene?
Mi ero morso le labbra, Andrew era fermo dentro di me, il suo corpo era rigido quasi quanto il mio, ma per un motivo diverso. Potevo vedere la tensione sul suo viso mentre cercava di trattenersi per permettere a me di abituarmi
- Sì
Andava dannatamente bene, il dolore stava scemando in fretta per lasciare posto a qualcosa di molto simile al piacere. Le sue spinte erano lente e profonde, avevo inarcato la schiena e stretto le mie gambe intorno alla sua vita
- Più forte
Un gemito strozzato, Andrew non se l'era fatto ripetere due volte, continuava a spingere mentre il piacere cresceva dentro di me. Accoglievo delle sensazioni che non ricordavo di aver mai provato fino a quel momento, forse cedere era stato come vincere. Il suo viso era rivolto verso l'alto adesso, lasciai scorrere il mio sguardo confuso lungo il suo petto muscoloso e sudato, il collo lungo, con un principio di barbetta, poi giù lungo il ventre piatto, i fianchi dalle ossa sporgenti e la sua schiena inarcata e rigida che spingeva contro di me. Stavo perdendo il contatto con tutto quello che mi circondava eccetto lui e quello che mi stava provocando, avevo allungato una mano per sfiorare il suo petto, poi lui l'aveva portata alla sua bocca e l'aveva baciata piano.
- L-levin ... sto per venire. Perdonami
- Perdonarti? – ero riuscito a parlare a fatica. Anch'io ero allo stremo delle mie forze, stavo venendo senza toccarmi
- D-duro di più con chi non mi eccita così tanto – sussurrò poi contro il mio orecchio.
Le spinte si fecero più intense così come i nostri gemiti, la mia erezione sfregava contro il suo corpo stretto al mio. Era troppo. Andrew si irrigidì nel momento stesso in cui l'orgasmo mi stava travolgendo. Era venuto dentro di me con un gemito basso e strozzato, musica per le mie orecchie già fin troppo provate dalle sue parole. Venni anch'io subito dopo, schizzando il suo petto ed il mio stomaco. Riprenderci fu complicato, restammo in quella stessa posizione per un secolo o qualcosa del genere. Poi scivolò fuori da me e si stese al mio fianco, ancora con le gambe intrecciate alle mie.
- T-tutto bene?
Lo vidi voltarsi verso di me, forse a caccia di indizi sulla mia salute.
- N-non vado in giro in moto, quindi suppongo che me la caverò – sussurrai e subito iniziò a ridere.
- Meglio così.
Il sangue scorreva velocissimo nel mio corpo, era finita e adesso sarei dovuto andar via. Niente scene patetiche che non mi appartenevano, gli avrei chiesto di poter usare il bagno e poi me ne sarei tornato a casa con la prima metro. Avevamo avuto ciò che desideravamo, adesso potevamo riprendere le nostre vite senza doverci chiedere come sarebbe stato andare a letto insieme. Era successo ed era stato molto più che bello.
Le cose belle erano destinate a finire però.
- A cosa stai pensando?
La sua voce giunse inaspettata, senza rendermene conto il suo sguardo era ancora puntato su di me. Mi aveva spiato per tutto quel tempo
- Ai cazzi miei
- Davvero? Solo ai tuoi?
Avevo ruotato gli occhi verso il cielo mentre Andrew si puntellava sui gomiti e tornava a scrutarmi, stavolta ancora più vicino di prima e con più attenzione.
- Che c'è? – ero chiaramente sulla difensiva adesso.
La sua risposta arrivò con un bacio delicato che mi stupì più di tutto il resto. Un atto di gentilezza prima di sbattermi fuori? Non sembrava intenzionato a farmi alzare da lì però, me ne resi conto quando sentii il peso delle sue gambe che si intrecciavano alle mie fino a bloccarmi in una stretta gentile al mio posto.
- E questo che sarebbe?
Andrew sembrò rifletterci un po', poi tornò a sussurrare piano
- La mia richiesta informale di fermarti qui con me ancora un po'. Ti va?
Lo lasciai passarmi le braccia intorno alla vita, mentre aderivo con la schiena al suo petto. Nel silenzio assoluto della stanza potevo sentire il suo cuore battere ritmicamente in direzione del mio.
- E' un po' troppo intimo per noi – gli feci notare
- E che c'è di male nell'essere intimi?
Aveva risposto con naturalezza, poi mi aveva piazzato un altro bacio leggero sulla nuca prima di iniziare a massaggiarmi con le mani, le sue dita giocherellavano con il mio piercing al capezzolo.
- C'è che dovrei alzarmi, fare una doccia e prendere la metro per tornarmene a casa
Andrew si immobilizzò, poi si sollevò sui gomiti fino a quando il suo viso non fu sul mio
- E' quello che vuoi? – il suo sguardo era fermo
- E' quello che dovrei fare
- Non hai risposto alla mia domanda
Non riuscivo più a guardarlo, stavo dannatamente bene in quel letto, stretto al suo corpo caldo. Peccato che non ci fosse niente di normale in quella situazione. Potevo rimandare l'inevitabile, potevo eludere la mia Waterloo per un po', ma questo non mi avrebbe impedito di capitolare più avanti, forse nel momento peggiore. In fin dei conti era scritto nella storia e questo non poteva cambiare.
- E poi non ho ancora finito con te. Non credo che sarò soddisfatto a breve, quindi devi proprio restare almeno fino a stasera. Che peccato, vero?
Poi fece qualcosa di inaspettato, Andrew scese sul mio stomaco ancora sporco e lo baciò, passandoci anche la lingua. Trattenni il respiro, colpito da quel gesto inatteso che mi riscosse. Voleva che lo guardassi mentre mi ripuliva, il suo sguardo era ancora più eccitante del resto, mi incatenava a lui, era una provocazione infinita che poteva portare soltanto ad una nuova resa.
- Sei un maiale
Lui rise – Hai un buon sapore. Vuoi sentire?
Lo vidi avvicinarsi a me con il viso, le sue labbra erano piegate in un sorrisino carico di cattive intenzioni
- Non farlo ... - lo pregai, serrando la bocca. Era inutile, mi stava passando la lingua sulle labbra per spingermi a schiuderle un po'.
- Lo trovi divertente?
Parlare era stato uno sbaglio, Andrew era balzato in avanti e aveva catturato la mia bocca nella sua. Adesso potevo sentire il mio sapore sulla sua lingua e non c'era niente di vagamente disgustoso in quello, anzi ... mi ritrovai ad artigliare il suo viso tra le mani per impedirgli di sfuggirmi, se mai avesse voluto farlo. Ma non voleva, sentivo la sua erezione risvegliarsi insieme alla mia e i suoi gemiti bassi, quasi disperati sulla mia bocca.
Quella notte non era fatta per pensieri sensati o decisioni importanti, capii. Qualsiasi cosa avrebbe portato apparteneva ad un futuro a cui non volevo pensare. La mia mente era ferma lì, occupata unicamente dal qui e ora. E, ancora più che del resto, era occupata da Andrew.


ALENCAR


Erano le nove di sera quando il mio cellulare prese a suonare, sia io che Jonas trattenemmo il fiato, mi sporsi a recuperarlo e il nome di Tian stava lampeggiando sul Display. Questo non mi rassicurò.
- Pronto?
- Si fa stanotte – quelle poche parole mi fecero perdere più di un battito cardiaco, sentii una forte tensione afferrarmi le viscere – ci vediamo a mezzanotte, alla prima stazione di servizio fuori città, quella con il parcheggio grande. Non tardate.
Chiuse prima che avessi il tempo di replicare anche se non avevo intenzione di farlo, anzi, per qualche secondo non parlai, nonostante gli occhi di Jonas non mi mollassero un secondo. Mi passai una mano sul viso e schiarii la gola prima di fissare il mio amico dritto in volto.
- Allora - mi incitò nervoso – Cosa ti ha detto? Può aiutarmi?
- Si fa stanotte – risposi in un sibilo.
- Adesso? – quello parve totalmente spaesato e anche terrorizzato, potevo capirlo – ma io ... lei non sa nulla, così all'improvviso ...
- Ti avevo detto che sarebbe stata una cosa rapida, non possiamo tergiversare. Il vostro passaggio parte stanotte – chiarii – adesso prendiamo le tue cose e andiamo a casa sua, le parlerai e la convincerai. O fuggite adesso o non le vedrai mai più Jonas, i patti sono questi
Lo vidi inspirare, come se d'un tratto tutte le amare consapevolezze fossero arrivate a togliergli il respiro, come se ogni paura possibile gli fosse esplosa nel cervello. Come potevo dargli torto?
- Amico – mormorai andandogli vicino e sedendomi accanto a lui – sto facendo questo per te, perché me lo hai chiesto e mi sono rivolto al migliore. Tian ha trovato la persona giusta per farvi andare via ma se non lo vuoi più fare lo capisco, anche io sono preoccupato. – chiarii - Ma se abbiamo il via libera per stanotte allora non possiamo indugiare, ti prometto che sarete al sicuro, ok?
Il suo viso si distese appena sentendo quelle parole e anche il suo corpo si rilassò, annuì debolmente – hai ragione, con te siamo al sicuro, Alencar
- Allora muoviamoci, prendiamo le tue cose e andiamo da Lizzy – commentai sollevandomi – non avete più niente che vi leghi qui, sono certo che lo creda anche lei.

Così facemmo, in pochi minuti posammo i vestiti di Jonas nel borsone e lo accompagnai a casa della sua ragazza, c'era ancora tensione nel suo viso ma sembrava ogni momento più sicuro. Voleva davvero lasciarsi tutto alle spalle, era pronto per dare a se stesso e alla sua famiglia una seconda possibilità. Pensai che fosse giusto così, che Jonas non fosse mai stato il tipo adatto a quella vita, che si fosse sempre meritato qualcos'altro, che per una volta il mondo poteva prendere una piega positiva per qualcuno.
Frenai e smontammo dall'auto, ci dirigemmo svelti alla porta e lui suonò il campanello, non restammo ad aspettare a lungo. Liz aprì cautamente con la catenella di sicurezza attaccata allo stipite e, quando ci vide, la sua espressione si incupì.
- Che diavolo volete? Andate via! - sbottò pronta a sbatterci la porta in faccia.
Jonas riuscì ad infilare una mano per impedirgli di chiuderla – ti prego, ho bisogno di parlarti
- No! Te ne devi andare, non ho niente da dirti. Con noi hai chiuso – ribattè lei sprezzante.
A quel punto feci un passo avanti – piantala con le scenate Elisabeth, non vogliamo attirare l'attenzione di nessuno. Fatti da parte e lasciaci entrare
Lei mi fulminò con lo sguardo, pronta a ricoprirmi di insulti ma fu di nuovo Jonas a prendere la parola, afferrando la mano della sua ragazza.
- Ascolta solo quello che ho da dire – mormorò disperato – solo questo, se ancora mi ami fammi parlare con te adesso. Se non sarai d'accordo sparirò per sempre
Il volto di Liz era rigido, una maschera di stanchezza e dolore, i suoi occhi fissarono quelli di Jonas per un po' e sembravano riempirsi di lacrime ad ogni secondo che passava. Alla fine fece scivolare via la catenella e aprì la porta cedendoci il passo.
- Avete cinque minuti
Così varcammo la soglia, io mi appoggiai alla parte mentre Jonas e Liz si fronteggiavano, lui non smetteva di stringerle la mano.
- Alencar è qui per aiutarci, hai detto che dovevo lasciare il giro e liberarmi di tutto per avere il tuo perdono, per tonare a casa ed essere l'uomo che ami – cominciò – è quello che voglio. Tutto quello che voglio è vivere con te e crescere nostra figlia. Ho sbagliato un milione di cose ma l'ho sempre fatto per te e per lei, sono stato un idiota ... ti ho deluso
- Quella gente è disposta a farti uscire dal giro? – chiese lei scettica.
- No, ma Alencar ci ha trovato un lascia passare – rispose – se partiamo stanotte possiamo ricominciare
Il volto di Lizzy era confuso e spaventato, era evidente che leggesse il rischio dietro le parole di Jonas e stava valutando quanto immischiarsi, se ne valesse la pena. Ma potevo scorgere dietro i suoi occhi piani di calore, mentre fissava il mio amico, la grande domanda: Per amore, non ne vale sempre la pena?
Prima che rispondesse chiaramente degli strilli si levarono nel silenzio, la bambina nell'altra stanza aveva iniziato a piangere.
- Me ne occupo io, voi parlate di questa faccenda – dissi staccandomi dal muro – non abbiamo tutta la notte.
Così seguii il pianto fino alla camera da letto di Liz, dove trovai una culla di vimini dall'aspetto usurato, proprio lì dentro, c'era Eva. Si dibatteva animatamente e le sue guance erano arrossate e bagnate di lacrime.
Così piccola.
Fu la prima cosa che mi colpì, non avevo mai visto un neonato tanto da vicino, era minuscola eppure urlava come una forsennata. Mi abbassai, sollevandola lentamente e portandola al mio petto, non sapevo se si tenessero in quel modo i bambini piccoli ma lei smise subito di piangere. Cominciò a fissarmi con quegli occhioni grandi e vitrei, tipici dei neonati, per un attimo quel colore mi ricordò quelli di Callum. Vidi la sua mano cominciare a tendersi verso di me, afferrando l'aria ed io spostai la mano liberà verso il suo viso, sfiorando la pelle liscia della guancia con la punta del mio dito.
- Sono Alencar – dissi mentre lei non staccava lo sguardo da me – tuo padre ha fatto un gran casino, ma non permetterò che tu ci finisca in mezzo. Sto facendo il possibile, te la caverai, ok? Te la caverai
Quando tornai in salotto con la bambina ancora in braccio, trovai Lizzy e Jonas abbracciati, lui le stava ancora dicendo qualcosa all'orecchio e lei annuì stringendolo forte. Si voltarono verso di me alla fine, fu Liz a prendere la parola.
- Le piaci – disse avvicinandosi – è raro che sia così calma con chi non conosce ...
- Hai preso una decisione? – chiesi, il mio corpo era ancora rigido e carico di disagio.
- Sì, preparo le nostre cose – rispose calma – andremo in Canada con Jonas.
Così fece, radunò quello che poteva portare per sé e la bambina, lasciò il resto in casa scrivendo al proprietario che andava via e poteva vendere la roba rimasta.
Uscimmo e ci dirigemmo nella mia auto, posammo i bagagli e Liz si sistemò insieme alla figlia nel sedile posteriore mentre anche io e Jonas montavamo a bordo, misi in moto e lasciai il vialetto.
- Con il lavoro? Hai modo di avvisarli che non ti presenterai? – chiesi mentre mi dirigevo verso la periferia.
- Il mio capo mi ha licenziata ieri – disse irritata – avevo preso troppi permessi e portavo la bambina a lavoro, a quel pezzo di merda non serviva altro immagino ...
- In Canada sarà diverso – le assicurò Jonas – ricominceremo da zero
Io continuai a guidare, tenni gli occhi sulla strada e la mente concentrata, ancora pochi chilometri e avremmo incontrato Tian e il suo contatto, mancava davvero poco.
Ce la faranno.

Rallentai solo quando vidi la stazione di servizio, misi la freccia e lentamente entrai nell'area dei parcheggi, in quel momento era deserta tranne che per un veicolo scuro. Era l'auto di Tian.
Mi accostai lì vicino e notai che mancava un quarto d'ora a mezzanotte, spensi il motore e vidi il mio amico venire fuori dall'auto. Gli occhi scuri di Tian sembravano molto più cupi del normale, anche lui sentiva la tensione e, quando mi affiancò, parlò sotto voce.
- Com'è andata? Hai notato qualcosa? – mi chiese.
- No, non ci ha seguito nessuno – risposi nervoso – e il tuo contatto?
- Sta arrivando
E così fu, non ci volle molto, solo un'altra manciata di minuti e un furgone scuro fece il suo ingresso nel piazzale. A quel punto anche Jonas smontò dal mezzo e fissò noi in cerca di conferme.
- E' lui – disse Tian – andiamo, portate tutto
Così Liz e la bambina uscirono dalla macchina e io presi i bagagli insieme a Jonas, tirai fuori anche un'altra borsa che avevo messo in auto il giorno prima.
- Questi contanti sono per te – dissi al mio amico che mi fissò stupito – per ricominciare
- Alencar ... non devi – sembrava senza fiato – sul serio hai fatto fin troppo per noi, ce la caveremo benissimo
- Non dire stronzate – replicai mettendolo a tacere – io sono solo e tu hai una famiglia, questi servono più a te che a me. Sono il tutore di Eva, giusto? Sono un regalo per lei ...
Ci abbracciammo a quel punto, lui non riuscì a replicare e mi strinse forte mentre io ricambiavo la stretta, Liz si asciugò le lacrime e strinse la bambina a sé prima di mormorare un "grazie" sotto voce.
Poi fu il momento di andare, ci incamminammo verso il furgoncino scuro seguiti da Tian e, quando ci trovammo a pochi passi dal mezzo, sentimmo lo sportello aprirsi e l'autista scendere a terra.
No ...
Fissai quel viso e sentii il vuoto intorno a me, come se non avessi l'asfalto sotto i piedi, come se una voragine si fosse aperta sotto di me e stessi precipitando nel vuoto. Quel volto, quella faccia spigolosa e quegli occhi freddi non lasciavano dubbi, conoscevo fin troppo bene l'uomo alto e spaventoso che ci stava squadrando attentamente. Hauser.
Li hai mandati a morire.
Capii che non sarei riuscito a parlare quando, per la terza volta, aprii la bocca senza che ne uscisse alcun suono. Fissavo il braccio destro di Kurt e nessuno dei muscoli del mio corpo sembrava pronto a muoversi. Lo vidi sbattere il pugno contro lo sportello posteriore del furgone e il portellone si aprì, ne uscirono otto uomini che ci circondarono immediatamente.
Tian mi afferrò per un braccio con forza e mi tirò indietro, solo Jonas, Liz e la piccola Eva erano rimasti al centro di quel cerchio. Non sta accadendo davvero, questo pensavo mentre quella scena si faceva sempre più orribile. Dove ho sbagliato? Mi chiesi, come ha potuto scoprirlo?
E la risposta a quelle tremende domande arrivò proprio dalla persona accanto a me, dall'uomo di cui mi fidavo di più al mondo, quello a cui avevo affidato le nostre vite.
- Cerca di restare calmo – mi sussurrò all'orecchio – gli ho detto che era stata una tua idea, altrimenti Kurt avrebbe preteso anche la tua testa.
Li hai mandati a morire.
Un conato di vomito mi salì lungo la gola ma dovetti rimandarlo indietro, sforzandomi di non crollare davanti a quella che sapevo sarebbe stata una cazzo di esecuzione.
Tian. Lurido traditore.
- Che succede? – il mutismo di cui eravamo tutti prigionieri abbandonò Jonas, che finalmente ebbe la forza di parlare, fissava tutti quanti anche se la consapevolezza si stava facendo strada nella sua mente – noi ... che volete ...
Ancora silenzio.
In tutti gli anni in cui ero stato un uomo di Kurt non avevo mai sentito Hauser dire una parola, era il sicario, il boia, l'angelo della morte. Dopo il suo passaggio c'erano solo cadaveri da smaltire e niente spazio per le chiacchiere.
- Stiamo andando via! – urlò il mio amico disperato – non vogliamo più avere a che fare con questo! Non diremo niente! Non ci vedrete mai più, per favore
Altro silenzio.
- Ho una famiglia! – continuò ansimando – lasciate andare almeno loro, lasciate stare la mia ragazza e mia figlia!
A quel punto vidi la mano di Hauser spostarsi verso la fondina ed estrarre la pistola, sudavo freddo, anzi, tremavo e tutto quello che sentivo era la mano di Tian stretta al mio braccio.
È colpa mia.
Glielo avevi promesso.
La tua mano è su quel grilletto.
Il movimento dell'uomo fu fluido, come un gesto che compi abitualmente, portò la pistola dritta verso Liz e sparò un colpo senza attendere oltre. Il rumore dello sparo fu coperto dall'urlo disperato di Jonas che guardava con orrore il corpo esanime della donna che amava schiantarsi al suolo, con un buco in testa. Poi l'aria si riempì del pianto di Eva, il piccolo fagotto era a terra e piangeva dimenandosi disperatamente.
Jonas cercò di avvicinarsi ma fu afferrato prontamente da due degli uomini di Kurt, cominciò a dibattersi senza smettere di urlare.
- LIZ!!! Brutto bastardo! – il suo volto era una maschera di orrore – perché! Uccidi me, uccidi me figlio di puttana ma lascia stare loro, lasciale in pace!!! – poi si voltò verso di me mentre le lacrime grondavano dai suoi occhi – Alencar! Digli di fermarsi, digli di smetterla! E' tutta colpa mia Alencar, tu lo sai, digli di non uccidere la mia bambina!
Ma dalle mie labbra continuava a non uscire niente, continuavo ad annaspare senza riuscire a respirare o parlare. Fissavo quella fine senza potermi opporre, esattamente come avevo sempre fatto, nello stesso modo in cui mia madre era morta sotto i miei occhi, ora toccava a loro.
Sei solo un inutile bugiardo. Lo prometto, hai detto.
Come fermerai tutto questo?
Hauser continuò a muoversi con la sua grande freddezza, come se niente di quello che Jonas dicesse potesse indurlo a desistere, quella disperazione non lo raggiungeva nemmeno. Uccidili tutti, doveva essere questo l'ordine e si avvicinò di un passo alla neonata che ancora piangeva avvolta nella coperta.
Te la caverai, hai detto.
E' così che ti prendi cura delle persone? E' così che salvi gli innocenti?
La mano che reggeva la pistola era lì, a pochi metri da quel fagottino che si era sporcato di sangue, poi premette il grilletto. Per la seconda volta l'urlo sovrastò il rumore dello sparo e Jonas a quel punto cadde sulle ginocchia, come una marionetta a cui vengono recisi i fili.
E il silenzio tornò, pensante come una nube tossica su quella scena di pura perfidia, di assoluta inumanità. Riversi a terra c'erano il corpo di Liz ormai freddo e quel fagotto rosa intriso di sangue, mi resi conto che sull'asfalto c'era anche quello che restava della mia anima.
Gli uomini si allontanarono da Jonas, era ovvio che non sarebbe più andato da nessuna parte, lasciarono che strisciasse sconvolto verso i corpi e li stringesse a sé l'ultima volta. Il sangue adesso ricopriva anche lui mentre stringeva a sé Liz, con la testa penzolante e gli occhi vuoti, mentre stirava la mano tremante verso il piccolo fagotto, senza avere la forza di spostare la stoffa e vedere cos'era rimasto di sua figlia.
Hauser si mosse alle sue spalle, puntando la pistola dietro la nuca di Jonas che sembrava troppo concentrato a stringere Liz al petto per curarsi di altro. Quando premette il grilletto a distanza ravvicinata il boato fendette l'aria, questa volta nessuno urlò, il colpo spaccò il cranio di Jonas e pezzi di sangue e cervello finirono sui miei stivali. Altro sangue, sempre più grumoso e denso che si espandeva sull'asfalto e sui vestiti sporchi, che si espandeva davanti ai miei occhi e dentro la mia testa.
E' questo quello che sei riuscito ad ottenere? Fidati di me, hai detto.
Il resto del gruppo non indugiò, presero dei teli e misero i cadaveri nel furgone, gettarono candeggina e acqua per ripulire l'asfalto e far scendere il sangue nei canali di scolo, nel giro di poco tempo furono pronti a partire. Hauser montò al volante come se si fosse semplicemente fermato per fumare una sigaretta e gli altri lo seguirono chiudendo il portellone, poi partirono.
A quel punto caddi, il mio corpo impietrito si sciolse improvvisamente e le mie gambe molli non riuscirono a tenermi in piedi, così crollai con gli occhi ancora fissi davanti a me, con quelle immagini ben impresse in mente.
Loro non c'erano più, eppure erano ancora lì, riuscivo a vedere perfettamente ogni dettaglio e i loro sguardi. Il volto spaventato di Jonas era ancora davanti ai miei occhi, quell'espressione confusa e persa, ancora incredulo di fronte alla morte, mi chiesi per un istante cosa avesse pensato di me prima che la sua testa saltasse in aria. Mi chiesi, quanto si fosse sentito tradito.
Come hai potuto uccidere la sua famiglia?
- Alencar – la voce di Tian quasi mi sorprese, non credevo nemmeno fosse ancora lì – devi alzarti, andiamo via ...
- Tu ... - la mia voce sembrava strana, quasi non fosse mia – come hai potuto farmi questo?
- Non c'era scelta Alencar, Jonas non poteva farcela e noi saremmo morti con lui – rispose pragmatico.
- Perché non hai venduto anche me allora?! – ringhiai – perché non hai lasciato che mi sparassero come farebbe un bravo uomo di Kurt!
- Non sono un uomo di Kurt, non lo sono quanto non lo sei tu – disse secco.
- Ah, no? Li hai venduti! Hai venduto un ragazzo che conoscevi da anni, eravamo la sua famiglia! Ci considerava fratelli! – urlai dando sfogo a tutta la mia disperazione.
- Una volta mi hai chiesto come fossi finito nel giro, un tipo furbo come me, come avevano fatto ad incastrarlo? – mi ricordò mentre il suo sguardo si faceva più buio – nemmeno io sono privo di sentimenti, anche se ora mi reputo alla stregua di Hauser. Quando riuscirai di nuovo a guardarmi in faccia, vorrei parlarti di quello che mi ha spinto a denunciarlo
- Non sprecare il fiato, non voglio rivedere mai più la tua faccia da traditore – sibilai.
E lui tacque, non indugiò oltre, girò i tacchi e andò via, riuscii a sentire il rumore dei suoi passi e poi l'auto mettersi in moto e sparire.
Avevo perso tutto, avevo deluso una persona che si era fidata di me, avevo gettato degli innocenti in una condanna a morte e ora ero lì, l'ultimo rimasto. Poggiando la mano sull'asfalto lo sentii ancora viscido e bagnato di sangue, il palmo della mia meno si tinse di un rosso chiaro e acquoso.
Ogni uomo alla fine incontra la sua Waterloo.
E quella era la mia, la mia più amara sconfitta nonostante tutte le altre, era la mia personale disfatta alla quale non potevo fare altro che arrendermi. Adesso ero ufficialmente un assassino, alla stregua di Hauser o Tian o tutti quei bastardi che erano rimasti lì a guardare.
Gli occhi disperati di Jonas, lo sguardo vuoto del cadavere di Liz, l'ultimo e straziante pianto di Eva, quei ricordi sarebbero rimasti per sempre dentro di me, ad infestare i miei incubi. Insieme al fischio orribile delle macchine che annunciavano il decesso di mia madre o lo sguardo ferito e disgustato di Callum mentre si allontanava con decisione da me.
Io, chi sono io?
Un flagello per gli uomini. Un'infezione, una malattia, un cancro.
Una cosa mi fu tremendamente chiara mentre mi passavo la mano sporca sul viso, per marchiare la mia pelle, questa volta dovevo pagare.

ANGOLO AUTRICI:

Ogni uomo alla fine incontra la sua Waterloo è una citazione di Wendell Phillips.

Buon pomeriggio XD vi sorprendiamo con questo aggiornamento e non solo! Un capitolo ricco e sicuramente di non facile lettura, non tanto per la piacevole prima parte ma quanto per la conclusione amara di questa fuga. Ci dispiace se le scene descritte vi hanno in qualche modo turbato o inorridito, ma questa storia ha anche delle note molto cupe. Lasciamo a voi la parola e come sempre ci rivediamo la prossima settimana! Un bacio

BLACKSTEEL

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