32. Rebel Yell

1.8K 124 69
                                    


Nella foto TIAN e AREK


Luceat lux vestra.
(Lascia che splenda la tua luce, Bibbia)





TIAN
Quando varcai la soglia dell'ufficio di Kurt vidi i suoi occhi freddi posarsi su di me, era compiaciuto, tremendamente compiaciuto e quella vista mi disgustò. Non avrei mai voluto arrivare a tanto, ma com'è che si dice?
Siamo tutti vittime delle circostanze in qualche modo.
- Tian, eccoti qua, puntuale come sempre – commentò con il suo solito ghigno – accomodati
- Vado di fretta – dissi lapidario – sono qui perché ho rispettato la mia parte dell'accordo, ora tocca a te
Kurt sollevò le mani in segno di resa – non voglio che si dica in giro che non rispetto i patti, ho già parlato con i miei uomini, uno di loro ti accompagnerà di sotto
- D'accordo – mormorai e poi mi voltai ma, prima che potessi lasciare la stanza, fui fermato dalla sua voce.
- Sei sicuro sia andata esattamente come mi hai raccontato? – chiese tendenzioso – il tuo amico Alencar non c'entra niente con questa maldestra fuga? Non sarebbe una ricompensa meritata se tu mi stessi mentendo
- Ti ho già detto com'è andata, quell'idiota voleva uscirne così ha pensato bene di organizzare una fuga. Io e Alencar ci siamo mostrati disponibili ad aiutarlo per tenerlo d'occhio e poi Alencar mi ha mandato a riferirlo a te. – ribadii con tono fermo.
- E tu hai pensato bene di chiedere un compenso per questa informazione – mi ricordò divertito.
- Tutto ha un prezzo
- Allora goditi il tuo premio e riferisci ad Alencar di farsi vivo la prossima settimana, ho una faccenda da affidargli.
Mi congedai velocemente, preferivo persino evitare di pensare al mio amico in quel momento, anzi, preferivo evitare di pensare a qualsiasi cosa fosse accaduta la notte precedente. Le urla, il sangue, Jonas e la sua famiglia assassinati con quella perfidia e poi c'ero io, non ero migliore di Kurt.
Nel corridoio incontrai due uomini che mi fecero segno di seguirlo e, con passo svelto, attraversammo il locale dritti verso la porta di servizio.
Il Moonlight era lo strip club più famoso di Brooklyn, nonché uno dei più remunerativi di Kurt, sembrava che fosse sorto lì il suo impero e sicuramente era lì che la mia storia era cominciata.
Quanti anni erano passati?
Decisamente troppi, ero solo un bambino quando i miei si trasferirono dalla Cina insieme a mia nonna, per provare a iniziare una nuova vita. Dicevano che l'America aveva tanto da offrire e noi avevamo bisogno di ricominciare, ovviamente niente andò davvero come previsto. I miei genitori avevano aperto un negozio che però non aveva portato alcun profitto, tanto che decisero che fosse meglio rientrare a casa, dove un parente ci avrebbe dato da lavorare. Nemmeno il rientro andò liscio, poco prima della partenza mia nonna si ammalò e non fu più in grado di viaggiare, così mi offrii di restare con lei finchè ce ne fosse bisogno.
Fu una malattia lunga e penosa, la lasciavo solo per andare a scuola o per altre poche ore, comprare da mangiare e permettersi i farmaci stava diventando complicato, così cominciai a rivolgermi al mercato nero. Spacciatori, infermieri corrotti, facevo da corriere per avere un guadagno extra oltre il lavoro part time in una pizzeria. Andava male e, quando le cose peggiorano tanto in fretta, è facile scegliere di risolvere i problemi creandosene altri, così divenni uno spacciatore quasi senza rendermene conto.
Questo non salvò mia nonna, lei morì comunque un anno e mezzo dopo, ed io, alla soglia dei venti anni, avevo attirato l'attenzione di diverse figure pericolose. Il capo che avevo all'epoca lavorava già per Kurt e, quando i miei suggerimenti salvarono un intero carico di erba, decise che era arrivato il momento che mi presentassi al grande capo.
Fu proprio al Moonlight che incontrai Kurt per la prima volta, ad una festa piena di pezzi grossi e droga, le luci soffuse del locale facevano da cornice alla coca e all'alcol che scorreva a fiumi. Ragazze e ragazzi semi nudi che ballavano e portavano vassoi in giro per la sala, lì i miei occhi si posarono su un ragazzo in particolare. Il suo aspetto stonava tremendamente con quell'ambiente, sembrava un bambino, dall'aspetto delicato e sperduto, reggeva il vassoio ma le sue gambe tremavano. Il corpo era cosparso di glitter ma non risplendeva, anzi, sembrava un buco nero, un vortice di disagio e sofferenza.
Fui strappato via da quel momento di contemplazione e trascinato dal mio capo verso il bar, accettai vari drink finchè non mi comunicò la grande notizia.
- Sai Tian – disse amaramente – devo proprio salutarti stanotte, Kurt ha sentito un po' quello che sai fare, come lavori bene e ha deciso che ti vuole nel suo gruppo ... - bevve una sorsata di Tequila – è una bella promozione, anche se mi dispiace un po' non averti più con me. Ma con Kurt si fa sul serio, giro più grosso e paga migliore!
Non la vidi affatto come una cosa vantaggiosa, anzi, iniziai già a pensare che fosse meglio andare via, organizzare un ritorno in Cina. Avevo solo sentito parlare di Kurt e quei pochi racconti mi bastavano ma, prima che potessi continuare a fingermi grato, il mio vecchio capo mi poggiò una mano sulla spalla.
- Vieni con me – disse allegro – abbiamo preparato una festa privata. Sai cosa si dice delle donne, no? Più sono giovani e più sono carine, vale anche per i maschi, dico bene?
Ancora una volta fui trascinato senza poter replicare in un privé e mi sedetti sul divano senza capire.
- Cosa succede? – chiesi quando ebbi la forza di articolare un pensiero.
- Oh vedrai, tutto per te! Per il mio ex dipendente preferito – rispose strizzando l'occhio – ho notato come lo guardavi
Poi se ne andò lasciandomi solo in quella camera poco illuminata e discreta, fui tentato di andare via, ma un rumore mi bloccò e vidi entrare un ragazzo. Era lui, il giovane che si aggirava sperduto per il locale, adesso era davanti a me e potevo guardarlo più da vicino.
Era molto più magro di quanto mi era sembrato, aveva la carnagione pallida con braccia e gambe sottilissime, indossava unicamente una culottes argentata. Aveva i capelli castani e mossi legati in una coda, il volto era scavato e gli occhi due pozze vuote, come quando si cerca di guardare nella nebbia e tutto sembra sparire inghiottito dal nulla. Io stesso mi sentivo inghiottito e perso in quello sguardo vacuo, la cosa che più mi inquietò era che fosse tanto giovane, doveva avere molto meno di diciotto anni.
- Ciao ... - provai a dire nel tentativo di interrompere quel silenzio.
Lui non rispose, sembrò non avere nemmeno capito cosa avessi detto, rimase ancora qualche istante in piedi e poi face qualche passo verso di me, si inginocchiò e portò le mani alla mia cintura. Mi si mozzò il respirò e, con un gesto quasi di panico, gli impedii di sbottonarmi i pantaloni.
Lui arretrò improvvisamente allarmato.
- Ma cosa fai? – chiesi incerto – qualcuno ti ha chiesto di venire qui?
Il suo sguardo continuava ad essere inquieto – non ... sono b-bravo? – disse alla fine a fatica in un inglese scarsamente articolato – tu ... chiedi ... io faccio
In quel momento mi fu tremendamente chiaro cosa stesse succedendo, più di quanto non lo fosse prima, nella grande sala principiale.
- Ma quanti anni hai? – domandai preoccupato da quel volto così infantile.
Lui non rispose, parve ancora confuso, come se non sapesse esattamente cosa volessi.
- Il tuo nome qual è?
Si voltò un po', facendomi notare la targhetta attaccata alla culotte, c'era scritto "Lucky", quello doveva essere il nome con cui lo avevano ribattezzato al locale, qualcosa per accattivare i clienti.
- Non quello, il tuo nome, quello vero – insistetti.
I suoi occhi confusi si riempirono di lacrime – io ... non capisco – ansimò – io ... chiedo scusa, cosa devo fare?
A quel punto mi sollevai e lo trascinai a sedere con me sul divanetto, gli presi il volto fra le mani e lo accarezzai.
- Stai calmo – dissi in un sussurro – non c'è niente di cui avere paura. Io sono Tian, mia madre mia ha chiamato così
- Mamma?
- Sì, io vengo dalla Cina e tu?
Sembrò riflettere – Polonia, per mia madre io sono Arek, qui ... loro dicono Lucky
- Sei ancora Arek, non preoccuparti – mormorai desolato.
Quella fu la prima volta che ebbi a che fare con quel genere di affari ma capii che il traffico di esseri umani era uno degli introiti di Kurt. Prendeva ragazzi e ragazze da tutto il mondo, soprattutto da piccoli paesini dove la fame e la miseria spingeva i giovani a vivere soli per strada. Le famiglie li lasciavano in orfanotrofi ormai pieni o non riuscivano a mantenerli, così lui pagava quella gente per farsi consegnare bambini e bambine di ogni età e farne merce da rivendere o sfruttare nei club.
Così Arek era arrivato in America, dopo un viaggio di giorni e giorni, fra la paura e la disperazione, senza che nessuno gli spiegasse cosa stesse succedendo. Picchiato, affamato, drogato e poi obbligato alla prostituzione, senza conoscere nemmeno la lingua che gli altri parlavano, senza nemmeno capire esattamente dove si trovasse.
Quella notte io capii che non sarei partito per la Cina, non sarei mai più andato da nessuna parte, ogni volta che potevo tornavo al club e chiedevo di Arek e passavamo il tempo a parlare. Cercavo di insegnargli l'inglese, di fargli capire cosa stesse accadendo intorno a lui e intanto speravo di diventare abbastanza importante da poterlo aiutare davvero.
Ma quello di cui non mi stavo rendendo conto era che insieme ad un legame avevo trovato una debolezza, qualcosa che mi aveva portato ad espormi con un uomo feroce e senz'anima.
Kurt aveva notato il mio interesse per Arek, aveva capito che io non ero un semplice cliente e che poteva rendere anche me suo schiavo.
Tutto ha un prezzo, ragazzo mio.
Click.
Il rumore della chiave mi riportò con la mente al presente, uno dei due uomini aveva aperto la cella che conoscevo bene e trascinò la grossa porta verso di sé mostrandomi l'interno.
La stanza angusta e buia puzzava di umido, sul lato destro c'era un lavandino e un secchio pieno di bottigliette d'acqua, a sinistra una brandina sulla quale c'era un corpo avvolto dalle coperte. Sentendo la porta aprirsi si riscosse, la testa di Arek fece capolino e, accorgendosi che si trattava di me, un enorme sorriso spuntò sulle sue labbra. Il suo volto magro era ancora tremendamente infantile nonostante gli anni passati, il suo corpo esile era coperto di vecchi vestiti logori, che a stento lo riscaldavano.
- Tian! – esclamò sollevandosi e lanciandosi fra le mie braccia.
- Come stai? – chiesi mentre accarezzavo i suoi capelli morbidi – mi dispiace, non essere passato spesso in queste ultime settimane, ma ho lavorato al tuo regalo di compleanno
Nessuno dei due sapeva quando fosse davvero il giorno del suo compleanno, ma avevamo capito che aveva circa quattordici anni quando ci eravamo conosciuti e quel giorno era diventato il suo giorno speciale.
- Non devi fare niente! – disse risoluto – tu fai troppe cose per me, io sto bene, non preoccuparti
- Beh, diciannove anni ... sono parecchi – commentai – pensavo che volessi festeggiarli nella tua nuova casa ...
Il volto di Arek si riempì di stupore, anche di incertezza, come faceva all'inizio, quando non era sicuro di capire cosa gli altri stessero dicendo.
- Nuova casa? – ripeté – io non sto più qui?
- Sei libero di venire con me – chiarii.
Non si trattenne, mi afferrò il viso e mi baciò con tutta la forza che aveva, sentii le sue dita premere forte sulle mie guance e le lacrime che si mischiavano fra le nostre labbra. Quando si staccò da me tremava ancora, come se fosse preda di un'allucinazione, come se quello a cui stava assistendo fosse un assoluto miracolo.
- Come hai fatto? Non puoi aver finito di pagare – mi ricordò – lui non mi lascerebbe mai andare senza ...
- Ha avuto qualcosa in cambio – risposi.
- Tu? Non ti sarai – non lasciai che continuasse.
- Non si tratta di me, l'ho aiutato a risolvere una faccenda. Tre vite in cambio di una sono più che sufficienti
Tacque a quel punto, sembrò impegnato a riflettere attentamente – Perdonami ...
- Non dire cose stupide e sbrighiamoci ad uscire di qui
A quel punto le nostre mani si avvicinarono e le nostre dita si intrecciarono in una stretta salda, cominciammo a camminare a grandi passi verso l'uscita del Moonlight, senza voltarci.

Quando spensi il motore dell'auto eravamo nel vialetto di casa mia, la stessa vecchia casa che dividevo con mia nonna anni prima e dove avevo vissuto in solitudine. Smontammo dal mezzo e percorremmo il piccolo vialetto prima di rifugiarci fra quelle vecchie pareti.
- Ti piace? – chiesi mentre lo guardavo osservare l'ambiente, ancora leggermente frastornato.
- E' così spaziosa – rispose osservando il piccolo salotto da cui si intravedeva la cucina attraverso l'arco.
Non era per nulla spaziosa quella casa, al piano di sopra c'era una sola camera e il bagno, aveva persino le scale vecchie e cigolanti ma in quel momento fui d'accordo con lui, era decisamente accogliente.
- Posso davvero restare qui con te? – domandò con tono pieno di speranza.
- Sei libero Arek, puoi fare qualsiasi cosa desideri – risposi serio – non voglio essere il tuo nuovo padrone, non devi restare qui perché credi che me lo devi. Ti darò una mano a raggiungere qualsiasi posto desideri, se vuoi tornare in Polonia ... cercare la tua famiglia
- Ma loro mi hanno lasciato – replicò risentito – non mi importa di loro, non mi importa di nessuno. Posso stare con te, Tian?
Gli passai una mano sul viso per accarezzarlo dolcemente – certo che puoi stare qui. Ho preso alcuni vestiti e li ho messi di sopra, puoi fare un bagno caldo e cambiarti. Appena ti sarai riposato possiamo uscire e comprare qualcosa che ti piace, che ne dici?
Lui annuì sorridente, poi mi fissò dritto negli occhi per qualche secondo, il suo sguardo non era più vuoto e privo di espressione come quando ci eravamo conosciuti, era più luminoso ed attento.
- Stai andando via?
- Solo per poco, mentre tu ti risposi un po'. C'è qualcosa che devo fare, una cosa molto importante – risposi mentre sentivo il suo corpo farsi più vicino al mio – torno presto, promesso

Stavo osservando gli studenti uscire pigramente dal cancello della scuola, non mi ci volle molto per individuare Callum e persino lui si accorse di me. Mi aveva riconosciuto, lo capii dal modo in cui tento di evitarmi prontamente, questo mi fece intuire che non era un buon momento per lui ed Alencar.
- Callum, per favore concedimi un momento – gli dissi correndo verso di lui e provando a bloccarlo.
- No, non mi interessa – ribattè nervoso – deve smetterla di controllarmi, adesso manda te
- No – lo interruppi – non mi ha mandato lui, sono venuto io per parlare di lui con te. Alencar ... - non sapevo cosa dire, quanto rivelare - non sta bene, ieri notte ... sono successe delle cose terribili
- Cosa? – la sua attenzione fu totalmente su di me, era spaventato – che vuol dire che non sta bene? Che cos'ha? Dov'è?
- Non lo vedo da ieri, forse è al suo appartamento – sospirai – credimi, non posso essere di nessun aiuto, mi odia adesso e fa bene a farlo. Ci sei solo tu, Callum. Fra Alencar e il crollo definitivo, ci sei tu
Non rispose, le mie parole lo avevano sconvolto, fece qualche passo indietro distogliendo lo sguardo e poi abbassò la testa, tentennò qualche altro istante e poi corse via lungo il marciapiede. Non sapevo se il mio racconto avessero fatto effetto su di lui o quanto la situazione fosse grave fra loro, ma sperai che qualcuno salvasse l'ultimo amico che mi era rimasto.


ALENCAR


Ero circondata dal buio intorno a me, le tapparelle erano chiuse e nell'appartamento regnava il silenzio. Ogni tanto si sentiva il ronzio del mio telefono ma lasciavo che squillasse fino a quando dall'altra parte non decidessero di arrendersi.
Me ne stavo sul letto, l'unica fioca luce filtrava dalle serrande ed illuminava qualcosa che avevo preparato con cura. La siringa stava lì, pronta davanti ai miei occhi, il liquido scuro la riempiva per metà, c'era più di una dose lì dentro.
Era così che sarebbe dovuto andare, se quella merda mi avesse ucciso anni fa non avrei mai condotto Jonas alla morte, forse se avessi rimediato alla mia stessa esistenza altri avrebbero evitato di soffrire.
E' ora di estirpare il cancro.
Presi la siringa fra le dita e la fissai da vicino, l'ago scintillò appena mentre lo avvicinavo al mio braccio.
Addio.
Prima che potessi incidere la mia pelle, un rumore mi portò a voltarmi verso la porta della camera, qualcuno era entrato in casa, qualcuno che aveva le chiavi.
Restai in attesa ed un profumo arrivò prima di tutto il resto, il suo profumo, Celia apparve un istante dopo davanti all'ingresso della mia stanza. I suoi occhi erano profondi e il suo sorriso fin troppo pronunciato, sembrava compiaciuta mentre mi fissava.
- Ho trovato un biglietto scritto da Callum – disse interrompendo il silenzio intorno a me – Alencar è in pericolo, salvalo
Io continuai a tacere mentre la vedevo avvicinarsi con passo lento e osservare meglio ciò che restava di me su quel letto, poi guardò la siringa.
- Non si sbagliava, giusto? – c'era una sorta di piacere perverso nel suo tono – hai bisogno di essere salvato? Hai bisogno di me? Potrei anche perdonare le nostre passate discussioni se ora mi dicessi quanto ti sono mancata ...
- Non ho bisogno di te, non ho bisogno di niente – risposi in un sussurro.
Lei restò impietrita, il suo volto soddisfatto si tinse di una forte frustrazione, gli occhi mostravano la rabbia, la vidi allungare una mano ed afferrare la siringa.
- Credi che senza di me saresti mai stato qualcosa in più di questo? – ringhiò – qualcosa in più di un tossico moribondo e malato, la tua vita la devi a me! Quello che sei lo devi a me!
- E cosa sarei? – urlai scattando in piedi – cosa sono diventato? Un assassino? Un bugiardo? Un burattino nelle mani di chiunque riesca ad ingannarmi!
Tremava mentre con due grandi falcate mi ritrovavo a sbattere contro il suo corpo e afferrarle i polsi, lasciò andare la siringa che cadde a terra mentre le sue labbra si aprivano e chiudevano incapaci di parlare.
- Tian mi ha usato, tu mi hai usato! Chi sono io? – continuavo a ripetere mentre il mio petto bruciava di rabbia.
- Lasciami andare – mormorò con voce tremante mentre tentava di divincolarsi.
- Perché dovrei? C'è forse qualcosa che non hai previsto in me? Sono forse fuori controllo? – ringhiai strattonandola ancora contro il muro – guardami!
Ma i suoi occhi erano lontani, intenti a cercare una via di fuga, così gli afferrai i capelli tirando con tutta la forza che avevo per spingerla a voltarsi.
- GUARDAMI!
Silenzio, mi ritrovai la parrucca fra le mani e fu come svelare i trucchi di un mago, la sicurezza, il disprezzo, il controllo, tutto quello che caratterizzava Celia cadde via, scivolando dalle mie dita. Al suo posto quel viso prendeva le sembianze di quello di Callum, ogni secondo che passava quegli occhi grigi si caricavano di una dolce preoccupazione e le sue braccia non si dibattevano più mentre le sue mani afferravano le mie.
- Alencar ... - sussurrò – stai bene?
Sembrava ancora spaesato, come se non capisse cosa stesse succedendo esattamente ma la sua preoccupazione era autentica.
- No – ammisi per la prima volta in tutta la mia vita – non sto bene Callum, per niente
Sentii gli occhi pizzicare e le lacrime scendere lungo il mio viso, lui si strinse prontamente a me, cullandomi in un abbraccio che sentivo di non aver mai ricevuto e di cui avevo un disperato bisogno.
- Ma lei ... dov'è? Perché l'hai mandata via, io pensavo ... - sentivo il suo cuore battere sempre più rapidamente contro il mio petto – pensavo che lei potesse salvarti
- Non ho bisogno di lei – ammisi ormai totalmente sveglio da quel sortilegio – ho bisogno di te, ti prego non sparire, non andare mai più via ...
Lo sentii rinsaldare la stretta intorno a me - non me ne vado, non ti lascio solo, ok? Sono qui
Perché? Nonostante tutto quello che ti ho fatto, come puoi ancora perdonarmi?
- Dovrei limitarmi a crepare, liberarti della mia presenza – dissi a denti stretti – non merito la tua pietà
- Non dire cose stupide, siamo io e te, ok? Tu mi hai salvato una volta – mormorò – lascia che io ti salvi adesso
- Pensi che ne valga la pena?
- Ne vale sempre la pena
Mi arresi a quel punto, lascia che Callum mi guidasse verso il letto e mi adagiasse lì sopra, sollevò le tapparelle leggermente e poi recuperò la siringa. Sparì oltre la porta per qualche minuto prima di ricomparire a mani vuote, si distese sul letto accanto a me e si strinse contro il mio petto.
Eravamo su un fianco, uno di fronte all'altro a fissarci negli occhi con i nostri corpi il più vicino possibile, quel nauseante profumo stava svanendo e potevo sentire l'odore della nicotina sui capelli di Callum. Sentivo una delle sue mani che mi sfiorava e intrecciava le mie dita con le sue, mentre poggiava la fronte contro la mia.
- Se sapessi cos'ho fatto ... - mormorai – mi odieresti
- No che non lo farei – ammise quasi rassegnato – penso che non riuscirei mai ad odiarti davvero
- Perché?
- Perché nessuno di noi è un mostro Alencar, non più di qualsiasi altro essere umano. Perché alle volte un solo atto di gentilezza può riscattare una vita di malefatte – rispose – e sai chi mi ha fatto capire questo? Tu.
- Io non ho mai compiuto atti di gentilezza, solo atti di egoismo – insistetti.
- Ti sei preso cura di me e, in un modo che nemmeno io so spiegarmi, mi hai salvato la vita. Un passo alla volta, non ce l'avrei mai fatta senza di te – inspirò – e forse salvando te ora, riuscirò a perdonare me stesso in futuro per la mia grande mancanza in quella spiaggia. Ora sono abbastanza forte per trascinarci a riva entrambi
Poi si avvicinò ancora e unì le nostre labbra in un bacio delicato, qualcosa di così intimo che mi sembrò quasi di dare un bacio per la prima volta. Sentivo la sua pelle morbida, il suo sapore in bocca e la lingua umida, percepivo il suo calore e la sua vicinanza. Forse dalla spirale di distruzione che avevo creato era riuscito comunque a germogliare qualcosa di buono, avevo protetto qualcuno. Quel bacio mi lasciò dentro una sensazione nuova, come il golem di argilla che attende il soffio di vita per muoversi, io mi sentivo nuovamente sveglio, nuovamente legittimato ad esistere. Forse la mia vita non sarebbe dovuta finire con un atto di vigliaccheria, forse potevo pretendere di più per me e per Callum.
Potevo pretendere vendetta e libertà.


ANDREW


Ero crollato e avevo dormito per quelli che mi erano sembrati giorni interi. Non dormivo così bene da settimane e, il fatto che non fossi crollato per via dell'alcol, era già un enorme traguardo per me. Il sole illuminava il letto sfatto in cui io e Levin avevamo fatto sesso per tutta la notte, ma di lui non c'era traccia. Doveva essere uscito presto, impegnandosi al massimo per non far rumore e rischiare di svegliarmi.
Paura delle conseguenze? Un tempo ne avrei riso, ma in quel preciso istante capii che c'era davvero qualcosa di preoccupante nel modo in cui ci eravamo addentrati l'uno nell'inferno dell'altro. Lo avevamo fatto con la sensazione di aver ponderato ogni cosa, come se quella notte di sesso fosse stato il nostro unico e solo contentino, un modo per poter toglierci dai piedi quell'attrazione spaventosa che avevamo iniziato a provare negli ultimi tempi. Una sola notte di sesso e poi tutto sarebbe stato più semplice. Avremmo ripreso le nostre vite come sempre, perché non ci sarebbe più stato il fantasma del "sono attratto da lui e non avrò pace fino a quando non me lo porterò a letto" ad incombere su di noi. La verità era ben diversa, scoprii quella mattina, la verità era che avrei voluto portarmelo a letto un altro migliaio di volte per reputarmi quasi soddisfatto.
Mi ero steso sul lenzuolo, con il petto contro il materasso, poi avevo inspirato il suo profumo dalle coperte ancora impregnate di lui. Era andato via senza dire un cazzo, forse era già stato preso dai primi rimorsi del giorno dopo. Non mi serviva un altro ragazzo nella mia vita, soprattutto non uno come Levin Eickam che si trascinava dietro una lunga serie di problemi ed un passato di merda. Avevo già un grosso impegno con Aiden, eppure non gli dovevo la mia fedeltà. Gli dovevo il mio tempo, gli dovevo parte dei miei pensieri e della mia sofferenza, gli dovevo perfino i miei soldi, ma non poteva prendersi altro da me.
Avevo ancora una cazzo di vita da dover mandare avanti, perché il mondo non si era mai fermato neanche un attimo da quella dannata notte in cui Aiden aveva avuto l'incidente.
Mi sollevai dal letto con il solo obiettivo di farmi un caffè e uscire da quella stanza il prima possibile. Ero stato sedotto e abbandonato? Nessuno mi aveva mai mollato da solo nel mio stesso letto prima di quel momento. Forse Levin voleva già chiuderla, forse a lui era bastata quella notte di sesso sfrenato e confidenze per sentirsi realizzato con sé stesso. Forse era per questo che Aiden era rimasto tanto colpito da lui. Aveva trovato una persona più fredda di me? Un altro cinico, menefreghista fissato con il sesso e incurante dei sentimenti?
Andai a farmi un caffè con una certa irritazione, non ero mai di cattivo umore dopo una nottata simile, spassarmela con qualcuno a letto mi metteva di ottimo umore di solito, ma non quel giorno. Avrebbe continuato ad evitarmi, mi chiesi?
Stavo per avviarmi verso la macchinetta del caffè quando la mia attenzione venne attirata da un post-it lasciato sul grosso bancone della cucina. Bianco su nero, era impossibile non notarlo. Senza rendermene conto stavo già sorridendo, era bastato posare lo sguardo sulla bella grafia di Levin e su quelle poche parole per risollevarmi il morale. Lo presi tra le mani con la stessa delicatezza che si userebbe su una reliquia sacra.
"La prossima volta che mi cerchi, chiamami sul cellulare"
Quelle parole erano seguite dal suo numero.
La giornata trascorse in uno strano stato di euforia che non provavo da quando avevo iniziato a prendere le prime lezioni di volo, quasi sei anni prima.
A boxe mi feci quasi massacrare da un altro ragazzo a causa della mia totale disattenzione verso qualsiasi cosa. Dopo l'ennesimo pugno Alec mi prese per le spalle e mi spinse fuori dal ring.
- Wolfie oggi è con la testa tra le nuvole. Bevuto troppo ieri sera? – il mio allenatore se la stava ridendo di gusto, era raro che mi facessi pestare in quel modo. Mi tolsi il paradenti e le protezioni sotto gli occhi indagatori del mio amico e quelli esterrefatti degli altri ragazzi che si allenavano.
- Hai deciso di farti ammazzare per caso? Non ne hai schivato uno!
Ero sotto la doccia ed Alec continuava a parlare. La mia mente era altrove però, mi stavo chiedendo se fosse troppo da sfigato chiedere a Levin di rivederci quella sera stessa. Mi avrebbe preso per un idiota? In tempi migliori non avrei avuto alcun problema a far passare un paio di giorni tra un incontro e l'altro ... in fin dei conti il mare era pieno di pesci, no?
- Mi stai ascoltando?
Tornai al presente per ritrovarmi Alec nel box doccia accanto al mio che mi fissava con un'espressione preoccupata sul volto
- Ti sei fatto pestare da un tipo che in una situazione normale avresti battuto in un paio di minuti! E' successo qualcosa? Oggi sei così ...
- Figo da morire? – conclusi per lui. Stavo ridendo e questo dovette tranquillizzarlo in parte. Lo vidi scuotere la testa
- Pensavo che ci fosse qualche problema, considerato tutto quello che stai passando in questo periodo, ma se sei in vena di ironizzare non può andarti così male.
- Forse l'ironia è tutto quello che mi è rimasto – commentai – di sicuro il buonsenso è andato a farsi fottere insieme alla mia capacità di rigare dritto.
- Non hai mai avuto niente del genere, tranquillo – Alec portò gli occhi al cielo e si infilò sotto il getto d'acqua. Un paio di minuti di silenzio, poi tornò alla carica
- Chi è stavolta? Ci hai passato la notte?
- Non sono affari tuoi – ribattei con un sorriso smagliante sulle labbra.
- Ma sono il tuo migliore amico!
- Sei il mio unico amico, nessuno ti ha mai dato del migliore ... - gli feci notare
Presi l'asciugamano e me la arrotolai intorno alla vita. Ero già pieno di lividi violacei sul petto e sui reni, presto sarebbe arrivato anche il dolore.
- Questi non te li ha fatti Garreth però ...
Alec mi passò un dito lungo la schiena, soltanto guardandomi allo specchio notai una serie di mezzelune arrossate e piccoli graffi. Oh Levin.
- Quindi? Adesso non salvi soltanto cani, ma anche gattini? – mi chiese, ammiccante
- Sono muto come una tomba. La tua è una battaglia persa in partenza. Adesso devo passare a trovare Aiden, ci si vede in giro.
In ospedale tutto era immutato come sempre. Il signor Berg era lì, osservava Aiden con lo stesso sguardo impotente riflesso sul viso di ognuno di noi. Poi la sua attenzione cadde su di me, non avevo mai parlato con quell'uomo, né conoscevo nei dettagli la sua storia o quello che era successo tra lui ed il figlio. Non sapevo un cazzo perché non mi ero mai preso la briga di chiedere ad Aiden come stessero andando le cose. Mea culpa.
Lo vidi venire verso di me, a quel punto ero più o meno certo che sapesse tutto o quasi.
- Sei Andrew, vero? Il ragazzo che sta pagando le cure di mio figlio al posto mio.
Annuii – Non è un problema per me.
- Lo è per me – il suo tono era amaro, lanciò un'altra occhiata disperata verso quella dannata stanza – sono stato un padre di merda per lui. Assente, egocentrico, cieco di fronte alle sue richieste di aiuto. Non riesco neanche a ricordare l'ultima volta che io ed Aiden abbiamo avuto una normale giornata tra padre e figlio. Negli ultimi anni ci sono state soltanto liti e ritorsioni ... non gli ho mai chiesto scusa per essere andato via, non ho mai provato a capire la sua sofferenza. E adesso non posso neanche prendermi cura di mio figlio. Cazzo, che cosa dovrei fare?
- Sperare che si risvegli ... sperare che lei abbia ancora la possibilità di fare ammenda per quello che gli ha fatto passare.
Era più o meno quello in cui speravo io. Non stavo giudicando nessuno, non era nella posizione adatta di impartire lezioni a chicchessia, tanto meno ad Alan Berg. Avevo già i miei demoni da tenere a bada, i miei dannati sensi di colpa da sedare in qualsiasi modo possibile e immaginabile.
- Certi uomini non sono fatti per essere dei padri ... triste, ma vero. – concluse lui.
- Doveva pensarci prima, non crede? – gli feci notare
- Vorrei solo una seconda possibilità. Non chiedo altro
Poi andò via, i suoi occhi si erano inumiditi di lacrime ed Alan Berg non voleva iniziare a frignare davanti ad un uomo.
C'era una fila di gente disperata che attendeva il risveglio di Aiden. E ognuno di loro, me compreso, aveva fatto del male a quel ragazzo a cui adesso chiedeva pietà. Lo avevamo massacrato in vita e allo stesso tempo avevamo il barbaro coraggio di aspettarci un'assoluzione che non stava arrivando. Il perdono ci avrebbe aiutato a scaricarci la coscienza, a sentirci di nuovo degli angeli gli occhi di Dio, ma io non ero mai stato un angelo. Prova ne era quello che stava succedendo con Levin, come se non fosse bastato il resto.
Il biglietto che mi aveva lasciato era nella tasca del mio cappotto, cercai di fare un'analisi su quanto sarei potuto sembrare patetico a chiamarlo così presto, in fin dei conti era stato lui a lasciarmi il suo numero di cellulare. Era stato un chiaro invito a chiamarlo quando ne avessi avuto voglia. E ne avevo già. Non ci pensai più, composi il suo numero mentre mi dirigevo in auto e aspettai.
- Pronto?
- Ehi, sono io. Che stai combinando?
Levin tentennò appena, potevo quasi immaginarlo mentre soppesava la situazione. Non immaginava che lo avrei richiamato tanto presto ... ne ero sicuro
- Sono a casa. Stavo cercando di finire un saggio. Tu?
- Che bravo bambino ... - lo presi un po' un giro per sentirmi mandare a quel paese un attimo dopo – quindi ti sto disturbando? Perché pensavo che potresti fare un salto a casa dei miei, per salutare il cane, sai
- Ah, adesso è così che si dice? Salutare il cane? Creativo
Malizioso. Presi un profondo respiro e cercai di non farmelo venire duro nel bel mezzo di un corridoio pieno di gente. Dannazione, Levin ci sapeva fare anche con le parole e questo non poteva che portare ad una lunga serie di guai.
- Mi dispiace, ho troppa roba per domani e ho promesso ad un mio amico che saremmo usciti più tardi. Non se la passa bene
- E io me la passerei meglio?
Levin rise piano – Mi sembravi messo piuttosto bene quando ti ho lasciato stamattina. Dormivi come un bambino infatti
- Avresti potuto almeno svegliarmi invece di scappare come un ladro – gli feci notare con un tono che però mitigava il peso delle mie parole
- E perché mai? Eri stanco. Non hai più diciotto anni, no? Meritavi un po' di riposo dopo una nottata così movimentata.
- Stai insinuando che sono troppo vecchio per te? Attento a quella lingua, Levin. Non hai idea di quello di cui sono capace
Lo sentii sospirare piano – Davvero? Invece credo di avercela. O almeno una parte di me.
Stavolta fu il mio turno di ridere, forse c'eravamo andati pesanti considerando che non era più abituato a quel genere di notti. Ero arrivato alla mia auto ormai, rimasi un attimo in silenzio, incerto su quanto insistere o meno. Non mi sembrava che Levin mi stesse evitando, forse era davvero troppo impegnato per passare del tempo con me, forse neanche lo voleva.
- Senti, se ti trovi nelle mie zone io sono a casa
Una proposta. Cercai di riprendermi dallo stordimento che quelle parole avevano causato in me
- Da solo?
- No, volevo invitarti ad una cena in famiglia. Certo che sono solo, anche se mia madre tornerà presto – mi prese in giro lui, ridendo subito dopo
- Ho preso un paio di pugni in testa a boxe oggi – provai a giustificarmi
- Si nota. Allora? Che vuoi fare?
Trenta minuti in strada per andare da un ragazzo con cui non avrei potuto fare molto. Declinare l'offerta era la cosa più sensata da fare, non ero Romeo e Levin non era la mia Giulietta.
- Sto passando, aspettami – dissi invece, sorprendendo perfino me stesso.
C'era qualcosa di diverso in Levin o forse c'era qualcosa di diverso in me a quel punto. Niente giochi di potere, ero stanco di tirare la corda per mettere alla prova il prossimo, volevo vederlo semplicemente, anche per dieci dannati minuti. Mi sentivo attratto da lui nel peggior modo possibile, una sbandata che mi avrebbe fatto centrare un muro in pieno alla massima velocità forse, ma non importava.
Quando arrivai in Brooklyn Heights ogni pensiero disperato lasciò il mio corpo per accogliere un nuovo senso di euforia ed eccitamento che ormai collegavo alla persona di Levin. Parcheggiai davanti casa Eickam, un posto talmente snob e perbene da cozzare in tutti i modi con la personalità complessa di Levin. Il cancello era già aperto, entrai nel suo vialetto con passo fermo, una dolcissima toccata e fuga prima di immergermi in un'altra serata insensata trascorsa in un posto qualunque.
Suonai il campanello, chiedendomi se avrei avuto abbastanza capacità persuasive per portarmelo dietro. Passare la notte altrove mi sembrava una stupida perdita di tempo che volevo evitare a tutti i costi, volevo tornarmene a letto e volevo che ci fosse lui lì dentro, possibilmente per tutta la notte.
Levin era apparso sulla porta, i suoi capelli ossigenati erano arruffati, portava una felpa scura e larga ed i pantaloni della tuta. Una visione talmente paradisiaca che mi spinse ad andargli incontro per baciarlo prima ancora di appurare che non ci fosse nessuno nei paraggi. Non ci furono resistenze, la sua bocca era fresca e morbida contro la mia, sentii le sue mani stringermi il viso e spingermi dentro casa. I nostri baci si fecero più serrati, aveva bloccato il mio corpo contro la parete, sentivo i ritratti di famiglia tintinnare sulle mie spalle, ma non importava. Ci fermammo soltanto quando eravamo ormai prossimi all'asfissia.
Le sue guance si erano colorate di rosso, la stessa vivida lucentezza dei suoi occhi chiari che in quel momento apparivano scuri come pozzi
- Sei dannatamente bello, Levin – mi lasciai sfuggire, quasi a mo' di saluto. Gli avevo già messo le mani addosso di nuovo, intorno alla vita, quasi sull'elastico dei pantaloni
- Potrei non essere più bello come adesso se i miei ci trovassero qui
- Gli dirò che sono un amico – lo baciai di nuovo, il mio era stato un sussurro sensuale a pochi centimetri dalla sua bocca
- Saresti molto credibile di certo, ma scommetto che non se la berrebbero.
Un altro bacio carico di passione, Levin mordicchiò il mio labbro e mi fece gemere, volevo di più. Molto di più. Avevo infilato le mani sotto la sua felpa, a contatto con la sua pelle calda, lasciandola vagare lungo i muscoli appena accentuati del suo petto. Levin mi fermò
- Andrew ... non possiamo iniziare perché non avremo il tempo di finire. Non ci metteranno troppo a rientrare.
- E quando ci rivediamo? – non avevo mai smesso di baciarlo, stavo torturando il suo collo. Adoravo sentirlo contorcersi sotto le mie mani.
- Domani?
- Stasera – ribattei in fretta
Levin sospirò – M-ma stasera avevo promesso al proprietario del negozio di dischi che lo avrei aiutato con
- Stasera – gli impedii di finire, poi lo baciai di nuovo sulle labbra per bloccare quel flusso di deboli lamentele. Levin era eccitato almeno quanto me, potevo vedere il rigonfiamento nei suoi pantaloni della tuta. Quella visione mi stava tormentando
- Stasera a casa mia – ogni parola era stata scandita da un bacio, poi lo avevo lasciato andare, seppure a malincuore. Non volevo beccare gli Eickam sulla porta, dovevo controllarmi.
Levin era confuso e spiazzato, i suoi occhi erano intrisi di voglia e caos, era impossibile dirmi di no a quel punto. Lo vidi deglutire piano, mi guardava, prima le labbra, poi il collo, poi giù lungo il mio petto. Aveva voglia anche lui di me e quel pensiero mi riempì di gioia ed orgoglio allo stesso tempo. Non ero il solo, eravamo insieme a volere qualcosa di dannatamente reale.
- Vengo a prenderti io?
- No, verrò in metro e solo quando avrò finito ad aiutare Jack con l'inventario. Quindi non troppo presto
- Così si chiama Jack, eh?
- Jack ha sessant'anni – si affrettò a specificare – e adesso vattene.
Un ultimo bacio frettoloso e pieno di desiderio. Poi Levin mi aveva spinto indietro e sbattuto la porta in faccia.
Avevo un dannato sorriso sulle labbra. Guardai il cielo grigio e in procinto di piovere e pensai che non ricordavo una giornata tanto bella da mesi.

ANGOLO AUTRICI:

Nuovo capitolo e nuove informazioni, se non altro ci sono delle motivazioni dietro il gesto di Tian anche se non lo giustificano fino in fondo. E che dire di Levin e Andrew? si commentano da soli XD Notate qualche altro interessante riavvicinamento? :3

Alla prossima, un bacio

BLACKSTEEL

SplitDove le storie prendono vita. Scoprilo ora