16. You, me and the other people

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Expertus metuit.

(Colui che ha esperienza teme)


CALLUM
Come in un incubo che si sussegue senza sosta, io mi ritrovavo a percorrere quei corridoi, giorno dopo giorno. Il tempo non aveva reso quel posto meno insopportabile, anzi, c'era chi aveva come missione rendermelo anche peggiore.
Sentivo gli occhi di Maxwell perennemente addosso, ero stato sveglio fino a tardi la sera prima per preparare la sua ricerca di Storia ed ero persino indietro con i miei compiti. Non c'era nulla che potessi fare purtroppo, sapevo che quelli come lui non potevano essere sconfitti da quelli come me. Non mi restava altro che ingoiare la sensazione schifosa che mi risaliva nella gola ogni volta che si fermava a parlare con me e cercare un modo di accontentarlo. Ribellarsi ormai era impossibile, non dopo quello che Maxwell sospettava, non se c'era di mezzo anche lui.
A metà giornata mi rintanai nel mio posto preferito, sul retro della scuola e come di consueto ormai, non ero solo. Vedere lì Levin, dopo tutte quelle settimane, stava diventando una piacevole abitudine. Mi ero ritrovato ad aspettare prima di accendere la sigaretta se non lo trovavo già lì, quella piccola realtà mi piaceva. Sembrava come prendere un grosso respiro, un momento di assoluta tranquillità dove potevo parlare con qualcuno liberamente, era come se mi prendessi una pausa dalla mia esistenza.
- Hai una faccia distrutta – mi disse accendendo la sigaretta.
- Sono stato sveglio fino a tardi ieri ... - mormorai.
Quello scosse la testa tirando una boccata di fumo e lasciandolo andare fuori lentamente, libero. Essere fumo, essere niente, questo è rassicurante.
- Le pressioni del tuo amico non ti hanno tenuto al sicuro a lungo – notò ed io abbassai lo sguardo.
- Credimi, ho grande esperienza in questo genere di cose. Conosco i tipi come Maxwell e non c'è niente da fare, sono io quello che ...avrebbe qualcosa da perdere.
Restammo di nuovo in silenzio, entrambi ad assaporare il gusto acre del fumo in bocca, fissando le nuvole che si spostavano pigramente. Voltai lo sguardo e osservai per un momento il volto di Levin, sembrava sempre così stranamente calmo anche se sentivo che non era questa la sua natura. Non era uno come me, non lasciava che il mondo gli crollasse addosso, non si faceva schiacciare dai detriti, Levin aveva ancora delle spalle forti e forse per questo stare al suo fianco mi dava un senso di sicurezza.
Sei sempre il solito parassita, pronto ad attaccarti alle altre persone per sentirti meglio.
- Deve comunque tenerci abbastanza a te, quel tipo – disse ad un tratto.
Rimasi interdetto per una manciata di secondi – come?
- Il tipo che ha pestato Maxwell, almeno deve tenerci a te
- Alencar ... - pronunciare il suo nome mi diede una strana sensazione – non so cosa pensi di me, insomma ... mi detesta, però è anche gentile. È più gentile di tutti gli altri almeno
Triste ma vero, ecco cosa mi ero ritrovato a pensare, più passava il tempo e più sentivo la sua mancanza in quella casa, come se la sua presenza fosse l'unica a non farmi sentire trasparente.
- Non gli dirai quello che è successo con Maxwell? – chiese – non sei proprio uno che cerca vendetta tu.
Io scossi la testa – va bene così. Se glielo dicessi finirebbe per mettersi nei guai per colpa mia, lui ... è un po' impulsivo
Non è per te che lo farebbe.
Per un momento mi chiesi quanto Levin avrebbe pensato che fossi pazzo se gli avessi raccontato davvero la verità su quello che accadeva fra me, Alencar e Celia.
- Sei uno tosto, Callum – disse alla fine spegnendo la sigaretta – se fossi un debole andresti a piagnucolare da lui. Tienilo a mente questo, nonostante tu ti veda una mezza sega lo stai proteggendo. Questo le mezze seghe non lo fanno
Io lo guardai, io che proteggevo Alencar? Era davvero buffo ma sorrisi mentre scuotevo le spalle – se riesco a proteggere qualcuno non sono del tutto da buttare allora.
- Non lo sei – mi assicurò.
Poi iniziammo a camminare nuovamente verso il cortile e, prima di separarci, promettemmo di vederci dopo cena nel giardino di casa mia per una sigaretta serale.
Quando tornai nel corridoio la mia consueta apatia mi riavvolse, vedevo gli altri studenti sfilarmi accanto velocemente, divisi fra chi nemmeno considerava la mia esistenza e chi cercava volutamente di evitarmi.
Ad un tratto sentii un tocco leggero sulla mia spalla e mi voltai confuso, non sembrava un gesto minaccioso e non capii chi potesse essere. Quegli occhi di un azzurro simile al ghiaccio incrociarono i miei immediatamente, Keno era uno che ti fissava sempre dritto in faccia e non abbassava mai lo sguardo. Questo non valeva per me.
- Ciao – mormorai mentre spostavo gli occhi dal suo viso al mio armadietto e cominciavo a trafficare con i libri.
- Ciao a te, ho una fantastica proposta per questo fine settimana – disse poggiandosi allo sportello per recuperare il contatto visivo – ci vieni a una festa?
Quella proposta mi gettò completamente nel panico – festa? Questo fine settimana?
Quello scosse la testa – devi consultare la tua agenda? Lo sappiamo entrambi che non hai niente da fare Callum – poi rise.
- Non sono molto abituato ad andare alle feste – dissi sperando che desistesse ma Keno non era una persona abituata a sentire rifiuti, lo capii da quella luce che aveva negli occhi.
-Non ti serve mica un brevetto! – protestò – senti ci sono io con te, ci andiamo insieme. Ti presento anche un po' di amici, ci divertiamo e balliamo. In queste feste c'è sempre un gran casino e nessuno si ricorda di nessuno, se ti preoccupa questo.
Non sapevo nemmeno cosa mi preoccupasse di preciso, restai lì a fissarlo senza essere in grado di spiegare neanche a me stesso perché mi stessi opponendo. Avevo paura di qualsiasi cosa, ero fatto così, troppe esperienze negative mi avevano insegnato sempre a temere qualsiasi cosa si presentasse.
- Se ... dovesse succedere – dissi a stento – sai ...
- L'attacco di panico? – chiese quello con aria meditabonda – beh, fanculo! Se succede filiamo via in un posto tranquillo. Tanto mica ti uccide, no? Poi ti rimetti in piedi
Poi ti rimetti in piedi.
Quelle semplici parole illuminarono la mia mente, io mi rimettevo in piedi, sembrava strano, un pensiero che non mi apparteneva eppure era quello che facevo sempre. Crollavo, soffocavo, morivo e poi mi rimettevo in piedi, potevo farlo.
Mi ritrovai ad annuire senza rendermene conto – ok, se restiamo insieme ci vengo.
Il volto di Keno si illuminò soddisfatto – certo che restiamo insieme! Ti ho promesso che ti avrei fatto vivere un po', mantengo sempre la parola
Avrei voluto replicare che non doveva fare promesse del genere ma lui era già corso via lasciandomi il volantino della festa in mano. Halloween? Improvvisamente non mi sembrava più una grande idea, peccato che non c'era più nessuno a cui dirlo, sembrava che mi sarei dovuto gettare in quell'impresa senza poter tornare sui miei passi.  

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