9. Our way to fall

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Nella foto: Kai Eickam

Fallacia alia aliam trudit, Publio Terenzio

(Un inganno tira l'altro)



AIDEN

Mi piaceva come venivo trattato sul lavoro, tutte quelle attenzioni che mi riservavano mi facevano sentire importante, forse perfino essenziale agli occhi di qualcuno. Durante i servizi fotografici smettevo di essere uno dei tanti studentelli a spasso per Brooklyn e diventavo qualcosa di diverso, un'icona da seguire e forse perfino riverire. Era fin troppo comodo dismettere i miei panni e fingermi qualcun altro, soprattutto quando quello sconosciuto poteva andarsene in giro per la città ostentando sicurezza ed abiti costosi come se fossero la sua seconda pelle.
La realtà era ben diversa e per niente affascinante, bastava liberarsi di quei vestiti e tornare a casa per far crollare quella piccola e insulsa finzione durata appena poche ore. Mia madre era seduta a tavola, il suo visto stanco era chino su quelli che dovevano essere avvisi di scadenza di pagamento e tasse. Documenti su documenti che si costringeva a leggere da cima a capo. Quella scena mi provocò il solito senso di amarezza e inadeguatezza, ma mi costrinsi ad avanzare in cucina come se niente fosse.
- Ehi Aiden, non ti avevo sentito arrivare – La vidi coprire un grosso sbadiglio dietro la mano, nonostante tutto continuava perfino a sorridermi – non è che faresti un po' di caffè? Sento di stare per crollare
- Mamma, potresti prendertela comoda almeno durante il tuo unico giorno libero – Erano parole vuote quelle, le ripetevo quasi ogni settimana e puntualmente non venivano mai accolte da mia madre. Mi limitai a mettere su il bollitore
- Devo stare dietro ad un sacco di cose, tesoro. Mi riposerò quando sarò morta
- Se continui con questo ritmo non ti ci vorrà molto. Tra doppi turni in ospedale e veglie sulle bollette credo che tu stia esagerando – le feci notare.
- Beh, se proprio vuoi rendermi le cose più semplici potresti iniziare con il rispondere alle chiamate di tuo padre. Ieri mi ha detto che non ti sei presentato al vostro appuntamento della settimana scorsa
Quel tono così deluso mi dava sui nervi – Già, non ho voglia di giocare all'allegra famigliola con Alan. Spiacente. Quanto è patetico? Viene a lamentarsi con te!
- Lui non si stava lamentando, tesoro. Vuole vederti per parlarti di una questione
- Dio, perché prendi sempre le sue difese? – il mio tono di voce salì a dismisura – ti ha tradito, mamma! Ti ha tradito e mollato per una troietta ventenne! Perché diavolo non sei neanche incazzata?! Non lo capisco ... sembra quasi che io sia l'unico qui a vedere le cose per come stanno
Uno strano silenzio calò sulla stanza. Mia madre si tolse gli occhiali e prese ad accarezzarsi le tempie con lentezza. Non volevo neanche sostenere una conversazione del genere.
- Bene, vorrà dire che te ne parlerò da sola
- Che cosa significa? – ero confuso, non andai neanche a sedermi accanto a lei. Rimasi in piedi, con le braccia conserte e la mia solita postura rigida
- I-io ... io non riesco più a mantenere questa casa, Aiden. Ci ho provato con tutta me stessa, ma tra affitto, tasse di ogni genere e spese ... non ce la faccio più. Siamo all'osso
- Posso darti una parte dei soldi che guadagno, non è un problema per me
- Non basterebbero – il suo tono era perentorio. Mi ritrovai a fissare l'enorme mole di documenti sparsi sul tavolo. Sapevo che non navigavamo nell'oro, ma eravamo messi davvero tanto male allora?
- Però ecco la buona notizia, qualche settimana fa mi hanno offerto un nuovo posto di lavoro. La paga è ottima e non dovrei fare neanche tutti questi straordinari. Potrebbe essere un buon modo per prendere un bel respiro e iniziare di nuovo
Dov'era la fregatura, mi chiesi? Doveva essere lì da qualche parte. Pronta a saltare fuori in un momento in cui le cose andavano già di merda per me.
- Il punto è che dovremmo trasferirci a Norfolk. Lì gli appartamenti hanno prezzi molto più abbordabili. Ho già iniziato a fare qualche calcolo dei costi e rientreremmo perfettamente in tutte le spese. Vedi, potresti finire la scuola lì -
Gelo. Per un attimo mi sentii come se un oggetto volante grosso come una casa mi avesse investito in pieno. Soffocai una risatina incredula
- A Norfolk? In Virginia? Ci sono come minimo otto fottute ore tra Brooklyn e Norfolk! D-dovrei trasferirmi in un posto che non conosco? Durante il mio ultimo anno di liceo? Cristo, tutta la mia vita è qui. N-non puoi parlare sul serio
- Oppure puoi rimanere qui ... tuo padre e Giselle sarebbero felici di averti a casa loro
Non lo aveva detto sul serio, non potevo aver sentito bene. Vidi i suoi occhi chiari, così simili ai miei, riempirsi di lacrime in fretta non appena incontrò il mio sguardo che doveva essere sconvolto.
- Come puoi chiedermi di andare a vivere da lui? Sai quanto lo odio! – avevo parlato con un filo di voce, stavo tremando
- Non c'è altra scelta, tesoro. Mi dispiace, ma non c'è. Non possiamo permetterci di vivere a Brooklyn. Ho provato ad arginare i nostri debiti come meglio ho potuto, ma non posso più farlo ... entro due mesi al massimo dovremo lasciare casa. So che ti sto chiedendo tanto, mi dispiace tantissimo, Aiden
- Perché non me lo hai detto prima? Cazzo! Ho comprato questa dannata auto quando avrei potuto aiutare te con le spese ...
Il viso di mia madre si incupì – Tesoro, devo essere io a pensare a te! Sono tua madre
Due mesi. La mia vita sarebbe cambiata drasticamente in soli due mesi. Mi sentii perso, non riuscivo più a sostenere lo sguardo distrutto di mia madre, né riuscivo ad ascoltare quelle rassicurazioni inutili su quanto tutto sarebbe andato bene alla fine. Voleva spedirmi da mio padre ... Aiden, il grosso fardello che nessuno voleva portare.
- Esco
Andai via quasi scappando, incurante dei richiami di mia madre. Quella non poteva essere la mia realtà, forse stavo semplicemente dormendo e presto mi sarei svegliato, le risate sarebbero state assicurate dopo. Ma non c'era nessuna sveglia pronta a riportarmi alla mia quotidianità fatta di noia e certezze, non quella volta. Così continuavo a correre, urtando contro quella gente, come una mina vagante che non aveva idea di dove sarebbe finita.
Il negozio di dischi si ergeva davanti a me come un'apparizione divina. La musica era sempre la risposta a tutto, no? No, non solo quella. Una testa bionda ossigenata faceva capolino da una poltrona in sala ascolto; mi stavo dirigendo verso Levin senza far caso a nient'altro. Aveva gli occhi chiusi, era talmente concentrato nell'ascolto da essersi estraniato del tutto. Pallido, dagli zigomi alti e i tratti spigolosi. Quella volta i suoi occhi penetranti non mi stavano tenendo in ostaggio ... no, quella volta potevo concedermi tutto il tempo che volevo, o almeno era quello che credevo. L'ascolto era finito in fretta e quando aprì gli occhi mi trovò semplicemente lì, in piedi davanti a lui.
- Aiden? – si tolse le cuffie in fretta. Mi chiesi che faccia dovessi avere per provocare in lui un'espressione così sgomenta
- Ehi. Bella pensata che abbiamo avuto. Giuro che non ti stavo seguendo! Ero solo in giro – volevo aprire le labbra e ridere, volevo farlo davvero e con tutte le mie forze. Ci stavo riuscendo?
Levin mi guardò con attenzione – Va tutto bene? Sembri diverso dal solito
Stavolta riuscii a ridere davvero, una perfetta imitazione di una risata – Più figo vuoi dire? Già, te lo concedo. Sono reduce da un servizio fotografico a Manhattan. Guarda, devono avermi messo della crema ed altri intrugli profumati in faccia. Sono extra morbido. Senti?
Afferrai le mani di Levin e le guidai verso il mio viso. Le sue mani erano caldissime a contatto con la mia pelle fredda, era un tocco fin troppo piacevole ed intimo. Perché lo avevo fatto? Stavo perdendo la testa. Levin era confuso, continuava ad osservarmi con un velo di preoccupazione piuttosto visibile.
- Perché non andiamo a bere qualcosa? – proposi con così tanto entusiasmo che spaventò perfino me stesso. Stavo combattendo contro la voglia di piangere, ma adesso avevo compagnia e potevo semplicemente fingere che niente di tutto quello fosse successo davvero.
- Davanti una pinta sarà più semplice dirmi che ti prende. Vado a pagare questi e ti seguo
Non ero irritato da quello strano risvolto. Fino a pochi minuti prima avevo pensato di volermene stare da solo ad elaborare quanto stava succedendo, non era affatto naturale per me condividere cose come quella. Allora perché stavo permettendo a me stesso di andarmene in giro con Levin?
- Vieni, entriamo all'Old Pine. Non ci metto piede da una vita
- Ti sei fatto di speed o cosa? – mi lanciò un'altra occhiata attenta. Senza rendermene conto avevo afferrato di nuovo il suo braccio. E pensare che non mi era mai piaciuto toccare o lasciarmi toccare dagli sconosciuti ...
Levin scosse la testa e mi seguì nella parte più remota ed isolata del locale. I suoi occhi chiari continuavano ad indagare in cerca di qualche indizio che potesse spiegargli che cosa mi era preso. Forse avevo davvero bisogno di qualcuno con cui parlare ... non un amico, non il mio ragazzo ... soltanto qualcuno che non conoscevo bene, qualcuno da cui potevo prendere le distanze se mi fossi spinto troppo oltre.
- L'altra volta a scuola mi sei sembrato strano
- Tu mi sembri strano anche adesso – Ribatté Levin – senti, se te la sei presa per la festa di sabato sappi che non eri tu il problema. Non fanno per me i posti troppo affollati. Avrei dovuto chiamarti per avvertirti probabilmente ...
La festa di sabato? Dovetti fare mente locale per ricordare quello di cui Levin stava parlando.
- No, idiota. Non ti stavo neanche aspettando – forse un po' lo aveva aspettato invece. Ma non era stato quello il motivo principale della mia freddezza. Era la presenza di Andrew nella mia vita ad avermi ricordato che quello strano rapporto che stavo costruendo con Levin non andava affatto bene.
- Allora che ti prende? – Levin appoggiò il mento sul dorso della sua mano. Dio, era così carino mentre cercava delle risposte.
- Una lunga serie di cose – che iniziavano con Andrew. No, non volevo parlargli del mio storico ragazzo figlio di puttana, qualcosa dentro di me mi impediva di tirare fuori la mia storia con Andrew. Non erano affari suoi e ad ogni modo ... cosa diavolo avrei risolto parlandone con lui?
- Vedi di iniziare da qualche parte allora.
- Perché? Hai fretta? Devi andare a chiuderti in casa e deprimerti per il resto della serata? Non vorrei scombinare dei piani tanto entusiasmanti! – perché ero così aggressivo? Stavo per scusarmi quando vidi apparire un lieve sorriso sulle sue labbra
- Accidenti, hai indovinato. Prima me ne starò qui a farmi insultare e deridere da te ancora per un po' ... magari alla fine ti sentirai anche meglio
- Scusami
Le birre erano arrivate, ma io non avevo sete. Il peso delle parole pronunciate da mia madre mi colpì di nuovo con la stessa forza di prima. La sola idea che nel giro di due mesi sarei dovuto andare via mi atterriva.
- Aiden?
Aveva sfiorato la mia mano con le dita in un gesto quasi impercettibile, ma che io avevo sentito con la stessa violenza di un temporale. Avevo gli occhi umidi di pianto e non me ne importava un accidente
- Sembrerebbe che presto dovrò trasferirmi. Io e mia madre non possiamo più permetterci di vivere a Brooklyn ... che schifo, eh? – avevo provato ad abbozzare un sorriso, forse fallendo miseramente
- Cosa? Dove andrete?
- In Virginia a quanto pare. – la mia voce apparentemente incurante avrebbe convinto qualcuno?
- Molto lontano da qui. Non hai nessuna alternativa? Qualche parente che possa ospitarti almeno fino alla fine della scuola?
Scossi la testa. Levin sembrava davvero colpito, forse perfino dispiaciuto, avrei detto. Non poteva esserlo poi così tanto ... non ci conoscevamo nemmeno, no? Ci avrebbe messo un paio di ore a dimenticare quel ragazzo con cui andava in giro per locali e che forse, ad un tratto, stava quasi per baciare.
- Tuo padre?
- Si fotta mio padre. Non andrò a vivere con lui e la sua amante. Ha la mia età, Cristo ...
Bevvi quei sorsi di birra come se da quell'atto ne dipendesse la mia stessa vita. Due mesi di tempo. Solo due. Come avrei fatto con Andrew? Anzi, ci sarebbe ancora stato un Andrew? No, forse sarebbe finita anche prima, non dovevo neanche lontanamente pensare a quel problema, non subito almeno.
- Sono sicuro che troverai un'alternativa. Potresti prendere un appartamento insieme ad altri ragazzi ... fai il modello, no? Avrai qualche entrata
- Sai che ti dico? Basta parlare di me! – Con un gesto teatrale appoggiai il boccale vuoto di birra sul tavolo, facendolo sbattere appena. Poi puntai i miei occhi maliziosi su quelli confusi di Levin
- Andiamocene a fare un po' di baldoria!
- Aiden ...
- Non essere noioso, Levin. Abbiamo diciotto anni. Hai presente cosa significhi essere giovani? Non lo saremo per sempre, quindi lasciami essere giovane adesso.
- Fa pure, ma senza di me
- Col cazzo – Sorrisi, improvvisamente ispirato. Andrew non meritava la sorpresa che gli stavo tenendo in serbo ormai da un paio di giorni, però io sì. Tirai fuori il piccolo mazzo di chiavi e le sventolai sotto il viso ancora confuso di Levin
- Ho delle chiavi speciali! Ho sganciato ben cinquanta dollari per averle – gli comunicai, radioso
- Accidenti, le chiavi più costose della storia. Non è stato un buon affare, se vuoi il mio parere
- Non essere idiota. Queste servono ad aprire qualcosa di grandioso – continuai, con la speranza di tentare quell'essere cinico e per niente collaborativo
- Davvero? Mi dispiace che sia io a darti questa brutta notizia, Aiden, ma tutte le chiavi servono ad aprire qualcosa. E' il loro utilizzo, sai? Guarda quante ne ho io! E di certo non ho speso cinquanta bigliettoni per averle ...
- Sei un coglione, Eickam! – sbottai. Stavo ancora toccando le sue mani. Che diavolo mi prendeva?
- E tu mi stai confondendo, Berg! Vuoi dirmi che cazzo dobbiamo fare con queste chiavi?
Un attimo di silenzio che mi servì a creare un po' di suspense, poi mi sollevai dalla mia sedia e mi protesi verso di lui, così vicino da poter sentire il profumo della sua colonia, misto a quello più duro del cuoio
- Ce ne andiamo in piscina con queste – le lasciai tintinnare qualche secondo, adesso potevo vedere la consapevolezza prendere possesso del suo viso serio, Levin stava ancora soppesando molte cose.
- Come te le sei procurate?
- Ci lavora un ragazzo che frequenta la Tech. Quel genietto ha deciso di guadagnare qualche extra passando le chiavi a chiunque voglia comprarle. La piscina in questione è quella grossa su a Mayroad... un ritrovo perfetto per gli snob e i ricconi. Suppongo che ti piacerà tornare tra la tua gente. Sei pronto a partire?
- Adesso? – Levin era accigliato
- E allora quando? – ero già in piedi, la mia mano era tesa verso la sua – Levin, la vita ti sta scorrendo davanti come un treno merci di passaggio. Perché non salti su?
- Credimi, ho fatto fin troppi salti – commentò lui, per un attimo il suo viso si incupì appena, ma non durò a lungo – il custode? Come funziona?
- Se ti dai una mossa non lo becchiamo. Non inizia la sua ronda prima delle due del mattino ... direi che possiamo essere lì nel giro di un'ora! Forza, in marcia, mio compagno di prodezze!
Lanciai i soldi sul tavolo e lo trascinai letteralmente fuori. Stavo cominciando a divertirmi, finalmente stavo avendo il tipo di serata che meritavo.
- Aspetta, c'è un problema. Non ho un costume ...
Non lo aveva detto sul serio, sperai
- Come? Fammi capire bene, io e te stiamo per introdurci illegalmente in una piscina, ma il tuo problema principale consiste nel non avere l'outfit adatto per l'occasione.
- Esattamente. Ora conosci le mie priorità
Scoppiammo a ridere entrambi nello stesso istante, adesso era lui a spingermi verso l'entrata della metro, mi afferrò per le spalle e con una piccola spinta mi fece crollare su uno dei sedili del treno. Alzai lo sguardo su Levin. Se ne stava in piedi, davanti a me, così vicino che mi sarebbe bastato sollevare le mani per passarle intorno alla sua vita, fasciata da pantaloni neri e stretti. Mi stava guardando di rimando e aveva un bellissimo sorrisino sulle labbra; forse anche lui dopotutto aveva bisogno di una serata come quella. Passai le mie braccia intorno alla sua gamba e mi appoggiai contro il tessuto fresco dei suoi jeans, mi sentivo uno stupido koala, ma che importava ... potevo percepire le sue dita affusolate accarezzarmi i capelli con lentezza.
Stavo percorrendo una strada pericolosa e ne ero totalmente consapevole. Avevo fatto un salto sul mio treno.  

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