3. Hypnotic

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Nella foto: Aiden Berg

Amantes amentes.

Gli amanti son pazzi. (Lucrezio, De rerum natura)

AIDEN

Quell'anno sembrava più arduo del solito riuscire a farmi stare bene il ritmo scolastico, mi ritrovavo con la testa tra le nuvole nel bel mezzo di qualsiasi tipo di lezione. Per l'esattezza, un buon ottanta per cento dei miei pensieri era diretto ad Andrew e al nostro ultimo incontro durante il quale lo avevo respinto per proteggere il mio dannato orgoglio che adesso iniziava ad apparirmi irrilevante. Dio, quanto me ne stavo pentendo. L'astinenza, la rabbia, l'averlo avuto così vicino e l'averlo toccato ... tutti quei pensieri mi facevano sentire in un perenno stato di tensione e desiderio. Forse quel distacco forzato stava avendo le conseguenze peggiori proprio sul sottoscritto, pensai, cercando di tornare con la mente nell'aula otto, ad ascoltare i predicozzi inutili del professore di Fisica.
Non era affatto semplice, continuavo a controllare il mio cellulare inerte chiedendomi se Andrew mi avrebbe chiamato per chiedermi di vederci. Avevo bisogno di lui, ma non potevo ammetterlo così semplicemente. Quella volta avrebbe dovuto pagare.
Non riuscii più a resistere, tirai su la mano e aspettai che il professor Leighton mi notasse per chiedergli se potevo uscire. Nessun problema, lasciai la stanza millantando un mal di testa inesistente sotto le occhiate confuse dei miei amici. Ero stanco di starmene in quel dannato buco e purtroppo quello era soltanto il settimo giorno di scuola dell'anno. Mi diressi verso il bagno senza quasi accorgermene, non avevo una cera particolarmente brillante quel giorno, tutta colpa dell'insonnia. Mi bagnai il viso con dell'acqua fresca e rimasi un po' lì, a fissare la porcellana bianca e mezza rigata del lavandino che veniva bagnata dal getto d'acqua proveniente dal rubinetto, forse in attesa di capire che cosa diavolo avrei dovuto fare della mia vita.
- Wow, neanche nei miei momenti più depressi avrei mai potuto trovare un passatempo meno divertente del tuo –
Lo scrosciare dell'acqua aveva camuffato i passi di Levin Eickam che a quanto pare era sempre stato lì. Lo vidi appoggiare le spalle contro il muro e fissarmi con un mezzo sorriso confuso sulle labbra. Stava per accendersi una sigaretta in bagno. Non avevamo più scambiato neanche una parola in quella settimana, solo un paio di saluti in corridoio e qualche sorriso. Niente di più. Era schivo Levin, sarebbe passato per una perfetta imitazione di un fantasma se non fosse stato affascinante come pochi altri nostri coetanei.
Lo era davvero, in un modo strano e del tutto nuovo per me. Non erano i suoi vestiti a renderlo quello che era, né le maniere studiate e finte alternative di molti altri studenti della Tech ... no, lui era diverso, si vedeva subito e basta. Non c'era finzione in lui.
- Me ne dai una? – Chiusi il rubinetto e mi avvicinai a lui, fermandomi di fronte, giusto a mezzo metro di distanza. Alto, pallido da far paura, come diavolo poteva avere degli occhi così profondi?
- Fa pure – Allungò una sigaretta verso le mie labbra. Dita affusolate, da artista. Piene di anelli di metallo. Ci misi più tempo del previsto a bloccare la cicca tra i denti, poi fu lui ad accendere per primo. Mi passò l'accendino, poi si arrampicò appena sul muro per aprire del tutto la finestrella del bagno. Fuori pioveva a dirotto.
- Sei scappato? –
Annuii – Dovevo. Mi sembra di impazzire a volte. – poi inspirai una boccata di fumo e tornai a fissarlo – come ti trovi qui? –
Levin fece spallucce in un gesto che avrebbe potuto dire qualsiasi cosa e seppi che non avrei ricevuto una risposta a quella domanda. Mi venne da ridere, mi sentivo un po' come mia madre durante quei rari momenti in cui tentava di fare conversazione con me o i miei amici.
- Hai qualcuno con cui uscire? –
- Chi ti dice che io voglia uscire con qualcuno? – Non era arrabbiato, sembrava più che altro incuriosito dalla mia domanda. Si portò la sigaretta alle labbra e ancora una volta non potei fare a meno di notare le sue mani. Belle, anche troppo.
- Che diavolo ne so. Non tutti amano starsene da soli – Ero lievemente sulla difensiva adesso, ma lui rise e bastò quel gesto per rilassarmi.
- Allora sono fortunato. La mia compagnia mi va più che bene. Non sono qui per fare amicizia ... non ho davvero nulla in comune con questa gente. –
Anche Andrew diceva spesso qualcosa del genere, ma il tono che aveva usato Levin era diverso. Non implicava niente di negativo, non era un'ammissione di superiorità nei confronti degli altri studenti, semplicemente le sue esperienze erano incompatibili con quelle di qualsiasi altro coetaneo della Tech. E non si sbagliava.
- Usciamo. Domani pomeriggio dopo le lezioni –
L'avevo guardato dritto negli occhi per vederlo corrugare appena la fronte, lo avevo preso in contropiede.
- Cosa? Perché? Mi hai sentito prima -
Feci spallucce – Sì, ti ho sentito, ma non mi importa quello che hai detto. C'è un nuovo negozio di dischi che è una bomba, voglio dare un'occhiata. So che ti piace la musica. Quelle mani ... - Le guardai di nuovo – suoni qualche strumento, vero? -
Lo avevo messo a disagio pensai, per un attimo immaginai che non mi avrebbe risposto, lo vidi combattere appena, alla fine scosse la testa
- Suonavo la chitarra. Adesso non più – Disse con semplicità
- Perché? –
- Perché in carcere non puoi portarla, la chitarra –
Dal suo tono capì che avrebbe voluto scoraggiare un altro assalto di domande da parte mia, forse credeva che tirando fuori la storia del carcere mi avrebbe zittito, ovviamente si sbagliava.
- Adesso sei fuori, puoi riprendere quando ti pare –
Levin spense la sigaretta e mi diede le spalle – Non funziona così, spiacente. L'equilibrio si è incrinato, poi è andato in frantumi. Fine dei giochi –
- Il tuo ottimismo mi inebria – Commentai con un tono sarcastico che non mancò di notare
- Allora puoi andarci da solo in quel nuovo negozio di dischi –
- Davvero? Hai smesso anche di ascoltare musica? Anche quell'armonia è andata in frantumi? – sì, lo stavo provocando in modo palese e forse iniziavo anche a divertirmi un po'. Levin mi guardò con attenzione e ancora una volta notai che i suoi occhi non erano neanche lontanamente scuri come sembravano ad una prima occhiata. Erano di un grigio metallico, ma sulla pelle pallida e i capelli platinati non facevano altro che sembrare due brillanti pozze nere.
- E tu cosa fai nel tempo libero, a parte cercare di strappare appuntamenti a gente fin troppo poco ottimista e prepensa alla misantropia?
Scoppiai a ridere – Io? Sono poco interessante. Niente passato in carcere, né una carriera da musicista. Ah no, aspetta! Ora che ci penso per due anni mi hanno fatto suonare il triangolo nella banda scolastica, ma è stato quasi una vita fa ormai. Vale comunque? –
Levin lo trovò divertente – Il triangolo ... questa è una roba che speravo accadesse soltanto nelle serie tv –
- Benvenuto nella mia vita! – Aprii le mani in un gesto accomodante, poi fu il mio turno di lanciare la cicca oltre la finestra aperta. Non smettevo di fissarlo e allo stesso tempo mi chiedevo che cosa trovassi di tanto interessante in Levin Eickam. Beh, non era così difficile trovare un paio di motivazioni. C'era qualcosa di ipnotico in quel tipo.
- Cantavi? Avevi una band? –
- No, solo un contratto con una bella casa discografica che però ho mandato a puttane quando sono finito dentro –
Ne parlava con leggerezza, come se quell'affare non l'avesse toccato neanche di striscio. Avevo appena finito di chiedere ma avevo già voglia di riempirlo di nuove domande. Che diavolo mi prendeva?
- E tu? A mensa ho sentito dei tipi che parlavano di te. Non sembri noioso come ti descrivi –
- Ah, davvero? Credevo che portassi le cuffie per isolarti dal resto di noi –
Levin rise – Infatti. Ho sentito un pezzetto di conversazione nella pausa tra una canzone e l'altra. Fai il modello? –
Dovevo immaginarlo, o si parlava di me per Andrew o per la mia carriera da modello. Non c'era molto altro da dire in fin dei conti. Non ero nessuno, non avevo talento in niente e andavo avanti soltanto grazie alla mia avvenenza. Fine della storia.
- Ho iniziato da poco, non è niente di serio. Avevo bisogno di soldi –
- Non ti sto giudicando. Strano che tu sia così reticente quando le domande riguardano te, avrei giurato che prima ti stavi divertendo parecchio – Levin mi passò accanto e mi diede una pacca leggera sulla spalla – è ora di tornare in classe, Dio non voglia che mi perda un'altra lezione sulla Germania nazista. –
Mi ripresi in fretta e gli andai dietro – Per domani siamo d'accordo quindi? –
Ero sulle spine mentre attendevo una risposta e questa sensazione mi disturbò parecchio. Ancora una volta mi chiesi che cosa diavolo mi stava prendendo; non avevo già fin troppi problemi di cui preoccuparmi? Perché anche Eickam adesso?
- Sì, va bene. Subito dopo scuola? –
- Subito dopo scuola – Confermai – non mi porto dietro nessuno dei miei amici se ti fa piacere –
- Come ti pare, Aiden –
Ricordava il mio nome allora. Non gli ci volle molto per scorgere la sorpresa sul mio viso, lo vidi ridere appena mentre si dirigeva verso la porta, ormai a pochi metri
- Quindi ricordi come mi chiamo –
- Sei l'unico con cui ho avuto mezza conversazione qui alla Tech, senza considerare quelli che provano a farsi vendere roba dal sottoscritto. Sei un evento raro. Ci si vede in giro –
Era un tipo strano Levin Eickam, ma forse lo eravamo un po' tutti. Ragazzi giovani e senza una dannata idea su quello che sarebbe stato il nostro futuro: una generazione persa. Non che importasse poi molto, forse c'era del tempo per pianificare qualcosa, forse, invece, non ce ne sarebbe mai stato abbastanza.
Parlare con Levin anche solo per cinque minuti aveva mandato via quel senso di attesa e malessere che mi aveva pervaso per tutta la mattina, ma adesso stava tornando a guadagnare terreno in fretta. Controllai il cellulare per l'ennesima volta e finalmente quel tanto agognato messaggio era arrivato. Andrew mi chiedeva di vederci. Diceva di sentire la mia mancanza.
No, non mia, ma del mio corpo più verosimilmente.  

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