35. The end is the beginning

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Et mihi forsan, tibi quod negarit, Porriget hora. – Orazio
E il tempo forse concederà a me, ciò che ha negato a te

ANDREW


Il 25 di dicembre era arrivato in fretta, prendendoci tutti alla sprovvista nel costatare che anche quell'anno stava ormai giungendo ad una giusta fine. Gli ultimi mesi erano stati un massacro emotivo per molti di noi; lo shock iniziale per la sorte di Aiden aveva gradualmente lasciato posto alla speranza di un risveglio che, a sua volta, adesso veniva oscurata dalla possibilità che non ci sarebbe stato più nulla da fare per lui.
Non avevo mai amato il natale, nel corso degli ultimi anni mi ero sempre impegnato con tutto me stesso per passare quel periodo in missione, lontano da casa, lontano dagli affetti. Niente nostalgia, niente pentimenti ... il mio distacco mi rendeva più forte, quasi impassibile di fronte agli altri. Ero un'isola lontana ed inesplorata, con un oceano in tempesta che circondava le mie coste e impediva a chiunque di avvicinarsi troppo.
Ma le cose erano cambiate, quella dannata tragedia si era portata dietro troppe conseguenze che non avevo voluto vedere o fermare. Come Levin.
Abbassai in automatico lo sguardo su Aiden, gli occhi chiusi come se stesse dormendo serenamente, la pelle tanto bianca da sembrare trasparente ... poi quel dannato respiratore che lo teneva in vita, scandendo quei respiri artificiali che spezzavano il silenzio altrimenti assoluto della stanza.
Mi avrebbe mai perdonato? Anzi, avrebbe mai avuto la possibilità di perdonarmi? O la fine era semplicemente quella? Un coma che diventava morte, un silenzio che si protraeva fino a quando qualcuno non avesse deciso di porre fine a quell'agonia, staccando l'ultima connessione tra Aiden e questo mondo?
- Mi dispiace ...
Ed era così davvero, senza averne avuto intenzione mi stavo riprendendo la mia vita e, nonostante fossi roso dai sensi di colpa, era troppo tardi per voltare le spalle a quel tipo di cambiamento.
C'era Levin adesso, la sua presenza diventava ogni giorno più necessaria per me e quel pensiero mi terrorizzava ed esaltava allo stesso tempo... era come un bisogno che non avevo mai sperimentato in tutta la mia vita, mi rendeva debole e insicuro. Non era il momento per innamorarsi, mi dicevo, non di Levin, non mentre Aiden stava morendo e la mia bussola sembrava aver smesso di funzionare. Eppure stava succedendo e tutto quello non si sarebbe fermato con niente.
Fu il vibrare del telefono a risvegliarmi da quei pensieri, lo tirai fuori e me lo portai all'orecchio. Era mia madre.
- Andrew caro, passi tu in pasticceria a prendere il dolce per stasera? Te lo ricordi, vero?
Il dolce per stasera. Il mondo andava avanti, sempre e comunque. Non c'era morte tanto dolorosa o tanto illustre da arrestare il tempo.
- Certo, faccio io. Serve altro?
Presi una nota mentale di quello che serviva, il mio sguardo era ancora posato sul corpo immobile di Aiden, non mi era mai sembrato così piccolo e indifeso come durante la sua degenza lì. E pensai che nonostante i loro errori, i Berg non meritavano di trascorrere il Natale in ospedale, a vegliare sul loro bambino e a rimpiangere quello che non avrebbero più avuto.
- Fa con calma. Martha e i ragazzi sono già qui, ti aspettiamo!
L'entusiasmo di mia madre si percepiva perfino dal telefono, finalmente si tornava a trascorrere un natale con la famiglia al completo, come non succedeva ormai da circa cinque anni. Sarebbe stata bene almeno lei, mentre io avrei finto di cavarmela per non dare troppo nell'occhio e gettare un'ombra scura sull'entusiasmo di tutti gli altri. Poi Levin sarebbe venuto a salvarmi, o meglio, toccava a me salvare lui dalla sua cena in famiglia e rapirlo. Avremmo passato la notte insieme dopo troppo tempo in cui ci eravamo visti in modo sporadico per non far preoccupare troppo gli Eickam.
Dovevo cominciare a mettermi in cammino e passare a ritirare ogni genere di cosa nel tragitto verso casa. Mi piegai per baciare Aiden sulla fronte, vederlo in quelle condizioni era sempre un colpo al cuore, non c'era modo di accettare quello che gli stava succedendo.
Ero quasi quasi in auto quando vidi Keno avanzare verso di me in fretta, non capivo cosa volesse fare, semplicemente si frappose tra me e la portiera che stavo per afferrare. Lo guardai
- Che c'è? Cosa diavolo vuoi adesso?
Glielo leggevo sul viso, la supponenza del suo sguardo avrebbe dovuto provocare qualcosa in me, ma non successe. Ero stanco dei suoi assalti
- Da quanto tempo va avanti?
- Va avanti cosa? – chiesi confusamente
Il suo sguardo ebbe un guizzo rabbioso, sentii il mio polso stretto nella sua morsa – Tra te e Eickam, fottuti figli di puttana
Ero sorpreso che se ne fosse accorto, ma non feci nulla per nascondere la freddezza che prendeva possesso dei miei occhi attimo dopo attimo. Non avrei negato, non mi sarei neanche difeso. Chi diavolo era Keno per potermi giudicare? Non gli dovevo niente.
- Non sono affari che ti riguardano. Adesso spostati
- Non sono affari che mi riguardano?
Mi aveva spinto indietro – Aiden sta combattendo per rimanere aggrappato alla vita! E' in quel dannato letto da un mese e tu invece cosa pensi bene di fare? Di scoparti Eickam! Non ti importa un cazzo di niente e nessuno, non hai neanche un briciolo di rispetto per quella persona! Sapevo che non te ne era mai sbattuto di lui, ma non avrei mai immaginato che saresti caduto così in basso da
- Sta zitto, Keno – lo avvisai con un filo di voce
- Sei un figlio di puttana! N-non hai perso un attimo di tempo prima di trovarti qualcun altro da sbattere, ma doveva essere proprio Eickam? Siete malati! Con che coraggio osi presentarti qui? Cosa diavolo pensi di dimostrare? A te non importa un cazzo di lui! L-l'unica cosa che sai fare è pagare e pagare! Tirare fuori i tuoi soldi sporchi per dare una parvenza di interesse! Ma io ti ho scoperto, io ti conosco!
Non riuscii più a trattenermi, senza rendermene conto lo avevo colpito e lo avevo fatto con talmente tanta forza da farlo cadere a terra. Le nocche mi facevano male, avevo il respiro affannato e un tremore incontrollabile al braccio. Keno era sull'asfalto, con il palmo asciugò un rivolo di sangue sul labbro, i suoi occhi erano furiosi e sofferenti allo stesso tempo
- E' tutto tuo adesso, come hai sempre voluto. Sei l'unico degno di lui, l'unico che non ha ceduto. Credevo che fosse tutto quello che volevi ... dimostrare che nessuno era degno di lui quanto te. Adesso hai raggiunto il tuo obiettivo ... adesso siete rimasti tu e lui soltanto
Keno non si sollevò, lo lasciai lì, mentre le sue accuse si facevano sempre più serrate e spaventose. Mi voltai un'ultima volta – E lascia in pace Levin, non provare a prendertela con lui.
Non ascoltavo più, mi diressi velocemente in auto e ripartì. Stavo male, ogni singola parola di Keno era stata una pugnalata diretta al petto. I miei dubbi e le mie parole erano ancora tutte lì, sempre più evidenti e brucianti come se fossero state risvegliate dallo sguardo rabbioso e folle di Keno. Camminavamo sul filo del rasoio, temevo che anche la minima sciocchezza avesse potuto spingere Levin a tenersi lontano da me, anche non sentirlo per poco tempo mi metteva in allarme e mi atterriva. Volevo che tutto andasse bene, che sapesse che c'eravamo dentro insieme. Sempre. Avrei diviso il peso della nostra storia con lui, anzi ero pronto a farmi carico da solo di tutto ciò che quei sensi di colpa si portavano dietro.
La serata trascorse tra brindisi e chiacchiere, finsi meglio che potevo, ma il dolore alle nocche non faceva altro che ricordarmi quanto era successo nel pomeriggio e le parole che Keno mi aveva scagliato addosso.
- Zio! Di nuovo, fammelo fare di nuovo!
Stavo giocando con i miei nipoti, sentivo lo sguardo di mia sorella posarsi ad intermittenza su di me quando credeva che non me ne sarei accorto. Anche lei sapeva di Aiden, ma non ne parlò, mi rimase accanto, ogni tanto posandomi una mano sulla spalla nei momenti in cui il mio viso falliva di mantenere un'espressione divertita. La ringraziai mentalmente per quel silenzio pieno di comprensione, per i miei nipoti sempre pieni di vita e capaci con la loro felicità travolgente di trascinarmi via dai miei pensieri, seppure per breve tempo.
I brindisi andarono avanti per un po', feci una foto al cane e la inviai a Levin, la sua risposta arrivò in fretta, risi quando vidi lo schermo ricoprirsi di emoticon con gli occhi a forma di cuori. Gli chiesi cosa stesse facendo e subito ricevetti una sua foto. Reggeva un flute di champagne e sembrava lievemente alticcio mentre sorrideva verso la fotocamera. Gli scrissi di non esagerare e di aspettarmi per completare l'opera
- Tesoro, dove andrai dopo?
Mi voltai verso mia madre, dovevo ancora avere l'ultimo guizzo di un sorriso impresso sulle labbra quando risposi
- Faccio un giro in centro
- Sei con i ragazzi?
Mi guardai intorno un attimo, tutti i grandi erano riuniti intorno al solito tavolo da poker, i loro schiamazzi erano così alti che non era neanche necessario abbassare la voce
- Con un ragazzo – precisai, senza sapere esattamente perché avevo deciso di essere sincero fino a quel momento.
Mia madre non riuscì a nascondere un principio di sorpresa, ma si riprese in fretta – Oh! Tu e un altro ragazzo? Me lo farai conoscere stavolta?
Doveva essere strano per lei non sentirmi tergiversare, non era così che mi comportavo di solito di fronte a quel genere di domande. I miei non avevano mai conosciuto Aiden, né nessun altro prima di lui. Non ero quel tipo di persona, ma allo stesso tempo non volevo più commettere gli stessi errori del passato
- Più avanti se gli andrà ... - concessi con uno strano sorriso sul viso
- Certo che gli andrà! E lui com'è? Cosa fa? E' affascinante?
- Mamma ...
- Cosa? Sono curiosa!
Mi venne da ridere – Lui è un artista, dovresti sentirlo suonare ... è bravissimo.
Gli occhi di mia madre si illuminarono, non glielo dissi in modo esplicito, ma dentro di me ero certo che lo avrebbe apprezzato immediatamente se lo avesse conosciuto. Possedevano la stessa sensibilità e quello era un dono molto raro per un ragazzo tanto giovane.
- Allora devo proprio conoscerlo. Perché non lo porti qui una di queste sere? Per una cena tranquilla! Solo una cena. Giuro che non ti metterò in imbarazzo e non farò troppe domande! Cosa suona?
- La chitarra
Le domande continuarono per un po', alla fine, in un modo quasi paradossale, quella conversazione era riuscita a strapparmi una risata e a migliorare il mio umore. Mia madre smise di interrogarmi su Levin soltanto quando presi il giubbotto ed annunciai che stavo per uscire.
Sapere che stavo per incontrare Levin servì a calmare i miei nervi, ultimamente stare con lui era come un sedativo naturale per qualsiasi problema mi fosse arrivato addosso. Sperai di potergli dare anche solo la metà del sollievo che lui donava a me, ma lui non parlava mai molto, erano i suoi sguardi che andavano letti.
Avevo lasciato la mia auto in uno dei grossi parcheggi custoditi del centro per poi risalire la strada a ritroso. Per la prima volta ero stato io ad arrivare per secondo, Levin era già lì, la sua testa biondissima risaltava tra quelle degli altri passanti riversati in strada per festeggiare la vigilia. Quello era il nostro punto di incontro, proprio sotto gli Studios con le loro insegne digitali brillanti, dove Times Square illuminava il cielo in tutta la sua magnificenza. Mi feci largo tra la calca di gente, i miei occhi erano fissi su di lui, sul viso magro e solitamente serio, ma adesso aperto in un sorrisino appena accennato.
- Pensavo che sarei dovuto venire a prelevarti a casa dopo tutte le foto di quelle bottiglie vuote di champagne ...
Avevo parlato contro il suo orecchio mentre Levin mi passava le braccia intorno alla vita e mi piazzava un bacio quasi impercettibile sulla guancia.
- E invece sono riuscito a prendere la metro e a trovare la via. Non sei fiero di me?
Era così bello, bloccai il suo viso tra le mani e lo baciai sulle labbra senza pensarci un istante in più.
- Incredibilmente fiero – confermai dopo un bacio fin troppo coinvolgente. Le mie capacità mentali erano già state messe a dura prova dopo quel contatto. Levin tornò al contrattacco, passandomi le braccia intorno alle spalle, eravamo stretti contro il muro, riparati dalla pioggia gelata che presto si sarebbe trasformata in neve, considerato le temperature sotto lo zero. Eppure non importava, non percepivo niente che non fosse Levin e le sue labbra calde e morbide contro le mie. Sarei rimasto lì per sempre se avessi potuto, era un attimo di irraggiungibile perfezione e completezza che non avrei scambiato con nient'altro al mondo.
- Buon natale comunque – sussurrò lui ad un centimetro dalle mie labbra
- Buon natale anche a te. Ci resterei parecchio male se spogliandoti non trovassi un bel paio di boxer rossi con una renna stampata sopra, ma capisco che verrebbe meno ai tuoi princìpi di ragazzo dark ed impassibile.
Levin rise piano e scosse la testa – Sei un coglione
- Un coglione? A casa Wolfhart è obbligatorio indossare mutande rosse e di dubbio gusto durante la vigilia!
- Non ci credo ... - continuava a ridere, ma adesso stava trafficando con la cerniera del mio cappotto per poter vedere sotto. Glielo lasciai fare, amavo vederlo così spontaneo, come se avesse deciso di abbassare le difese soltanto per accogliere me nel suo mondo, dentro quelle mura altissime che ci tenevano entrambi protetti dal resto.
Aveva sollevato prima il maglione e poi la camicia che portavo sotto
- Non ci credo
- Boxer rossi ed imbarazzanti, te l'ho detto. Ti divertirai un sacco a sfilarmeli più tardi. Li ha scelti mia madre, non mi stupirei se ci fosse una renna da qualche parte
Poi lo attirai a me e lo baciai tra le risate, in quell'euforia della notte, in mezzo alla folla di gente che ci circondava e ammassava l'incrocio. E gli occhi di Levin erano scuri di desiderio e di parole non dette, le sue mani mi sfioravano il viso, mi contemplava come se fossi la persona più degna del mondo e, se avesse continuato a guardarmi in quel modo, ero certo che avrei finito per sentirmi anch'io all'altezza del mondo.

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