12. The Reason Why

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Nella foto: Noah Crowlie

Desertum fecerunt et pacem appellaverunt.

(Fecero un deserto e la chiamarono pace, Tacito)


ALENCAR
Gli enormi palazzi delle case popolari apparivano uno uguale all'altro, con i loro mattoni rossi e l'aspetto anonimo. Ti facevano intuire che lì potevi trovare la stessa categoria di persone, esattamente come il loro aspetto dismesso e scialbo, lì ci viveva della gente mediocre, che tentava di arrampicarsi nella vita come meglio poteva. Quei posti erano anche ottimi nascondigli, c'era grande solidarietà nel vicinato e il passa parola correva più in fretta del vento. Quelli come me erano i primi ad essere notati e quando bussai tre volte alla porta dell'appartamento al secondo piano, sapevo già che il diretto interessato sarebbe stato irreperibile.
Il fatto di trovarmi davanti una gracile donna di mezza età non mi fece alcun effetto particolare, lei, invece, divenne improvvisamente tesa quando capì con chi aveva a che fare. Lanciò delle timide occhiate a me e al resto del gruppo alle mie spalle, vidi la sua mano stringersi sulla porta mentre provava a stento a parlare.
- Cosa desiderate? – chiese con un filo di voce.
- Stiamo cercando tuo figlio, è in casa?
- Cosa ... volete da lui? – sapevamo entrambi perché eravamo lì, la donna cominciava a non riuscire a mantenere la calma.
- Siamo suoi amici – dissi e feci un passo in avanti con convinzione, scostandola dalla soglia ed entrando.
- Mio figlio non è in casa! – protestò – dovrete ripassare
- Ah, non è qui? – chiesi con tono scettico – quindi non ti dispiace se diamo un'occhiata in giro? – feci cenno a Miles e lui scattò in avanti cominciando a perquisire la casa.
Saremmo potuti essere più delicati ma non era la linea che avevo deciso di seguire quel giorno, mi frapposi fra la donna e Miles che continuava a frugare fra la roba e fare irruzione nelle poche camere di cui era composta l'abitazione.
- Come ti chiami? – chiesi alla donna che adesso mi fissava confusa e spaventata allo stesso tempo.
- Margareth – sussurrò.
- Molto bene Margareth, adesso noi due dobbiamo fare un discorso molto importante – dissi in tono pacato – come avrai già capito, il tuo amato figlioletto non si trova esattamente in una situazione rosea. Si è comportato da vero pezzo di merda, ha cercato di fregare un uomo molto importante e cattivo. Ovviamente tu non hai colpe di tutto questo ma se non ci dai una mano finirai per rimetterci di brutto
Lei strinse i pugni e scosse piano la testa – io non so dov'è, non lo vedo da settimane
Risposta sbagliata pensai, mentre le passavo una mano intorno alle spalle e la sentivo farsi rigida per la paura, feci cenno a Tian di passarmi la mazza e lui ubbidì senza dire una parola. Adesso l'incertezza aveva abbandonato il volto della donna e c'era soltanto puro terrore riflesso nei suoi occhi. Sembrava volermi dire: Puoi davvero picchiare una donna innocente?
Sì, lo farò, ti farò male perché qualcuno deve pagare anche se spesso non è mai chi se lo merita davvero.
- Sei proprio sicura che tu non sappia dove sia? Non lo stai nascondendo da qualche parte, vero?
Non rispose questa volta, il fiato non le usciva dalla bocca, si limitò a scuotere la testa con decisione ed io mi allontanai di un passo da lei. Fu un movimento rapido e fluido come se io e quella mazza fossimo un tutt'uno. La colpii violentemente allo stomaco, vidi gli occhi della donna sgranarsi e il volto deformarsi per il dolore, non riuscì nemmeno a gridare, si afflosciò a terra come una foglia caduta. Ribadii il concetto, quindi sferrai un altro colpo contro il suo braccio destro e questa volta il rantolo di dolore uscì dalla sua bocca forte e chiaro.
- Margareth, Margareth, sono davvero senza parole. Sono certo che tu sia stata una brava madre e sono anche sicuro che vuoi proteggere tuo figlio a tutti i costi – iniziai – ma facciamoci due conti: tu sei qui a prenderle mentre lui sta nascosto come un topo di fogna, ruba i tuoi risparmi per comprarsi la roba e lascia la donna che lo ha messo al mondo in mano a gente come noi – le ricordai – io penso che ci siano dei limiti anche per le brave madri come te. Vuoi davvero questo? Morire qui? Pestata a morte per colpa di quell'ingrato bastardo che ti è sgusciato via dal ventre e ha rovinato la tua vita? – le chiesi, lei non rispose ovviamente ma continuava a fissarmi boccheggiante – Provo molto rispetto per te ma questo non mi impedirà di spaccarti la faccia con questa mazza. Quello che ti chiedo è: ne vale davvero la pena per un figlio come lui?
Non attesi risposta, mi preparai direttamente a colpire, questa volta in pieno viso, le accarezzai prima uno zigomo con la mazza in modo che sentisse la superficie dura e fredda del metallo, poi la tirai indietro prendendo un grande slancio. Accadde tutto in un secondo, mossi il braccio per assestare il colpo e contemporaneamente la sua mano si mosse di scatto indicando un punto ben preciso dietro il divano logoro. Io aggiustai il tiro e invece di infrangere la mazza sulla sua faccia le passai sopra di qualche millimetro, riuscii ad evitarla anche se lei urlò comunque per la paura. Il mio volto divenne molto serio mentre fissavo la direzione di quel dito tremante, vidi Miles accostarsi al divano e farmi cenno con il capo.
- Sai Margareth, dovresti proprio andare al pronto soccorso per quella brutta contusione. Gli incidenti domestici sono la prima causa di morte in America, lo sapevi? Fai attenzione la prossima volta che esci dalla vasca da bagno, le piastrelle bagnate sono davvero infernali.
La donna annuì annaspando un momento prima di riuscire a sollevarsi totalmente dolorante, poi si diresse alla porta e sparì senza voltarsi indietro. Sapeva che probabilmente non avrebbe più rivisto suo figlio ma il nostro incontro aveva decisamente reimpostato le sue priorità, forse avrebbe sofferto per la morte del suo bambino ma quel dolore sarebbe sicuramente guarito prima delle ferite che gli avevo inferto. Come lo sapevo? Semplice; altrimenti si sarebbe lasciata uccidere.
Miles spostò il divano con un movimento secco e apparve davanti ai nostri occhi una grossa grata nella parete, l'intercapedine fra una palazzina e l'altra. Miles liberò l'apertura dalla grata che venne via facilmente, era abbastanza grande da far si che una persona ci si infilasse dentro. Quando il mio amico ci mise un braccio e cominciò a tirare forte sentimmo finalmente le urla di quel bastardo.
- No, cazzo no, lasciatemi, no, no, no
Miles lo tirò dalle caviglie fino a farlo uscire dal suo orrido nascondiglio, sporco di polvere e merda di topo, con i suoi occhi sgranati e pieni di lacrime. Alle mie spalle Tian aveva già tirato fuori il cellulare.
- Ce lo abbiamo – disse e poi attese.
Io mi piegai sulle ginocchia poggiando la mazza alla mia spalla in un gesto rilassato, adesso avevamo gli occhi alla stessa altezza e sorrisi leggermente mentre pronunciavo le ultime parole che avrebbe avuto modo di sentire.
- Sei fottuto -

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