27. Alive

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"Factum est illud;
fieri infectum non potest.


"E' fatto, non può essere disfatto." Plauto




LEVIN

Mi ero preso una sbronza talmente grossa che l'indomani non ero riuscito ad alzarmi dal letto e quindi avevo evitato una lunga giornata tediosa a scuola. La notte precedente avevo vomitato l'anima a più riprese, la prima volta all'uscita dalla metro e poi un altro paio di volte a casa; fortunatamente ero riuscito a non svegliare i miei. Era imperativo mantenere un certo decoro con loro, soprattutto vista la piega che io e Kai avevamo preso in quegli ultimi anni.
Ero riuscito a rimettermi in piedi verso l'ora di pranzo, ovviamente il mio stomaco si rifiutava in modo categorico di accettare del cibo, mia madre era più o meno convinta che avessi preso una sorta di indigestione mangiando la robaccia che vendevano al bar dell'ospedale ed io glielo lasciai credere.
- Tesoro, cerca di bere qualcosa almeno ... stasera c'è quel party presidenziale a cui non possiamo mancare.
- Oh Dio, no ... ti prego, il party presidenziale no – mi coprii il volto con le mani. L'avevo rimosso completamente e bastò quello per farmi venire voglia di tornarmene a letto.
- Credi che io mi diverta a trascorrere le mie serate in mezzo a quella gente? – sussurrò mia madre, il suo viso era tutto un programma – ma tuo padre è in lista e non possiamo mancare. Vado a prepararti un frullato, tu prendi quelle pasticche che ti ho lasciato. Ti faranno passare la nausea.
Appoggiai la fronte sul bancone da cucina in cerca di un metodo per interrompere quel flusso di mal di testa e pensieri che viaggiavano insieme. In quelle ultime ore mi ero sentito troppo di merda per pensare a quella serata stranissima che avevo appena vissuto, in realtà non riuscivo neanche a capire come avesse fatto a concretizzarsi qualcosa che fino a poche ore prima ritenevo impossibile. Uscire con Andrew per una birra faceva già ridere di per sé, ma addirittura spassarsela ... ridere, divertirsi, parlare del più e del meno senza deprimersi ... quella era pura fantascienza. Invece era successo. Doveva sentirsi parecchio solo per divertirsi con uno come me, d'altronde io ero uno dei pochi che poteva capire come ci si sentiva a vivere sulla propria pelle quel tipo di situazione. Forse voleva soltanto del sostegno in un momento per niente facile. Non ne avevo idea sinceramente, sapevo soltanto che avevamo riso un sacco e corso e bevuto. E che voleva rifarlo.
- Ecco qui, bevilo tutto così ti senti meglio. Io vado a recuperare i nostri abiti in sartoria, ma farò presto.
Mia madre era di ritorno con il suo temibile frullato agli agrumi e delle pasticche contro la nausea che mi piazzò davanti. Mi passò una mano tra i capelli, quei capelli ossigenati che le facevano sempre storcere il naso, ma che aveva ormai iniziato ad accettare, illuminata dal fatto che niente di tutto quello che avesse detto avrebbe mai potuto farmi cambiare idea riguardo i miei capelli.
Avevo finito il mio frullato, poi avevo fatto una doccia veloce ed ero uscito anch'io. Mi sentivo meglio e poi avevo giusto un po' di tempo per passare da Aiden prima di partire per Manhattan con i miei. Quel giorno ero incredibilmente assente, mi sentivo in colpa per essermi fatto di nuovo dopo un periodo di astinenza dolorosissima. Forse era per questa ragione che ero riuscito a godermi la serata senza che mi venisse voglia di buttarmi sotto un treno, forse non era stata la compagnia di Andrew a darmi sollievo, forse, ancora una volta, dovevo ringraziare soltanto la coca se ero riuscito a sopportare quella notte e anche un po' a godermela.
C'era un pensiero fisso che mi torturava, anzi, si trattava per lo più di una serie di gesti che sul momento avevo preferito lasciar correre, ma che adesso mi tornavano in mente. Quante volte mi ero ritrovato a toccarlo anche solo casualmente o mi ero sporto verso di lui con l'intento di afferrarlo? E le sue mani sulle mie spalle? No, stavo fraintendendo tutto, forse ero veramente troppo fatto e ubriaco per capirci qualcosa. Non stavamo flirtando, volevamo soltanto rilassarci per un paio di ore.
Avevo parlato troppo con lui però, pensai, mi ero lasciato andare in un modo eccessivo e dovevo avergli dato un'impressione sbagliata di me ... tutte quelle provocazioni non facevano parte del mio carattere. Cosa mi era saltato in mente di ridere e scherzare con Andrew? Quel ragazzo non era un perfetto sconosciuto con cui poter instaurare un rapporto di amicizia. Era la persona che Aiden aveva tradito con me e non potevo fingere che non ci fosse niente di strano nel passare consapevolmente una serata con lui. A quel punto tirai fuori le cuffie e cercai di allontanare qualsiasi tipo di pensiero disturbante, ero certo di star esagerando a preoccuparti tanto per una stronzata simile. Si sa, l'erba rende paranoici.
Callum mi aveva lasciato un paio di messaggi sul cellulare, niente pausa sigaretta dietro il cortile della scuola per quella volta, il suo vicino si era sbronzato con l'ex del suo ex.
- Che situazione del cazzo ...
- Come dici, ragazzo?
Avevo guardato la nonnetta che mi sedeva accanto e avevo scosso la testa
- Dicevo, gran bella giornata!
- Oh sì, è venuto fuori il sole – convenne la donna.
Ottimo, Levin, inizia anche a parlare da solo adesso. Decisi di tuffarmi tra le pagine di Henry Miller e lasciarmi catapultare nella Parigi degli anni trenta, sempre meglio che starmene nella Brooklyn del duemila e diciotto, pensai, ma sbagliandomi. Non riuscivo a concentrarmi nella lettura, ogni stupidaggine diventava motivo di distrazione e alla fine, senza neanche rendermene conto, ero arrivato alla mia fermata.
Mi sentivo teso quel giorno, come se non riuscissi a mettere un freno ad una strana sensazione che non sapevo spiegare a dovere. Dovevo lasciarla correre, forse ignorandola sarebbe andata via prima o poi, così spiccai una corsa e feci in fretta le scale che conducevano al terzo piano. Anche Keno era già lì, mi chiesi se fosse uscito prima per qualche motivo o se fosse semplicemente scappato da scuola per passare più tempo con Aiden.
Entrai nella stanza facendo piano, lo vidi voltarsi brevemente verso di me ed interrompere quella sorta di monologo che faceva ogni giorno, forse con la speranza di aiutare Aiden come gli avevano detto i dottori. Io non riuscivo a parlare, anche impegnandomi, non ce la facevo e basta. Finivo per starmene lì in silenzio, ad osservare il viso serafico di Aiden ... così immobile, così pallido. Le parole morivano sempre in bocca, non ero mai stato un grande oratore.
- Puoi continuare ... sono passato solo per un saluto veloce, sto andando via. – dissi in fretta.
- Che importa, tanto è solo tempo perso – esalò Keno, amareggiato.
Avvicinai la mia sedia alla sua, non mi sentivo in grado di smentirlo, non ero certo che avesse davvero senso parlare a qualcuno che non mostrava di captare neanche lontanamente quello che gli veniva detto. Era come parlare ad un cadavere, mi ritrovai a pensare, sentendo subito un groppo alla gola. Allungai un braccio verso Aiden, per stringere la sua mano nella mia ed essere certo che ci fosse ancora del sangue caldo in quel corpo, mi bastava un dannato segno di vita, qualsiasi cosa potesse farmi capire che aveva ancora senso lottare e sperare in un risveglio.
Keno fremette piano, il suo sguardo si era fatto ancora più duro mentre fissava le nostre mani
- Che c'è?
Quello scosse la testa, sembrò mandare giù qualcosa di doloroso e terribile, poi parlò
- Devo chiederti una cosa, Eickam, visto che sei stato tu l'ultimo a vederlo quella sera.
- Cosa?
- Ti ha detto qualcosa di me? Ti ha parlato del nostro litigio? Ce l'aveva con me in modo particolare? Insomma, qualsiasi cosa ... cosa ti ha detto?
Ancora quella domanda, prima Andrew e adesso Keno. Era stupido dire che non me lo aspettavo. Dovetti tornare indietro con la mente, nel caos di quella notte non avevo più pensato a quanto Aiden fosse sconvolto, ma ricordavo le sue parole. Mi tornavano in testa continuamente.
- Lui mi ha solo fatto capire che era rimasto da solo e che non voleva coinvolgerti nel cercare un posto dove stare ... all'inizio gli avevo chiesto di chiamare te, non sapevo nulla della vostra lite.
Keno aveva trattenuto il respiro, capii che quella domanda gli era costata cara e che se la stava portando dentro da chissà quanti giorni ormai. Aveva paura di non riuscire mai più a chiarire con il suo migliore amico, glielo leggevo sul viso, era un'angoscia che lo divorava notte e giorno, un senso di colpa che non poteva essere espiato con niente, non mentre Aiden era ancora in coma. Doveva essere stata una lite molto pesante per far crollare un'amicizia duratura come quella. Sapevo che all'inizio si erano scontrati anche a causa mia, ma non avevo idea di come quel litigio fosse degenerato tanto da arrivare a quel punto. Non ero intenzionato ad entrare in merito però, Keno non era un mio amico, né una persona a cui volevo alleviare qualcosa. Era stato il primo a gettare su me ed Andrew il peso della mia relazione con Aiden e lo aveva fatto senza averne alcun diritto, quindi mi sollevai da lì nel silenzio più totale, pur sapendo che probabilmente, se Aiden si fosse svegliato, non avrebbe dato peso a quella lite, non dopo aver rischiato di morire.
- A domani – dissi soltanto, senza ottenere alcuna risposta.
Mia madre aveva cominciato a cercarmi al telefono, dovevo darmi una mossa anche se l'idea di andare a quel dannato party mi faceva venire voglia di sotterrarmi dove nessuno avrebbe potuto trovarmi. Lasciai l'ospedale in tutta fretta, ma mentre io uscivo dall'entrata non potei fare a meno di notare Andrew che stava sopraggiungendo dal parcheggio.
- Ehi!
Non mi aspettavo di vederlo così presto e, soprattutto, sembrava avere una cera decisamente migliore della mia, un motivo in più per invidiarlo. Andrew era sempre vestito di tutto punto, quella mattina portava un maglione blu sulla camicia chiara e il suo immancabile paio di Ray-Ban che facevano molto aviatore. Un po' di arie se le dava, pensai.
Quello si fermò davanti a me – Ehi a te! Aspetta, tu non dovresti essere a scuola? – poi aveva lanciato un'occhiata veloce al suo Rolex – l'hai marinata, Eickam?
Mi dedicò uno sguardo indagatore, la mia faccia doveva essere parecchio colpevole in quel momento – Diciamo che non sono riuscito a svegliarmi ...
- Cristo, sei stato male? – mi parve preoccupato
La mia espressione parlava da sola, lo vidi passarsi una mano tra i capelli castani, sempre portati all'indietro – Faccio proprio schifo, ti ho fatto ubriacare ... da me ci si aspetterebbe un minimo di buonsenso e invece ti ho fatto ubriacare!
- Da te non mi aspetto niente, non sei mica mio padre – dissi, invece – e poi sto talmente bene che stasera mi tocca anche andare al party presidenziale con i miei! Come sono fortunato!
- A Manhattan? Dovrei andarci anch'io, non essendo in missione non ho nessun cazzo di motivo valido per perdermelo, anche se preferirei lanciarmi dal terrazzo di casa – Andrew sospirò appena, poi il suo viso si fece meno duro – ricordi che ci siamo già incontrati ad un altro party presidenziale? Un paio di mesi fa, ero con un mio amico e voleva provarci con te. Siamo venuti a presentarci, ma tu te la tiravi parecchio.
- Questo tuo amico voleva provarci con me? – ero confuso – beh, puoi dirgli che deve impegnarsi di più perché non me ne sono neanche accorto
Andrew rise forte – Lo avevo capito. Beh, almeno stasera avrai qualcuno con cui parlare quando la noia si farà sentire
- E si farà sentire già dopo il primo minuto seduto a quel tavolo. Forse dovrei andare ad ubriacarmi di nuovo, stavolta punterei a svenire da qualche parte però ...
Mi aveva appena chiesto di andare a parlare con lui?
- Che c'è? Non penserai di presentarmi di nuovo il tuo amico pilota per caso. – chiesi, ironico
- Tutto l'opposto! Passa al mio tavolo per una sigaretta, così Alec schiatterà di invidia – Andrew rise forte, sembrava godersela parecchio – dovevi sentirlo, era quasi convinto di aver fatto colpo su di te quella sera.
- Ripeto: non me ne sono neanche accorto – dissi, sempre più divertito e confuso allo stesso tempo.
Cominciavo a ricordare qualcosa, era strano pensare che già a quei tempi avevo conosciuto Andrew, pur non sapendo chi fosse.
- Adesso devo andare, mia madre sta sclerando e con il traffico che c'è ci metteremo minimo tre ore per arrivare a Manhattan. Che cazzo ...
- Dai, sbrigati allora. Anch'io oggi devo darmi una mossa. Ammettilo che stai rimpiangendo certe serate rilassate al pub. Niente smoking, niente vecchi politici che sproloquiano su campagne inutili.
Mi venne da ridere – Le serate al pub mi allettano, ma non quella roba che mi hai fatto bere a fine serata. E' stato il colpo di grazia
Andrew mise su una finta espressione delusa – Che pessima generazione quella che non sa apprezzare un Whiskey doppio malto invecchiato. Beh, ne rimarrà più per me la prossima volta!
Gli avevo assestato una debole spallata di protesta mentre lo oltrepassavo – Che gusti di merda che hai. Ah, sei passato a controllare Harry? Non credo di averne il tempo oggi – aggiunsi, ricordandomene in quel momento
- Ci vado, ci vado. Keno sarà felice di vedermi
Cercai di soffocare una risatina, non gli conveniva parlare a voce così alta con il vero Keno in giro per l'ospedale, qualcosa mi diceva che non gli sarebbe piaciuto apprendere che stavamo pensando di affibbiare il suo nome ad un cane. Eravamo rimasti lì a fissarci per un po', mi riscossi in fretta
- A stasera allora, F.D.L. – dissi prima di prendere la strada che portava alla metro.
- Ancora?
Andrew aveva scosso la testa. Aveva ancora un sorrisino impresso sul viso quando lo oltrepassai.
Un tempo anche Kai veniva costretto ad indossare il suo migliore abito sartoriale da sera per partecipare a quelle terribili ed infinite cene che si tenevano sempre in lussuosissime sale ricevimento nel centro di Manhattan. Un tempo ci annoiavamo insieme e tutto sembrava più leggero e sopportabile. Spesso riusciva anche a strappare qualche appuntamento in giro, si divertiva un sacco a flirtare durante quelle cene di merda e si divertiva ancora di più quando mio padre se ne accorgeva e gli lanciava quell'occhiataccia che poteva significare solo "ne parleremo a casa". Kai era sempre stato ribelle, ma prima lo era in un modo del tutto diverso, in un modo sano.
- Ah, quanta coda e il tempo sta peggiorando. Da quanto tempo siamo fermi qui? Un anno?!? – il nervosismo di mio padre iniziava a farsi sentire. Perfino mio padre detestava quelle serate.
Appoggiai il capo sul finestrino freddo della limousine e puntai i miei occhi sulle luci infinite e sgargianti di Manhattan, stava iniziando a piovere e forse dopo avrebbe anche nevicato, a detta delle previsioni meteo. L'auto ripartì per fermarsi un paio di metri più avanti, a pochi passi dall'Open Air, un locale che ricordavo bene, perché in effetti io e Yael ci eravamo baciati per la prima volta proprio lì davanti. Quanto tempo era passato? Sembrava una vita fa, un'esistenza talmente lontana che non riuscivo più a ricondurre a me.
E adesso lui era in carcere e Kai era in strada, a fare solo Dio sapeva cosa. Ed io ero bloccato in quell'auto, costretto a partecipare ad una cena dove tutti sapevano chi ero e da dove ero appena venuto fuori.
- Eccoci, eccoci. Grazie Elijah, ti chiamo non appena siamo pronti per tornare a casa.
Mio padre aveva salutato l'autista, l'arrestarsi dell'auto mi fece riscuotere dai miei pensieri. Il Whitby si stagliava davanti a noi con la sua facciata imponente e lussuosa, talmente luminosa da risplendere nella notte ed illuminare la miriade di limo e passeggeri in procinto di fermarsi. Ecco il primo assalto di conoscenti che veniva a salutarci, così ben vestiti ed educati, una perfetta imitazione di ciò che gli altri volevano vedere in tutti coloro che partecipavano a quelle serate. Anche i miei genitori non erano da meno, grandi sorrisi e conversazioni vuote ma cortesi. Per fortuna faceva troppo freddo fuori per attardarci lì davanti, così avevamo preso posto nella sala interna. Mi sentivo parecchio fuori posto in quel momento, stentavo perfino a riconoscere il mio riflesso, forse era tutta colpa dello smoking nero e dei capelli fin troppo ordinati. Mi ero liberato dei miei piercing all'orecchio e li avevo sostituiti con dei pezzi molto più adatti alla situazione, come i gemelli d'argento che brillavano sui polsini della mia camicia di seta bordeaux. Quanto meno ero ancora abbastanza pallido da sembrare un vampiro vestito a festa.
Pensai che Andrew avrebbe fatto fatica a riconoscermi quella sera, forse mi avrebbe perfino preso per il culo e trovato ridicolo. Con quel pensiero in testa, andai a prendere posto al nostro tavolo, diviso con i soliti amici di mio padre, nonché colleghi di partito e pezzi grossi pieni di arie. Convenevoli su convenevoli, ecco che l'attenzione cadeva su di me, mi chiedevano come andava a scuola, cosa avevo in mente di fare dopo. Mi interessava la carriera politica? Oh, con il padre che avevo dovevo per forza prendere in considerazione quella strada. Rispondevo in modo cortese ma distaccato, mia madre decantava le mie grandi doti da musicista e la mia passione per i libri, tralasciando il fatto che non toccavo più una chitarra da anni. E poi c'erano i figli e quelli erano i peggiori, mi si attaccavano addosso, mi fissavano perfino mentre mangiavo, ero l'animale esotico del tavolo, quello silenzioso e che si era fatto il carcere perché amava picchiare la gente e finire nei guai. Ero a metà tra un idolo e la raffigurazione terrena di Satana.
- Scusatemi, vado a fare un giro.
- Certo, caro. Però torna per il primo!
Dopo l'aperitivo mi sollevai da lì, deciso a tutti i costi a trovare Andrew. Forse alla fine sarebbe stato lui a salvare me quella sera. La sala era enorme e mi sembrava che ci fosse anche più gente del solito a quell'evento, intravidi il suo tavolo soltanto per via della divisa che lui e gli altri piloti della U.S Air Force indossavano. Se io non mi sentivo per niente a mio agio, lui invece, sembrava essere nato per starsene lì, circondato dai suoi colleghi, intanto ad indire un brindisi dopo l'altro.
- Siamo felici che ci hai raggiunto, Wolfie. E' bello vedere che te la stai cavando – disse un uomo alla sua destra. Avevo fatto il giro per sistemarmi alle sue spalle e nel caos nessuno sembrava avermi notato
- Come sta lui? Niente di niente?
Andrew aveva scosso solo la testa, era evidente che non voleva parlare di Aiden. Ebbi l'impressione che forse anche la sua fosse una recita quella sera, sicuramente meglio riuscita della mia, ma c'era qualcosa di stonato nella rigidità della sua postura che fino a quel momento non avevo notato. Mi sembrò che si stesse guardando intorno, per un attimo mi venne voglia di avvicinarmi ed assestargli una pacca sulla spalla per farlo girare, ma mi fermai giusto in tempo
- Psst
Si erano voltati tutti a guardarmi, abbozzai un sorriso nel notare l'espressione sorpresa e anche un po' sollevata che si era dipinta sul viso di Andrew nel riconoscermi
- Oh Levin, sto arrivando. Scusatemi.
Era quasi corso da me, mi lasciai stringere il braccio mentre mi passava l'altro intorno alle spalle e abbassava la voce
- Mi stai salvando la vita. Scappiamo!
- Esagerato. Il tuo tavolo sembra meno spaventoso del mio. Tutti in divisa, a fare i fighi con i vostri Martini! – mi ritrovai a considerare, ci stavano ancora guardando tutti. Andrew ruotò gli occhi al cielo e rise
- Ti sbagli. Hai quella sigaretta che mi aveva promesso?
Annuii e insieme ci dirigemmo verso il terrazzo più vicino.

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