10. Loveless, heartless, shameless

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Nella foto: Tian

Amor odit inertes.
(L'amore odia gli inerti)


CALLUM
Il sole era alto e caldo nel cielo, la spiaggia assolata e riuscivo a sentire la sabbia morbida sotto i piedi, le risate intorno a me erano quasi assordanti. Ma poi ero in quelle acque e il mio corpo diventava sempre più pesante, la superficie cristallina del mare era sempre più scura e sentivo il corpo andare a fondo.
Mi trascinai letteralmente fuori dall'acqua mentre sentivo che quella morsa gelida non lasciva il mio petto, la sabbia era dura e caddi sbattendo il viso contro quella superficie quasi tagliente. I miei occhi si mossero, osservai quella folla con grande dolore senza che potessi impedire al mio viso di farlo. Le urla mi sommersero, la gente che si ammassava verso la riva e il suo corpo che ancora una volta veniva strappato al mare quando ormai era troppo tardi.
L'inferno, è questo che l'acqua mi ha dato.
Aprii gli occhi atterrito e con il respiro affannoso, mi sollevai a sedere sul letto e il terrore si impossessò di me. Non riconoscevo quella stanza, dove mi trovavo? Spostai lo sguardo verso quelle pareti anonime e l'armadio stretto, non era casa mia né camera di Alencar.
- E' il mio nuovo appartamento
Quella voce, stranamente sentirla mi calmò, qualcosa di familiare in quel risveglio così violento e destabilizzante. Voltai la testa e vidi che accanto a me, nel letto, c'era Alencar. Era disteso e mi fissava con un braccio dietro la nuca a reggersi la testa, entrambi eravamo evidentemente nudi.
L'inferno non è solo quando chiudo gli occhi.
Contrariamente al solito non andai nel panico, non perché non lo fossi, ma semplicemente non avevo abbastanza energie per farlo. Mi sentivo stremato, combattevo quella battaglia da troppi anni, mi lasciai ricadere sul materasso producendo un tonfo sordo, sentii le molle vibrare, era sempre lo stesso circolo di dolore, disperazione e amarezza. Un'overdose di biasimo quotidiano, quello era solo l'ennesimo smacco, l'ennesimo dolore che Celia voleva infliggermi.
- Mi alzo e vado via – dissi alla fine fissando il soffitto bianco sopra la mia testa – solo un momento
- Puoi fare la doccia se vuoi – replicò lui e questo mi sorprese, non percepii la solita intonazione astiosa, anzi, sembrava drammaticamente simile al mio quel tono.
- No, va bene. Sono già in ritardo per la mia visita di controllo
- Una ragione in più per farti una doccia. Oppure quando ti spoglierai preferisci che il dottore noti come hai passato la serata? – notai persino una punta di divertimento, come se stesse cercando di fare dell'ironia.
Non avevo mai sentito quel tono, anzi probabilmente io conoscevo solo l'uno per cento del carattere di Alencar, il lato peggiore. Qualcosa mi spinse a voltarmi e girarmi su un fianco a guardarlo, notai che anche il suo viso era rivolto verso di me. Restammo così, in silenzio a guardarci.
Stai davvero vedendo me?
- Mi dispiace che lei abbia iniziato a punire anche te – mormorai.
Lui restò ancora in silenzio, quegli occhi ambrati per la prima volta mi sembrarono caldi e confortanti, eravamo come due naufraghi in quel momento, entrambi vittime delle circostanze. Forse persino lui stava prendendo consapevolezza di quanto Celia fosse impegnativa, di quanto fosse tremendamente egoista, di quanto fosse quella parte di me che non accettava alcuno sbaglio. Lei voleva tutto a qualsiasi costo.
- Vai a farti la doccia e andiamo, ti accompagno io dal dottore
Trovai la forza di mettermi nuovamente seduto e iniziai a recuperare i miei indumenti sparsi per la stanza, per la prima volta non mi sentii a disagio, ero nudo ma oltrepassai la stanza fino a chiudermi in bagno. Lasciai che l'acqua fresca lavasse via i segni della sera prima e l'odore di Alencar dalla mia pelle, poi mi rivestii e attesi che anche lui facesse lo stesso.
In auto il tragitto fu silenzioso, le mie mani stringevano il sacchetto che conteneva la parrucca e mi preparavo a quell'ennesimo confronto con la realtà. Quando l'auto si fermò ad uno dei parcheggi dell'ospedale restai stupito nel sentire il motore spegnersi. Mi voltai a guardare Alencar ma il suo volto non tradiva emozione o spiegazione alcuna per quel gesto.
- Ti accompagno dentro – fu tutto quello che disse e io non replicai.
L'ambulatorio del Dottor Fisher era in fondo al corridoio del seminterrato, era una zona piuttosto angusta ma tranquilla e forse quell'ala era l'unico punto in cui non sentivo l'aria opprimente dell'ospedale. Lui era stato il medico che mi aveva visitato durante il mio primo attacco di panico, non vivevo ancora a Brooklyn ma una casualità aveva portato entrambi a trasferirci qui, in quella nuova realtà dove le vecchie abitudini sembravano non cambiare.
Bussai e attesi pochi istanti prima che venisse ad aprirmi la porta con il solito sorriso preoccupato, quella volta spostò lo sguardo anche alle mie spalle e dedicò un sorriso ad Alencar.
- Oh, questa volta in compagnia. Devi attendere un momento fuori, Callum entra
Mi accomodai nell'ufficio dove c'era una grande scrivania piena di cartelle, sulla destra c'era il separé con il lettino e la bilancia, mi diressi in quella direzione senza nemmeno che mi dicesse una parola.
Mi spogliai, restando in mutande e poi salii sulla bilancia, quella emise un lieve scricchiolio e la barra si spostò leggermente di lato. Il dottore era già lì accanto a me, con la cartella in mano e il dito spostato sul peso, la sua espressione era sempre più crucciata mentre lo muoveva, io decisi di non guardare su che numero si sarebbe fermato. Puntai gli occhi dritti davanti a me e fissai con ostinazione la crepa nel muro bianco, sentii il dottore toccare le ossa che facevano capolino dalla mia schiena nuda. Poi scesi dalla bilancia e sentii lo stetoscopio freddo lungo il mio petto, due respiri veloci, uno lento, poi mi chinai toccandomi le punte dei pedi e alla fine il turno della pressione. Mi rivestii e prese qualche campione di sangue per delle analisi e ci ritrovammo seduti ai due opposti della scrivania.
- Non ci siamo Callum – disse con tono grave – non sta andando bene per niente. Hai persino perso 100 grammi dall'ultima volta che ti ho visto, la tua pressione è bassa e quando avrò i risultati di questo campione di sangue ... non mi piaceranno neanche queste
Si aspettava una reazione da parte mia ma io continuai a fissarlo in silenzio, cosa potevo dire? Conosceva ormai a memoria ognuna delle mie scuse.
- Hai scelto di non vedere altri specialisti e sei maggiorenne quindi non posso obbligarti a farlo. Ti rifiuti di rivolgerti ad uno psichiatra per una cura farmacologica dei tuoi attacchi di panico o uno psicologo per un percorso terapeutico. Le cose sono molto serie Callum, non stai seguendo la dieta che ti ho fatto avere e non prendi peso. Stai cercando di ucciderti?
- No. Mi dispiace se continuo a fallire, mi impegnerò di più -mormorai.
Mi dispiace dottore, mi dispiace davvero.
Riuscivo a vederla la delusione nei suoi occhi al suono dell'ennesima sterile frase di scuse, doveva avermi davvero preso a cuore, si comportava quasi come un padre nei miei confronti. Era per quello che cercavo sempre di saltare i suoi appuntamenti, non volevo mettere anche il suo nome nella lista delle persone che avevo deluso.
- Appena avrò i risultati ti chiamerò e vedremo se è il caso di prendere degli integratori
Mi sollevai dalla sedia alla fine e mi diressi nuovamente in corridoio, vidi Alencar sollevarsi ma prima che potessimo andare via il dottore fece qualcosa che non mi aspettavo.
- Alencar, ti dispiace entrare un momento?
Prima che potessi oppormi lui varco quella soglia e la porta mi si chiuse davanti, il mio corpo iniziò a rabbrividire. Cosa voleva dirgli? Perché adesso?
Non restarono dentro a lungo, alla fine uscirono entrambi come se nulla fosse successo e io seguii Alencar in silenzio fino al parcheggio, lui mise in moto e io sperai che il dottore non avesse rivelato qualcosa di troppo.
- Dove andiamo? – chiesi alla fine raccogliendo le mie forze.
- Ti accompagno a casa
Inspirai mentre davo voce alla mia vera paura – cosa voleva da te il dottore?
Fu inutile anche solo provarci, non ottenni alcuna risposta, i miei timori restarono ad aleggiare nel silenzio dell'abitacolo mentre l'auto procedeva senza esitazione fino al vialetto dalla casa. Vidi l'auto di mia madre parcheggiata e un sussulto mi scosse le viscere, cercai di non apparire troppo terrorizzato e richiusi lo sportello.
- Grazie per oggi – mormorai prima di sentire il motore accendersi.
Continuai la mia avanzata conscio che quell'ennesimo incontro fosse inevitabile, sperai che decidesse di ignorarmi e varcai la soglia con l'intenzione di chiudermi in camera.
Non era quel genere di serata, lo capii immediatamente quando dopo pochi passi mi ritrovai la sua figura che torreggiava su di me, il suo viso era piegato in un'espressione disgustata.
- Eccolo qui! Il nostro eroe – sbottò tagliandomi la strada con furia – dove sei stato, eh? Ti diverti vedo
Io fissai i suoi occhi pieni di rabbia, non provai nemmeno a replicare mentre la vedevo avanzare verso di me.
- Sono passata davanti alla tua camera ieri notte, è questo che fai? Scappi in punta di piedi per andare a divertirti? – poi tirò fuori dalla tasca la vera bomba, la foto che tenevo in camera mia.
Mi assicuravo sempre di toglierla quando lei tornava, non doveva rendersi conto che avevo tenuto un ricordo di Celia anche se era l'ultimo frammento di un momento felice della mia vita.
- Dove l'hai presa questa? Come osi tenere qualcosa di suo, credi forse di meritarlo? – il suo alito puzzava di alcol, doveva aver bevuto parecchio alla vista della sua bella bambina.
- Volevo ... solo un suo ricordo – tentai di spiegare ma fu una pessima idea.
Non vidi il suo schiaffo finchè non lo sentii sulla mia guancia, la pelle prese a bruciare e lei sembrava ogni istante più furiosa.
- Come ti permetti? Sei un tale parassita egoista, continui a pretendere! Come se il mondo ti dovesse qualcosa a dispetto di tutto quello che gli hai sottratto! – ringhiò – hai rubato la mia bambina, l'hai strappata via la sua vita dalle mie braccia e hai fatto lo stesso con tuo padre! –
No, ti prego, non anche lui adesso.
Ma non c'era traccia di pietà nei suoi occhi, non mi avrebbe risparmiato alcuna sofferenza, era lei in tutto il suo brutale sadismo.
- Cos'è quello sguardo sorpreso? Non dirmi che non ti ritieni responsabile anche per la sua morte! – l'odio che fuori usciva dalle sue parole continuava ad investirmi come una bufera – perché credi che stesse correndo in quel modo in auto? Con quel tempo di merda! Per chi credi stesse percorrendo l'autostrada nel cuore della notte? Per te! – sbottò – perché tu non la smettevi di piangere e lamentarti, perché non potevi passare un'altra sera a casa con tua madre che era così cattiva con te! E lui ha corso, più che poteva solo per accontentarti e quel camion gli ha tagliato la strada! Lo ha travolto e fatto a pezzi!
Le lacrime bagnavano il mio viso senza che riuscissi a controllarle, non ero nemmeno triste, non consciamente almeno, me ne stavo lì impietrito davanti a lei con il volto rigato di lacrime.
Lei ha ragione, sei solo un mostro.
Non so cosa mi spinse muovermi forse qualche rimasuglio di istinto di sopravvivenza, non avrei più avuto ricordi felici di mia sorella, quell'unica foto di lei mi era stata strappata via, ormai avevo solo il ricordo del suo cadavere. Non avevo più ricordi felici di mio padre, perché sentivo che se non gli avessi fatto quella telefonata lui adesso sarebbe ancora vivo.
Sei senza amore, senza cuore e senza vergogna. Per cosa vivi? Per cosa un essere come te si muove ancora?
Non sapevo rispondere, potevo solo scappare via mente sentivo ancora le urla di mia madre, mentre prendevo le distanze, almeno quelle fisiche perché le sue parole alla fine non mi lasciavano mai andare. Erano come delle ferite infette con ancora le lame innestate nella carne, potevo sentirle lacerarmi la pelle e piegarmi l'anima.
Non sapevo quanto avevo corso, mi sentivo solo affaticato e confuso mentre sulla mia testa il cielo era diventato cupo e c'era aria di tempesta. Fu allora che lanciai lo sguardo davanti a me, ero quasi arrivato alla spiaggia, non la parte sfarzosa e turistica di Coney Island ma una zona appartata e solitaria. Pensai che fosse l'epilogo perfetto, una spieggia e una tempesta, potevo sparire in una notte e forse il mio dolore sarebbe stato annientato con me.
Continuai a camminare barcollando lungo la strada e quando affondai i piedi nella sabbia quella sensazione fu quasi familiare, nonostante non andassi a mare da quel giorno. I tuoni producevano un rumore spaventoso e le prime gocce d'acqua mi bagnarono il viso mentre mi sdraiavo lì, sperando di dissolvermi nella tempesta.  

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