40. In memory of us

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Gutta cavat lapidem.
(La goccia scava la pietra, Ovidio)


CALLUM


Riuscivo a vedere le luci della città da quella vetrata mozza fiato, Brooklyn non sembrava neppure la stessa da quell'altezza, era come viaggiare su un mare di piccole lucciole colorate. Poi quel familiare tocco caldo, una mano che sfiorava il mio braccio nudo fino alla spalla, si soffermava sul collo e alla fine ricadeva giù lungo il mio petto. Il volto di Alencar apparve riflesso sul vetro delle grandi finestre ed io mi trovai avvolto dal calore del suo corpo, dai suoi baci lungo la schiena e dal suo respiro caldo.
Dio, si può desiderare tanto qualcuno senza impazzire?
Vedevo le sue labbra muoversi ma non riuscivo a sentire cosa stava dicendo, avevo solo il corpo in fiamme, ogni parte di me traboccava di un bisogno assoluto di farsi dominare da lui.
Aprii gli occhi e drizzai la schiena di soprassalto. Dovetti persino guardarmi intorno per ricordarmi dove mi trovavo, inspirai ed espirai un paio di volte. Era stato un sogno, ne ero consapevole, solo un sogno particolarmente intenso, come tutti quelli che mi capitava di fare da un po' di tempo a quella parte. Non ero in una lussuosa camera d'albergo, non c'era Alencar con me e non eravamo entrambi nudi.
C'ero solo io lì, Callum, nella mia stanza, con il pigiama e totalmente solo, con un'erezione imbarazzante fra le gambe.
Stai proprio perdendo la testa.
Mi sollevai e mi gettai sotto la doccia, dovevo concentrarmi e recuperare un po' di raziocinio per affrontare la giornata scolastica.
Mi vestii e filai via, fuori di casa, sperai anche fuori da quei pensieri che mi stavano tormentando, ultimamente non facevo altro che sognarlo.

Quando vidi Levin vicino all'ingresso decisi che era lui la persona a cui dovevo pensare davvero, non avevo dimenticato in che condizioni lo avevamo trovato io e Andrew.
Gli andai vicino e lo salutai ma la sua espressione era più indecifrabile di sempre, portava il tutore al braccio e i suoi occhi erano carichi di pensieri, esattamente come doveva esserlo la sua mente. Sapevo che forse era troppo per me, che magari non era pronto a condividere quel peso ma volli comunque cercare un contatto.
- Come ti senti? – chiesi sapendo che probabilmente avrebbe mentito.
- Me la cavo, la mano starà bene – rispose rapidamente.
E tu, Levin, starai bene?
- Avevi preso qualcosa l'altra volta? Quanto ti abbiamo trovato mezzo svenuto ... - continuai con tono cauto.
Non lo stavo guardando, non volevo che si sentisse sotto interrogatorio, continuai a camminare con gli occhi dritti davanti a me.
- Era una giornata del cazzo quella ... - ammise – tutte le puttanate di mio fratello, lo sai ...
- Sì, immagino – commentai – ne ho parlato con Alencar poi, volevo dirtelo. Gli ho chiesto di Kai
- E che ne dice? Lo conosce quel bel fenomeno di mio fratello? Vuole ucciderlo anche lui? – il suo tono era rabbioso.
- Stanno lavorando insieme – gli risposi sperando che quella frase lo rasserenasse – ha detto che lo proteggerà, che aiuterà anche te. Forse insieme possono sistemare le cose
- Fantastico
Non fu quell'esclamazione a stupirmi, fu il tono che usò. Lo trovai così surreale da spingermi a posare gli occhi su Levin e quello che vidi mi intristì. Non c'era più niente, il mio amico era più che stanco ormai, era logorato, a pezzi, si era immerso in quell'indifferenza che ti fa raggiungere soltanto l'istinto di sopravvivenza. Levin il buono, quello che si era sacrificato per il fratello, quello che si faceva sempre coinvolgere, quel ragazzo non c'era più. La vita lo aveva fottuto una volta di troppo.
- Mi dispiace, Levin – dissi con un filo di voce – spero che vada tutto bene
- Cosa vuoi che importi? Se non sarà questo ad ammazzarci una volta per tutte, sarà qualcos'altro. E' così che funziona con Kai.
Lo vidi allontarsi e non lo seguii, era giusto così, forse era meglio si prendesse del tempo in solitudine, d'altronde certi pensieri sono fatti per restare non detti.

- Callum?
Sentire il mio nome mi riportò sulla terra dopo quella lunga giornata scolastica, passata fra verifiche e pensieri malinconici.
Mi ritrovai davanti la faccia di Keno che sembrava stare ogni giorno meglio rispetto al mese precedente. Assistere Aiden doveva essere stancante ma il fatto che fosse ormai sveglio e in remissione aveva riportato la vita anche negli occhi del mio amico.
- Ciao
- Ti ho chiamato un paio di volte, ma eri nel tuo mondo – mi fece notare con un mezzo sorriso – o mi stai ignorando? – chiese poi con un lieve sorrisetto.
- No, sono solo sovrappensiero. È un periodo strano – ammisi.
- Già, io sono sempre il solito stronzo che poi alla fine non trova il tempo per uscire una sera – disse con tono colpevole.
- Ma piantala, siamo tutti incasinati per ora. Va bene così – lo rassicurai – poi te lo ricordi il nostro patto, no? Dobbiamo sostenerci, senza stress. Quindi non pensare a me come uno che devi incastrare fra i tuoi casini
- Ma sei solo adesso? Voglio dire ...- rifletté– ti distrai un po' ogni tanto? Non stai tutto il tempo chiuso in quella casa, no?
Vuoi ancora mentirgli?
Restai in silenzio, non sapevo se potergli davvero parlare di Alencar, cosa avrebbe pensato di me?
- Callum?
- No – dissi di getto – no, non sto sempre solo. Esco
- Ma sei sicuro di stare bene? – chiese incerto – non sarà di nuovo per quel tipo? Ha cominciato a tormentarti ancora?
Sei così vigliacco?
Inspirai – no ... lui non mi tormenta. Anzi fra noi va bene
Silenzio.
Vidi lo sguardo di Keno farsi più serio – come sarebbe a dire che va bene? Ci stai uscendo?
Io mi strinsi nelle spalle – non devi preoccuparti, è tutto ok. Noi non usciamo proprio insieme, ecco ...
- E' un cazzo di criminale, Callum! – esclamò facendomi sobbalzare – ma sei impazzito? Dopo che hai raccolto pure quelle prove! Sai che è uno pericoloso, cosa ti dice il cervello? Non dovevo lasciarti solo, quel tipo ti sta condizionando.
Io scossi la testa – no, davvero. Lui non c'entra, sono io ... che ho voglia di stare con lui
Lo avevo detto, stupii entrambi con quella frase ma, per quanto sconvolgente, era la verità, qualcosa che mai mi ero sognato di dire ad alta voce.
Io volevo stare con lui.
Non importava più quello che era successo in passato, come avevamo vissuto le nostre vite fino al giorno in cui ero entrato nel suo appartamento. Da quando mi aveva riportato indietro non c'era stata più solo gratitudine da parte mia, c'era sempre stato altro, qualcosa di impossibile da ignorare ormai.
- Finirai per farti male, Callum – continuò Keno scuotendo la testa – questa è una follia
- La mia follia – dissi con un tono tanto sicuro che non sembrava nemmeno il mio – voglio lottare per questo
- Non capisco perché dovete tutti sempre lottare per le cose sbagliate – disse con un tono fra il disperato e lo stizzito, poi andò via.
Ancora una volta osservai una persona voltarmi le spalle e non la fermai, vidi Keno scomparire fra la miriade di ragazzi che affollava il cortile senza che spendessi una sola parola per fermarlo o per spiegare. Forse non era più tempo per le spiegazioni, forse adesso bisognava solo fare quello che ci si sentiva sulla pelle e, come lui aveva bisogno di vivere al fianco di Aiden, io avevo bisogni di Alencar.
Sapevo che non era davvero finita fra noi, che qualsiasi cosa fosse nata, anche se più debole della luce di una candela, ci aveva salvati e che avremmo potuto contare ancora una volta l'uno sull'altro se fosse servito.
Un uomo gelido con un grande cuore, forse è questo che sei.
Pensai mentre anche io iniziavo a muovermi verso l'uscita, Keno era proprio così, la persona più fredda che io avessi mai conosciuto, che affrontava la vita come davanti ad un plotone d'esecuzione, ma che sapeva prendersi cura degli altri come nessuno, che sapeva amare. Per certi versi mi ricordava Alencar, forse era stato questo ad attirarmi all'inizio, ma ora non potevamo pensare più solo a noi e, in qualche modo, lo sapevamo entrambi, altri contavano sul nostro aiuto.
Quando uscii dal cancello non ci volle molto per notare la macchina di Alencar posteggiata poco lontano, mi avvicinai senza esitare e bussai sul vetro.
- Ehi – disse a mo' di saluto.
- Che fai qui? – chiesi senza nascondere la felicità ma tentando di trattenere i flash che si formarono nella mia mente.
I rimasugli di quel sogno così vivido mi procurarono non poca agitazione, anzi, trattenni a stento i brividi quando lui mi passò le dita lungo il dorso della mano.
- Sono venuto a prenderti, hai la visita con il dottor Fisher oggi, o ricordo male?
- Giusto, mi accompagni?
- Sì, dai andiamo
Così salii, tutti quei gesti cominciavano a sembrarmi normali, era tutto quello che desideravo. Non c'era più traccia di paura in me.
Come stai? Mi avrebbe chiesto il dottore di lì a poco.
Ed io avrei risposto: va tutto bene.
Posso stare bene.

AIDEN


- Un altro piccolo sforzo, Aiden. Bravissimo ... allunga il braccio, stringi un po' di più la presa e poi riportalo al petto.
Seguivo le indicazioni del fisioterapista, ogni minimo movimento mi costava una fatica immane. Ero sudato e teso, mi faceva male tutto e adesso stavo iniziando ad essere scosso da tremori che non potevo controllare. Persi la presa sulla pallina che stringevo tra le dita, la guardai rotolare sul tavolo per qualche secondo, prima che venisse riacciuffata dall'uomo. Un'altra occhiata bonaria e comprensiva, come se volesse dirmi "Sta tranquillo, capita in continuazione. Sei forte"
Ero stanco di essere guardato in quel modo. Ero stanco della mia incapacità di svolgere anche la più semplice delle funzioni. Perché non stavo migliorando? Perché rimanevo bloccato su quella sedia a rotelle, con le braccia tremanti e affaticate? Perché avevo bisogno di qualcuno perfino per mangiare e andare al cesso?
- N-non ce la faccio più ... - ammisi dopo un paio di minuti di quegli esercizi. Il braccio non si muoveva più, non rispondeva e basta.
- Tranquillo, per oggi è meglio se smettiamo, abbiamo fatto molto. Sei stato bravo, Aiden. Mi raccomando, continua a fare gli esercizi anche a casa. So che è faticoso, ma è necessario. Fatti aiutare dai tuoi amici, ok?
Mia madre accorse in fretta e, aiutata da un altro infermiere, mi spostò nuovamente sulla mia sedia a rotelle. Stare lì sopra mi faceva sentire a disagio, avevo iniziato a temere e allo stesso tempo odiare le occhiate della gente che mi incrociava per strada. Mi compativano, si chiedevano quale destino infame mi fosse capitato per finire su quella sedia a rotelle, nonostante fossi così giovane e apparentemente sano.
Ero stato caricato in auto con l'aiuto di un infermiere, quei gesti stavano iniziando a diventare una routine dolorosa. Mi estraniai, succedeva spesso, i miei pensieri si perdevano, rimanevano intrappolati in flash del passato che rivivevo senza un filo continuativo che mi aiutasse a chiarire quando e come si fossero succeduti. La mia mente era una massa caotica di fili da sbrogliare.
- Keno mi ha detto che oggi verranno a trovarti James e Shannon! E' una bella notizia – mia madre parlava con molto entusiasmo, provai a starle dietro anch'io e accennai un sorriso.
Bene, pensai invece, adesso anche loro mi avrebbero visto in quelle condizioni e mi avrebbero compatito per il resto del pomeriggio. Il viaggio durò poco, mia madre aveva chiamato Andrew e insieme mi avevano sollevato di nuovo, poi ascensore e finalmente casa.
- Com'è andata? Sei stanco?
- Bene. Il dottore è molto bravo. Non sono tanto stanco - mentii
Andrew mi passò una mano tra i capelli in una carezza affettuosa ma troppo breve. Avrei voluto che quel contatto continuasse, pregavo affinché quella gentilezza nella voce e nei modi iniziasse a trasparire anche dai suoi gesti. Ma forse era chiedere troppo, significava voltare le spalle a quello che io e Levin gli avevamo fatto. Quel pensiero mi provocò una nuova ondata di agitazione difficile da contrastare.
- Metto su il pranzo e intanto andiamo a fare un bagno, ok? Così pomeriggio sarai libero di stare con i tuoi amici
- No
Mia madre mi aveva guardato con un'espressione confusa sul viso – No? Perché no?
- V-voglio farlo da solo - le parole non vennero più fuori, stavo iniziando a tremare piano, preso dall'angoscia di troppi pensieri.
- Tesoro, non puoi ... non ancora
- Allora non voglio che sia tu! E' imbarazzante – dissi a denti stretti – non sono un bambino
- Ci penso io, signora Berg
Andrew intervenne a sorpresa, rimasi a guardarlo per un attimo. Provavo imbarazzo a mostrarmi nudo e inerme davanti a lui? No. Mi aveva già visto e toccato milioni di volte, forse non ricordavo tutto, ma sapevo che con lui sarebbe stato diverso, quasi vicino alla normalità.
- Va bene se ci penso io?
Lo chiese direttamente a me, così annuii piano. Mia madre non insistette, si limitò a prendere degli asciugamani e una tuta pulita, per poi svanire in cucina. Io ed Andrew andammo in bagno invece, dove faceva già più caldo e la vasca era per metà piena. Mi spogliò con attenzione, il mio corpo mi dava la sensazione ingannevole di essere ancora quello di prima, ma la realtà era ben diversa. Non riuscivo a gestire quasi niente di lui.
- E' abbastanza calda?
- Va benissimo
Venivo preso di peso come sempre e, le poche volte che riuscivo ad aiutarmi, lo facevo con le braccia. Tenere la presa sulla spugna era difficile però, la mia mano a volte si distendeva senza nessuna ragione plausibile, erano gli impulsi sbagliati che il mio cervello inviava al resto del corpo, mi aveva spiegato il dottore. Così fu Andrew a insaponarmi. Lo guardavo apertamente, passando in rassegna il suo viso bello e appena corrucciato. Grandi occhi di un verde che tendeva all'azzurro e quegli zigomi alti e spigolosi. Non avevo dubbi sul perché me ne fossi innamorato.
- Posso occuparmene io da ora in poi. Capisco che farsi fare il bagno dalla propria madre non sia il massimo ... - iniziò Andrew, gentile come sempre
- Non volevo darti quest'altro peso.
- Nessun peso, Aiden. Siamo soltanto felici che nonostante tutto tu sia qui. C'è stato un momento in cui non riuscivamo a vedere la luce alla fine del tunnel, devo ammetterlo.
Avrei voluto chiedergli se adesso ci stesse riuscendo, quale fosse il trucco per vedere della speranza quando la vita stessa sembrava remarmi contro. Prima l'incidente, poi il coma e infine questo ... avrei dovuto essere felice di trovarmi in condizioni del genere? Non ci riuscivo e basta.
- L'altra sera ho chiesto a Keno di noi due – avevo parlato piano, i miei pensieri confusi non mi sapevano dire dove sarei voluto arrivare con quel discorso.
Andrew sembrava sorpreso davanti a quel cambiamento repentino di argomento – Cosa ricordi? Hai recuperato qualche ricordo particolare?
- Ricordo certe cose, arrivano a pezzi per lo più ... non so neanche dire cosa sia successo prima o dopo. Ricordo questo posto ... mi portavi qui a volte, vero?
Andrew annuii – Sì, è vero. Ricordi altro?
- Ricordo quando ci siamo conosciuti ... - dissi, sforzandomi – ricordo il locale in cui lavoravo e poi le missioni ... le tue partenze.
E cos'altro? I pezzi mancanti erano molto più grossi di ciò che ero riuscito a racimolare nel caos della mia mente. Scossi la testa.
- Abbiamo delle foto?
- Non credo
Lo guardai, confuso – Ma stavamo insieme da molto tempo ...
Andrew abbozzò un sorriso malconcio – Mi dispiace, non eravamo quel genere di coppia. Ma posso provare a cercare un po' sul computer, qualcuna dovrebbe esserci
Sembrava in imbarazzo, continuò a lavarmi un po' più in fretta, capii che quella conversazione lo metteva a disagio. Era evidente il perché, cosa potevo aspettarmi da Andrew dopo quello che avevo fatto con Levin? Ecco, quello era un genere di ricordo di cui avrei fatto a meno, ma non potevo scegliere cosa ricordare e cosa no, purtroppo.
- Potrai mai perdonarmi?
Lo avevo detto di getto, a volte non c'era continuità tra pensieri e parole. Andrew si immobilizzò un attimo, i suoi occhi erano profondi e sinceri quando parlò
- Aiden, io ti ho già perdonato. Ti prego, non pensarci più ... concentrati soltanto sulla tua guarigione.
- Ma ...
- Volevi già lasciarmi, ok? Io ero in missione però e non ne abbiamo potuto parlare. E poi è stato soltanto per qualche mese – continuò lui. Sentii la sua mano bagnata accarezzarmi il viso dolcemente.
- Perché volevo lasciarti? – mi sentivo un idiota che brancolava nel buio. Più tornavo indietro a quei momenti, più mi sembrava di uscirne confuso.
- Perché le cose non andavano bene. Litigavamo spesso a causa del mio lavoro ... le missioni, le trasferte fuori per mesi e mesi. Ma non importa più
- N-non avrei dovuto farlo comunque ... - dissi in fretta, combattendo contro quel senso di angoscia che mi prendeva lo stomaco – Keno mi ha detto che ero pazzo di te, non capisco. Come ho potuto?
Andrew rimase in silenzio, continuò il suo lavoro senza guardarmi, mi sciacquò via la schiuma e poi mi aiutò a sollevarmi da lì. Faceva tutto quello per me, mi accudiva come avrebbe fatto un uomo con la donna che amava. Mi amava ancora? E io cosa provavo? Non riuscivo a capire. Dovevo amarlo? Quell'incidente mi aveva incasinato dentro.
Mi lasciai tamponare, Andrew stava sorridendo appena – Tra poco arrivano i ragazzi, ho comprato un po' di cibo spazzatura per voi e ho tirato fuori dei giochi da tavolo se dopo volete fare qualcosa
- Perché? Tu non ci sarai? Andrai via?
- Ho un po' di cose da sbrigare nel pomeriggio, ma tornerò stasera. E poi c'è Keno, dovrebbe essere qui a momenti
Annuii, non volevo comportarmi in modo strano con lui, così rimasi in silenzio nonostante avessi molte domande. Perché andava via spesso? Non stava lavorando, sapevo che aveva preso un periodo di congedo dall'esercito. La mia presenza lo infastidiva? Ero un grosso peso per tutti lì, in fin dei conti.
Stavamo per uscire dal bagno, la mia mente era scossa da un serie di dubbi e paure. Come avrei fatto senza Andrew?
- Aspetta. Se senti Levin puoi dirgli che mi dispiace per come mi sono comportato la settimana scorsa? – gli chiesi in fretta
Lui si fermò subito, eravamo sulla porta che dava in salotto
- Certo, nessun problema.
- E chiedigli anche di passare qui ... per parlare. – dissi alla fine, cercando di scrutare il suo viso per carpirne un'emozione particolare. Mi odiava perché volevo vedere Levin?
- Voglio scusarmi con lui e fare un punto su alcune cose, solo questo – mi affrettai a chiarire.
Andrew annui di nuovo – Glielo dirò. Ma non dimenticare che hai cose più importanti a cui pensare adesso. Sei stato in coma per molto tempo, i tuoi ricordi sono ancora confusi e la tua mente non ha bisogno di uno stress simile. Devi prima recuperare – il suo tono era bonario, lo stesso che usava mia madre il più delle volte. Il senso di angoscia nel mio petto si trasformò lentamente in qualcosa di diverso. Ero stanco.
Mangiai piano, ogni forchettata era una battaglia epica contro i tremori della mia mano. Perfino svolgere una funzione base come quella mi procurava fin troppi problemi. Mia madre ed Andrew mi chiedevano se avevo bisogno di aiuto ogni cinque minuti circa, forse impietositi da alcuni tentativi maldestri di portare il cibo dalla forchetta alla mia bocca. Respinsi sempre il loro aiuto, non volevo cadere così in basso, ecco perché avevo abolito cibi troppo liquidi che mi avrebbero impedito di poter mangiare da solo. Infilzare era più semplice, ma la carne era già stata tagliata da qualcun altro e alla fine quel semplice pensiero fu abbastanza per farmi incupire.
- Hai finito? Le verdure sono ancora lì ... - mi fece notare mia madre
- Che c'è? Vuoi mettermi in punizione se non le finisco? Non potrò andare fuori a giocare con gli altri bambini fino a quando non avrò ripulito tutto il piatto? Ma ehi, aspetta. Sono su una fottuta sedia a rotelle! Non posso andare a giocare con gli altri neanche volendo.
Le parole vennero fuori senza che potessi controllarle, vidi mia madre accusare il colpo, ma non feci nulla per mitigare l'asprezza di ciò che avevo detto.
- Aiden, dacci un taglio, ok?
- Scusate la mia brutale sincerità – dissi a denti stretti. Andrew si sollevò subito dopo, lo vidi scuotere la testa prima di iniziare a sparecchiare.
Fu l'arrivo di Keno a evitarmi una conversazione che mi avrebbe fatto sentire ancora più stronzo e ingrato di quanto non fossi.
Entrò usando le chiavi che Andrew gli aveva dato, nel vedermi il suo viso si aprì in un sorriso
- Ehi, hai già mangiato? Ho preso un hamburger anche per te!
Mi venne incontro, per un attimo pensai che avrebbe allungato la mano verso la mia, in attesa del solito saluto pugno contro pugno che facevamo da una vita. Non lo fece, si era fermato giusto in tempo, ma me ne accorsi comunque.
- Non parlarmi di cibo. Credo che inizierò a farne a meno – il mio tono suonò acido perfino per me, non feci niente per mitigarlo quella volta. Avrei già dovuto mostrarmi allegro e felice con Shannon e James, non potevo permettermi di fingere anche con mia madre, Keno ed Andrew. Sarebbe stato troppo.
Vidi il mio amico lanciare uno sguardo al mio piatto ancora sul tavolo. Doveva aver intuito come fosse andato il pranzo, ma non aggiunse nulla. Si limitò ad accendere la console e tirare fuori un po' di videogiochi che gli avrei visto giocare.
- Ci mancava l'ultimo capitolo mi pare. Vediamo di rompere il culo a quel mostro.
- Tu glielo rompi, io urlo consigli e avvertimenti e conteggio le munizioni. Sai che spasso – commentai, ironico.
- Pensavo ti divertisse, possiamo anche fare altro, non c'è bisogno che stronzeggi in questo modo.
Keno era accigliato, c'era anche della chiara sorpresa sul suo viso. Forse stava vedendo qualcosa che non gli piaceva.
- Sono solo nervoso, ok? Dai, giochiamo. Voglio vedere come finisce – mi ripresi in fretta.
Il mio amico cedette, poi mi passò una mano sulle spalle – Io sono il braccio e tu la mente. Non ti sottovalutare.

KENO



Dando una sommaria occhiata al mio amico concordai con lui, non era nervoso, peggio, era tremendamente incazzato. Mi bastò posare lo sguardo sul volto leggermente impensierito della signora Berg e su quell'ammasso di accondiscendenza che aveva il nome di Andrew per cogliere cosa lo irritasse. Conoscevo Aiden da tutta la vita e quella doveva essere una sorta di riproduzione dell'inferno in terra per uno come lui. Ma non c'era modo di sottrarsi a quella situazione, forse era questa la realtà più dolorosa.
Una parte egoista di me ne fu lieto però, si sentì felice di vedere tanta frustrazione nel tono e negli occhi di Aiden, perché mi faceva sperare che il mio migliore amico fosse ancora lì. Che il vecchio e sfrontato ragazzo che conoscevo si era solo preso una pausa e che presto sarebbe tornato.
- Keno! – sbraitò colpendomi la spalla con il gomito – ma a che diavolo pensi, ci sei? Sei morto di nuovo!
Tornai con la mente a quello che stavo facendo, avevo il joystick fra le mani e uno schermo pieno di sangue di fronte.
- Merda – mormorai.
- Ti ho urlato di buttarti a destra quattro volte – mi rimproverò – e te ne sei stato lì impalato a farti massacrare. Lasciati dire che come braccio fai proprio schifo
Io risi e per un momento lo fece anche lui, per un secondo sembrò che quel velo buio sparisse ma poi il campanello suonò e lo vidi irrigidirsi.
- Ehi – mormorai sfiorando la sua mano con le dita – sono solo James e Shannon. Se non ti senti a tuo agio fammelo capire, ok? Li mando via
Quello mi guardò torvo – Li mandi via come?
- Un modo me lo inventerò, sono Keno lo stronzo, giusto? – gli ricordai facendo l'occhiolino.
Non ebbe il tempo di replicare, la madre apparve nella stanza seguita dai due ragazzi che ci lanciarono una lunga occhiata. Poi la donna sparì e fu Shannon ad avanzare per prima gettandosi su Aiden e circondandolo con le braccia.
- Mio Dio, come sono felice di vederti – disse stringendolo forte – quanto ci sei mancato
Mio Dio, quanto sei patetica.
Anche James si avvicinò dando ad Aiden una pacca sulla spalla – è bello rivederti in piedi, amico
Aiden lo fissò ed io non riuscii a credere a quello che avevo sentito, lo fulminai con lo sguardo e lui si rese conto dell'infelice scelta di parole.
- Insomma, quasi in piedi. – si corresse con un sorriso di circostanza.
- Ma dai, sono sicura che Aiden tornerà a camminare presto – disse immediatamente Shannon dall'alto della sua non esperienza – è giovane e forte. Vedrai che tornerai a camminare in un attimo e ti lascerai alle spalle tutto questo periodo tremendo.
Il volto di Aiden divenne di pietra, poi fece un respiro e mise su un inquietante sorriso spensierato, mi fece male vederlo fingere così mentre quella stupida parlava di cose che non conosceva. Io ero stato lì ogni giorno e non era per niente facile per Aiden, il dolore e lo sforzo per quegli esercizi lo logorava.
- Muoviamoci e iniziamo a giocare – dissi per tentare di smorzare quella discussione e ci spostammo intorno al grande tavolo.
- A cosa giochiamo? – chiese James fissando le scatole.
- C'è il gioco dell'oca, il preferito di Shannon – risposi – facciamo quello
- Dio Keno, passerai tutto il pomeriggio a rompermi le palle? – ribatté irritata.
- Può essere – risposi con un sorriso affilato.
Forse se avessi mantenuto l'attenzione su di me, le sue scemenze non avrebbero ferito Aiden più del necessario.
- Facciamo quello con i quiz, Brain qualcosa ... - disse Aiden stirando il braccio per indicare la scatola.
Così predisponemmo il tabellone e le pedine colorate, prendemmo i dadi e le schede con le domande ed iniziammo a giocare. C'erano diverse domande divise in categorie e il turno ruotò velocemente fra me, Shannon e James. Poi toccò a Aiden che tirò il dado grossolanamente e fece un quattro, in quel momento trattenni il fiato.
Vidi nei suoi occhi il desiderio di prendere quella piccola pedina e muoverla per quattro caselle ma la situazione era più complicata di quanto potesse sembrare. Allungò il braccio già tremante e cercò di avvicinare le dite abbastanza da stringerle intorno alla pedina, ma la presa non fu salda e quella cadde cominciando a rotolare lungo il tabellone. Aiden si morse il labbro e cercò di recuperarla con vari tentativi fallimentari, anche le altre pedine caddero di lato e la frustrazione lo portò a sospirare.
- Dannazione ... - sibilò, poi si voltò a guardare gli altri cercando di ingoiare quella rabbia che sapevo gli stava montando dentro – ho fatto un casino, scusate
Fu Shannon la prima a rispondere, sempre pronta e con il tono più stucchevole dell'universo – ma che dici Aiden, sistemiamo subito.
Si affettò a sollevarsi e rimettere le pedine al proprio posto, spostando anche quella di Aiden e tornando a guardarlo.
- Niente di grave, non è il caso che ti sforzi. Te le muovo io – disse con tono comprensivo.
Aiden sorrise ancora, mi chiesi se gli fosse venuto un ictus.
- Ti faccio la domanda. Sezione storia: Elenca tre nomi di Presidenti degli Stati Uniti – lessi – la sai o vuoi l'aiuto da casa? – commentai ironico.
Shannon e James rimasero per un momento raggelati ma nello sguardo di Aiden notai un guizzo di divertimento, aveva colto l'allusione, forse persino che io comprendevo quanto doveva sentirsi a disagio per tutte quelle attenzioni.
- Kennedy, Obama e Bush, brutto stronzo – rispose con tono vagamente divertito.
- Anche brutto stronzo? Ben quattro, vai forte in storia – commentai riponendo la scheda.
Shannon ovviamente mi fulminò con lo sguardo, come se lei sapesse meglio di me come dovevo comportarmi e cosa stava succedendo a quella tavola.
La partita continuò per circa due ore, i turni scorrevano e Shannon aveva persino cominciato a tirare i dadi al posto di Aiden come se già muovere le sue pedine non fosse sufficientemente umiliante per il mio amico. Ma ovviamente la cara Shannon voleva sentirsi utile ed Aiden era ancora prigioniero di quel sorriso bonario.

- Sono un po' stanco – disse ad un tratto Aiden- che ne dite di continuare la prossima volta?
- Sicuro – rispose James – quando hai il pomeriggio libero, facci una chiamata
Li osservai salutarlo di nuovo e li accompagnai alla porta lieto che si stessero togliendo di mezzo, prima che potessi richiudere la porta Shannon si fece avanti.
- Certo che sorridere un po' non ti farebbe male. Aiden ha bisogno di energia positiva
- Credevo che avesse bisogno di una balia visto il modo in cui ti affannavi a precederlo per fare tutto tu – commentai – non è un povero idiota
- Non so come fa a sopportarti – aveva già iniziato a lamentarsi ma io non avevo né il tempo né la voglia di sentirla.
Le sbattei la porta in faccia senza aspettare che finisse la frase, la sentii ancora protestare dall'altra parte ma mi allontanai ignorandola.
Vidi la signora Berg pronta ad andare a casa e le sorrisi.
- Non si preoccupi resto finché non torna anche Andrew
- Non so davvero come farei senza di voi – confessò abbracciandomi – sono sicura che anche lui è felice di avervi qui.
Non ne ero certo, sempre più spesso pensavo che il mio amico desiderasse solo non aver più bisogno di noi, perché in quel momento sarebbe tornato ad essere il ragazzo di prima.
- Deve fare il bagno? – chiesi.
- No, ci ha pensato Andrew. Solo la cena, è già in frigo.

Tornai nel salottino dove Aiden se ne stava in silenzio seduto sulla sedia, aveva un'espressione cupa ma quando mi sentì avanzare cercò di nasconderla.
- Si sono tolti dai piedi – dissi.
- Volevo ... dirti che devo andare in bagno – confessò quasi come se fosse una colpa – non volevo farlo davanti a loro. Vorrei che non sapessero quanto ...
- Non sono fatti loro – lo rassicurai – Shannon è una stupida, io so quanta fatica stai facendo Aiden, so quanto ti impegni
Lui annuii mentre si lasciava accompagnare in bagno, posizionai la sedia accanto al water e lui spostò le braccia intorno alle mie spalle. Abbassai i suoi pantaloni mentre lo sollevavo e lo appoggiavo sulla tazza.
Era umiliante, era frustrante, era la routine quotidiana. Perdonami se non posso aiutarti.
Ripetemmo il processo quando ebbe finito e lo riportai in salotto.
- Che vuoi fare adesso? Vediamo di finire il gioco? – chiesi.
- Riesci a seguire le mie istruzioni? - commentò spazientito – se devi farti massacrare per mezz'ora non ha senso
Io risi – seguirò tutto quello che dirai, coraggio
Accessi la console e mi preparai ma, prima che potessi premere start sentii la mano di Aiden sfiorarmi una spalla.
- A volte ho un mucchio di pensieri che mi si affollano in mente, scusa se ti sembro arrabbiato o che ...
- Lo so, non fa niente – dissi prontamente – qualsiasi cosa accada non ti lascerò mai, ci sarò sempre Aiden. Puoi arrabbiarti con me, puoi urlare, va bene. Io resto qui con te
Non avrei mai più commesso quell'errore, non avrei mai più permesso al mio orgoglio di farmi andar via, non lo avrei perso di nuovo.


ANGOLO AUTRICI:

Buon pomeriggioooo, allora chi sentiva la mancanza di Aiden? Possiamo dire che questa volta è tornato davvero fra noi, con il suo bel pov ancora dolce amaro. Da una parte è ormai sveglio e fuori pericolo, dall'altro è una versione estremamente fragile del ragazzo che noi tutte abbiamo apprezzato fin ora. Non ci resta che stare al fianco di Keno e sostenere il nostro giovane redivivo! E che dire di Callum? Decisamente in forma anche se ancora ha parecchi scheletri dentro di sè, sarà stata una buona idea aprirsi con Keno? Chissà! Vi aspettiamo nei commenti dove speriamo cerchiate di dare risposta ai quesiti lasciati dal capitolo e ne formuliate altri di vostri.

A presto 

BLACKSTEEL

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