44. War of Worlds

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Nunc aut nunquam
(Ora o mai più)


ANDREW



La lite tra Aiden e sua madre andava avanti da giorni, la situazione si fece ancora più tesa con l'apparizione di Alan nel primo pomeriggio. A quel punto mi sentii di troppo. Anche la mia vita stava andando lentamente a rotoli, a furia di rimanere imbrigliato nei drammi dei Berg avevo finito per mettere in secondo piano i miei problemi che forse non erano così gravi, ma sicuramente urgenti. Levin aveva smesso di rispondere alle mie telefonate da giorni ed il mio senso di nausea cresceva ora dopo ora ormai. Non potevo più reggere quel silenzio, la preoccupazione mi teneva sveglio la notte e fu con quel disagio dentro che mi misi in piedi e mi infilai il cappotto.
Aiden fu il primo a notarlo, allungò un braccio per toccarmi – Dove vai?
- Sono di troppo qui. Vado a farmi un giro ... queste sono questioni che dovete risolvere tra voi. Cercate di ragionare, dannazione
Aiden stava diventando ingestibile, la sua breve accondiscendenza e passività aveva lasciato posto ad una rabbia che non vedevo da tempo, ma tipica del suo carattere. La fisioterapia lo distruggeva e quei piccoli passi avanti non gli sembravano abbastanza. Il suo malessere mi faceva soffrire, se ne avessi avuto il potere lo avrei messo io stesso in piedi e costretto a camminare, a combattere per riprendersi la sua vita, ma la realtà era deludente: nessuno di noi poteva far nulla per Aiden, a meno che non fosse stato lui stesso a risvegliarsi da quello stato di depressione e rabbia. Non voleva essere aiutato, perfino fare il bagno stava diventando una lotta all'ultimo sangue. Avrei dovuto usare il pugno duro forse, fare come Keno e costringerlo anche con le cattive a reagire, ma non ce la facevo ... c'era ancora una grossa parte di me che voleva proteggere Aiden dal dramma che gli aveva rovinato la vita.
Mi ero messo in auto con troppi pensieri per la testa e nessuna soluzione, erano le quindici del pomeriggio e sapevo che a quell'ora Keno usciva da scuola. Non ero lì per lui, il mio sguardo vagava sugli studenti che camminavano in fretta verso le loro auto o la metro, stavo aspettando di vedere Levin, perché quello era l'unico modo che avevo per costringerlo ad affrontarmi e interrompere quel dannato silenzio.
Avevo cercato di resistere per giorni, non volevo essere pressante con lui o dargli l'impressione che anch'io fossi preoccupato come i suoi genitori, ma in effetti lo ero e non potevo più vivere con quel groppo in gola. Aspettai per quindici minuti, nel frattempo anche Keno era venuto fuori, lo vidi lanciarmi un'occhiata fulminante, sapeva bene perché ero lì e allo stesso tempo non me ne poteva importare meno.
Balzai su soltanto quando Levin apparve nel mio campo visivo. Era da solo, con il cappuccio della sua felpa tirato su e l'aria assente. Vederlo in quello stato non mi tranquillizzò, anzi mi fece sentire perfino peggio. Non mi aveva notato, così fu sorpreso quando gli andai incontro, bloccandogli il passo. Sorpreso e anche intimorito, constatai ad una seconda occhiata.
- Dove diavolo sei finito?
Niente preamboli, niente stronzate. Lo guardai dritto in quegli occhi sfuggenti e troppo vacui. Non mi piacevano.
Non si fermò, mi fissò soltanto per un istante prima di distogliere lo sguardo dal mio viso e abbozzare un sorriso che non coinvolse per niente gli occhi
- Ehi Andrew ... che ci fai qui? – il tono distaccato con cui mi parlò mi fece male.
- Che ci faccio qui? – ero esterrefatto – sei scomparso! Ecco che ci faccio qui. Ce l'hai ancora un telefono? Perché la voce non l'hai persa a quanto pare.
- Non fare il drammatico – ancora quei modi distaccati
- Quindi tu scompari di punto in bianco, non rispondi alle mie telefonate e non passi più a casa e io starei facendo il drammatico. Perfetto
Quella situazione era talmente assurda da farmi ridere.
- Ero occupato, ok?
- Occupato? In cosa?
La sua voce era fredda, non lasciava trasparire nient'altro che pura indifferenza. Mi parai davanti a lui per spingerlo a fermarsi. Non mi guardava
- Hai ricominciato a farti – non era una domanda, bastava guardarlo in quei dannati occhi assenti per capirlo.
Le mie parole lo avevano spinto a muoversi, stava cercando di oltrepassarmi
- Lasciami perdere, ok? Fa finta che non sia successo niente.
Ero sconvolto, tutto quello non aveva senso.
- Levin, cosa stai dicendo? Che cazzo sta succedendo? Mi dici di andare avanti! Cinque giorni di silenzio assoluto e quando vengo a chiarire con te ti ritrovo in queste condizioni. Fatto, apatico e stronzo come non ti ho mai visto – continuava a non guardarmi, a quel punto lo bloccai mettendogli le mani addosso – cazzo, puoi almeno guardarmi mentre ti parlo?
Finalmente lo fece. I suoi occhi sostennero il mio sguardo come gli avevo chiesto, ma non c'era niente da vedere lì dentro. Un brivido mi percorse la schiena.
- Cos'è successo? Puoi almeno dirmelo? Ok, forse ho affrettato troppo le cose. Credevo che tra noi due ci fosse qualcosa di concreto. Forse mi sbagliavo, forse ancora una volta ho fallito a non mostrarti i miei sentimenti, non sarebbe la prima volta e sto brancolando nel buio. Non so che fare. Parlami, Levin ... aiutami a capire – la mia voce si spezzò.
Stava iniziando a piovere e il cortile della scuola era deserto ormai, eravamo da soli o forse c'ero soltanto io. Lo presi per il braccio fino a tirargli fuori le mani dalle tasche, erano fredde quando le strinsi nelle mie.
- E' per via di Aiden? E' perché sta da me? – ero disperato, stavo tentando ogni via.
- No
- E allora perché non sei più passato?
Levin scosse la testa – Lui non mi vuole più vedere, ma non è un problema. Lo capisco.
Continuavo a guardarlo nella disperata speranza di trovare qualcosa in lui che avrebbe potuto ricordarmi il vecchio Levin, quel ragazzo che iniziavo a volere nella mia vita più di qualsiasi altra cosa al mondo. Era una ricerca vana però, le parole che pronunciò dopo me ne diedero la conferma finale.
- E' che ... non so, ho fatto il passo più lungo della gamba – aveva anche abbozzato un sorriso imbarazzato, da colpevole
- Che vuoi dire? – chiesi senza fiato
- Che non volevo niente di tutto questo, Andrew. Non sono pronto a impegnarmi in una storia. Con Aiden non facevamo sul serio e con te è stato uguale. Non sono fatto per quel genere di cose, quindi lasciami da solo. Non è un buon periodo per mettermi a giocare alla coppietta felice.
Un'altra risata strafottente che però non mi fece più effetto. Mi stava sottovalutando, credeva che fossi così insicuro o idiota da non capire che quelle erano soltanto delle comode menzogne dietro cui nascondersi. Ma perché lo stava facendo?
- Giocare alla coppietta felice? Io non stavo giocando e neanche tu. A Capodanno eravamo pronti a partire ... eri tranquillo, stavi bene, non sono pazzo! Eri a tuo agio con me, stavi riprendendo a suonare e mi sembrava di capire che avessi parlato di me a tuo padre ...
- Già, ho commesso un errore. Ho sottovalutato tutto.
Ero sconvolto, stavo vedendo le mie poche certezze sbriciolarsi davanti a me e non sapevo come porre rimedio a quel danno. Rimasi impalato lì, incapace di credere che quel Levin fosse lo stesso ragazzo con cui avevo passato gli ultimi mesi.
- Non voglio parlare con te mentre sei in questo stato.
- Beh, mi dispiace.
Non era lì con la testa, qualsiasi cosa gli stesse succedendo lo stava facendo a pezzi e chiaramente non voleva parlarmene. Com'eravamo finiti in quello stato? Non aveva senso insistere con un Levin in quelle condizioni.
- Sabato sera, ti aspetto a Coney Island
- Allora non hai capito niente di quello che ho detto
Non lo lasciai continuare – Ho capito perfettamente, ma voglio che tu lo dica mentre sei in te. Vieni e ripetimi tutto quello che mi hai detto oggi. Se lo farai giuro che accetterò le tue stronzate e non ti cercherò più. Nel frattempo smettila con quella roba ... non vedi come ti riduce?
Le mie parole sembrarono risvegliarlo da quello stato di apatia. Scattò in avanti e alzò la voce
- Sei mio padre adesso? Pensi che puoi venire qui a farmi le scenate e a dirmi cosa posso e non posso fare soltanto perché abbiamo scopato un paio di volte?
- Un paio di scopate? Stai riducendo tutto ad un paio di scopate? Ma ti senti? Credi che sia così idiota da non aver capito che non si trattava di scopare? Credi che non ti conosca neanche un po' e che tu possa venire qui a farmi dubitare di tutto facendo lo stronzo con me e insultando la nostra storia?
Ero senza parole, sapevo che non sarebbe stato facile parlare con lui, ma non avrei mai potuto immaginare quello che mi sarebbe toccato sentire. Lo guardai dritto negli occhi e dovetti constatare che era tutto inutile. Lui non era lì.
- Devo andarmene, mi vuoi mollare?
- Sabato a Coney Island. Ti aspetto - dissi a denti stretti, con l'ultimo briciolo di orgoglio che possedevo.
Poi andai via, senza lasciargli la possibilità di opporsi o ribattere. Quando entrai in auto lui era ancora immobile nel bel mezzo dello spiazzale, mi aveva seguito con lo sguardo e resistere all'impulso di scendere di nuovo dall'auto fu più complicato del previsto.
Invece ripartii subito dopo, con un nuovo senso di disperazione che mi attanagliava il petto.
Il suo comportamento mi stava distruggendo, non potevo continuare a tirarlo su senza ricevere neanche una spiegazione in cambio. Ne andava della mia sanità mentale.
Vagai per la città per ore intere, badavo a stento il percorso che stavo seguendo, in compenso continuavo a tormentarmi per quello che era successo; non riuscivo a trovare un senso al comportamento di Levin, né a quelle parole che aveva pronunciato con l'intento di ferirmi e spingermi a prendere le distanze. Alla fine quando tornai in centro era già sera.
Le luci del soggiorno erano spente, soltanto l'abat-jour nella stanza di Aiden rischiarava un po' l'ambiente. Mi diressi piano verso la porta, poi l'aprì quel tanto che bastava per sbirciare dentro
- Ehi, pensavo stessi dormendo ...
Aiden era sveglio, la tv era accesa ma il volume era molto basso. Sembrava sollevato di vedermi
- Non ancora, a volte fatico a prendere sonno da quando mi sono risvegliato ... - ammise
- Mi dispiace. Vuoi che ti porti qualcosa? Del latto caldo?
Lui scosse la testa – No, sto bene così. Però possiamo parlare un po'?
- Certo
A quel punto avanzai verso il letto, mi tolsi le scarpe e andai a sedermi accanto a lui, nel mio vecchio matrimoniale che avevo ceduto ad Aiden. Mi stiracchiai appena e gli lanciai un'occhiata
- Allora? Sei andato a fisioterapia alla fine?
- No, ma Keno mi ha costretto a fare gli esercizi lo stesso. Non è che cambi molto comunque ... - poi scosse la testa, il suo sguardo si era fatto più penetrante mentre si fissava su di me – perché dobbiamo parlare sempre e solo dei miei problemi? Ci penso già ventiquattro ore su ventiquattro. E adesso i medici vogliono che venga assistito da uno psicoterapeuta, sai? Mi aiuterà durante la guarigione, a detta loro.
Aiden rise, sprezzante. Nonostante le parole rabbiose non sembrava agguerrito come nei giorni precedenti. Gli passai una mano tra i capelli e glieli scompigliai un po'
- Falli contenti e basta, se è quello che vogliono. Lo sai che si preoccupano per te ... ti vedono soffrire e ci stanno male.
Lui non rispose, sembrava meditabondo e stanco, poi abbassò lo sguardo su una pila di cd ai piedi del letto. Levin era l'unica persona che conoscevo a comprare ancora dei cd, dovevano essere senza dubbio suoi.
- Ho dimenticato di restituirli a Levin quelli ... non credo che tornerà molto presto. Dovrei dire a Keno di portarglieli a scuola uno di questi giorni.
L'occasione era lì, mi era stata servita su un piatto d'argento, quindi non mi sentii troppo meschino quando parlai
- Cos'è successo? Perché dici che non tornerà?
Aiden mi guardò dritto negli occhi – Sono stato io a chiedergli di non farlo. Non sarebbe stato giusto per te ... per me. Insomma, dopo quello che ho fatto non ho bisogno di un promemoria che mi ricordi di quei momenti che vorrei solo dimenticare.
Tutto si faceva più chiaro per certi versi, ero talmente perso nei miei pensieri da non fare caso alla mano di Aiden, adesso immobile sul mio braccio. Era più vicino, non ero così stupido da non sapere cosa stava cercando di fare.
- Gli ho detto che volevo ricostruire un rapporto tra noi due ... o almeno provarci.
Era stato un sussurro, ma così comprensibile da non lasciare dubbi. Non chiesi che genere di rapporto, quella situazione si stava complicando ulteriormente e non potevo permetterlo. Volevo bene a quel ragazzo, avrei fatto di tutto per farlo stare meglio e allo stesso tempo non potevo tornare sui miei passi.
- M-ma forse è troppo presto per parlarne – Aiden abbozzò un sorriso imbarazzato, il mio silenzio lo aveva reso nervoso.
Mi sentii in colpa, volevo trovare un modo per mitigare quella sofferenza. Come potevo stargli vicino senza fargli del male?
- Dovresti provare a dormire ... posso rimanere un po' con te se vuoi
Lo avevo sorpreso, Aiden aveva annuito piano, poi mi girai su un fianco e ci coprì. Passai il mio braccio intorno alle sue spalle e chiusi gli occhi
- Grazie, Andrew ... grazie per non odiarmi.
Quelle parole mi fecero male, soltanto la brutale sincerità avrebbe potuto mitigare i suoi sensi di colpa.
- Non ti ho mai odiato e non ti odierò mai. Ti voglio bene, Aiden ...

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