11. "ACCESE" DISCUSSIONI

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MIA

Il folle piano delle amiche/nemiche fu attuato e in men che non si dica eravamo al pub dietro l'angolo ordinando, non alcolici, ma fortunatamente succhi di frutta mischiati con non so cosa. Erano i classici cocktail ma senza alcol. Non avrei osato immaginare se avessero potuto berlo. Sarebbe stato un disastro. E anche se alcune di loro avevano già ventuno anni, decisero di optare contro per il bene delle altre. Io volevo essere ovunque tranne che lì, ma effettivamente non potevo essere così asociale, almeno non all'inizio. Riuscivo ad intravedere da lontano le nostre guardie, che ci osservavano facendo il loro lavoro. Diciamo che l'idea non era delle mie preferite. Insomma, avere una persona che ti osservava per la maggior parte del giorno mi infastidiva, ma che ci potevo fare? Ordine di Marco Valente uguale legge. In realtà non fu solo la guardia di Mel a chiamarla e chiederle spiegazioni, ma purtroppo mi chiamò anche la mia. Sì, purtroppo. La chiamata andò così:

'Sì?' Risposi annoiata non riconoscendo il numero.

'Non ti avrei chiamata se non ce ne fosse stato bisogno.' La voce noiosa di Axel Andersen risuonò al mio orecchio, e non mi chiesi neanche del come facesse ad avere il mio numero. D'altronde chissà quali poteri sovrannaturali aveva.

'Riconosci questo come momento di bisogno?' Gli chiesi sbadigliando.

'No. Ma sono obbligato a chiederti dove cavolo state andando.' Molto dolce da parte tua.

'Ed io sarei obbligata a risponderti?' Non era detto che dovevo regalargli informazioni.

'Mi sembra più che ovvio, bimbetta.' Mi rispose acido.

'E a me sembra più che ovvio che non sono abituata a dire agli estranei i miei movimenti.' Gli risposi acida a mia volta.

Sentii fargli un profondo respiro. Che stesse perdendo la pazienza? Erano problemi suoi.

'Non obbligarmi ad essere scortese, Valente.' Siamo ai cognomi ora?

'Non sono problemi miei, Andersen. Sii pure scortese.' Sembravo mia madre per un attimo.

'Ora sto perdendo-'

'Buona fortuna nel mio inseguimento.' Lo interruppi staccandogli la linea mentre parlava.

E questo fu il nostro amorevole scambio di chiacchiere, il che fu tanto per me. Parlai per più di un minuto, ed era assolutamente un record. E quindi ero lì mentre le ragazze ridevano, scherzavano, facevano battute e cercavano di conoscersi meglio. Io, d'altro canto, ero profondamente annoiata. E poi dovevo andare al bagno. Avvisai Amina che era al mio fianco e mi diressi in direzione di esso e dopo aver fatto, uscii e feci per tornare dal branco di donne in estasi, quando una mano mi bloccò una spalla. Ci risiamo. Stranamente conoscevo già quel profumo di freschezza e fumo messi assieme. Non mi girai neppure.

'Cosa vuoi?' Chiesi sbuffando. Lui mi si avvicinò all'orecchio da dietro di me.

'Avvisarti di mettere quella lingua a posto perché ho veramente poca pazienza, bimbetta, intesi? E nessuno, ripeto, nessuno, mi stacca la chiamata prima che finisca di parlare.' Dice con voce minacciosa che per un attimo mi fa percorrere brividi poco piacevoli lungo la schiena.

'Il tuo lavoro non comprende l'avere opinioni personali o l'avere voce in capitolo con me, Andersen. Perciò, fa ciò che devi fare e sta zitto.' Risposi da buona antipatica e amante dei guai che ero e voltandomi verso di lui incrociando il suo sguardo. Uno sguardo assassino. Le sue pupille erano dilatate al massimo, nascondendo quella rara sfumatura di azzurro che avevano i suoi occhi. Per un momento temetti che avesse potuto fare qualcosa di pericoloso. Per un solo momento pensai che forse mi ero spinta un po' troppo in là con le parole. Il suo respiro era irregolare, potevo sentirlo sulla mia pelle, ed era come se si stesse trattenendo dal fare qualcosa di cattivo. Ma il suo sguardo non abbandonava il mio ed io non riuscivo a scollare il mio dal suo. Eravamo come un magnete con una calamita.

Our Twinguards - Le Nostre Guardie Gemelle ✔Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora