5. PERFETTE COMPAGNE DI STANZA

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MIA

Ero felice di essere ormai arrivata al campus e di iniziare quella nuova vita, ma ovviamente esprimerlo con le emozioni non era il mio forte. Perché dover saltare dalla gioia? Perché dire tutto quello che mi passava per la mente stile Melissa? Non mi andava e non mi veniva spontaneo. Ero gioiosa dentro, punto. E fortunatamente era arrivato il momento di riposarmi dopo un volo lunghissimo, una fila lunghissima, e una chiacchierata lunghissima. Dovevo dormire e farmi una dormita decisamente lunghissima. Chiusi perciò la porta della mia nuova stanza alle mie spalle sperando di essere decisamente da sola, e con mia felicità lo ero. Da sola. Mi guardai intorno e vidi come il lato occupato dalla persona che sarebbe purtroppo divenuta la mia compagna di stanza era decorata con gusti molto femminili. Non ero contro i gusti femminili, ma ecco mi piaceva vestirmi comodamente in jeans, maglietta e felpa, di quelle larghe, senza truccarmi per niente e arrotolare i capelli senza una piega definita. Stavo bene. Soprattutto se alzavo su il mio cappuccio sulla mia testa e sparivo dal mondo intero. Nessuno mi avrebbe parlato e annoiato: era la soluzione perfetta. Mia sorella, d'altro canto, era la bambola perfetta, sempre vestita di rosa, con gonnelline corte che avevano fatto sempre urlare papà allo sfinimento (senza successo ovviamente), sempre truccata e al liceo era la più popolare della scuola. A me non dicevano nulla perché ero figlia di Marco Valente, ma leggevo sulle loro facce che mi trovavano strana, nerd e secchiona. Ma non mi era mai interessato il parere altrui, figuriamoci quello dei compagni di scuola. Per me valeva molto di più il parere dei miei genitori, soprattutto di mio padre. E parlando di padri, la suoneria del mio cellulare squillò. Neanche mi ero accorta di aver ricevuto una marea di messaggi da parte di mia mamma. Risposi al secondo squillo.

'Mamma?'

Silenzio tombale. Ah. Non è la mamma.

'Papà?'

Silenzio eterno. Silenzio che finirà prima o poi...

'Quando ti va di parlarmi sarò qui in linea, papà...' Gli dissi, anche perché se si aspettava che avessi iniziato a parlare io sapeva che non sarebbe mai avvenuto.

'Farvi le raccomandazioni è del tutto inutile.' Esordì calorosamente senza nemmeno un: 'Com'è andato il volo?'

'Siamo state impegnate.' Risposi ovvia. Non era stato lui in fila con ragazze che avevano chiacchierato tutto il tempo dopo aver fatto un volo di nove ore e mezza in compagnia di Melissa Valente e Clarissa Garcìa.

'Così impegnate da non aver avuto tempo di inviare un semplice messaggio? Sapevate quanto ero contro al farvi studiare all'estero, ma di malavoglia ho accettato. E come mi ripagate? Col silenzio.'

'Abbiamo imparato dal meglio, papà...' Dissi spontaneamente in maniera ironica. Mi venne da sorridere. Ora sarebbe esploso. Oppure...

'...'

Ecco. Oppure avrebbe risposto col silenzio. Risi per sdrammatizzare.

'Papà, dai non te la prendere! Le ragazze erano entusiaste per l'arrivo al campus, e il tempo è passato senza neanche che ce ne accorgessimo. Ma vi avrei avvisati a breve, sul serio.' Lo tranquillizzai. Ed era la verità, perché avevo intenzione di chiamarli. Sentii un profondo sospiro. Sapevo che stava in ansia per noi.

'E va bene, Mia. Per questa volta siete perdonate.'

'E anche per le altre cento volte.' Scoppiai a ridere. 'Papà, lo dici sempre!' Lo presi in giro.

'Non approfittare della mia magnanimità, piccola di papà, perché ho già il jet preparato e so che non vorresti una visita così presto.' Disse spazientito. Sorrisi.

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