Capitolo 1

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-Finisci di prendere la tua roba, entro questo pomeriggio, la voglio tutta fuori di casa!- esclamò la voce rauca al di là della cornetta del telefono.

Continuavo a scuotere la testa: non riuscivo nemmeno a credere alle mie orecchie, tante erano le cavolate che ero costretta a sentire. Di tanto in tanto un fievole sbuffo veniva emesso dalla mia bocca, mentre nervosamente battevo le mani contro il tavolo.

-Non ti capisco, hai insistito fino all'ultimo che rimanessi con te, ed ora vuoi cacciarmi di casa?- domandai sempre più interdetta, mentre giocherellavo nervosamente con il cavo del telefono.

-Ti ricordo che non vivi qui; non è il tuo magazzino questo. Hai voluto andartene? Bene, ma è ora di mettere fine al passato. Porta via la tua roba, o la butterò io stessa- ribatté, con una voce ricca di rancore e dissapori. Non riuscivo a capacitarmi di come potesse essermi così ostile, con tutto ciò che avevo vissuto, si aspettava le sarei stata servizievole per il resto dei miei giorni. Eppure da quando non la vedevo più mi sentivo libera, libera di vivere senza giudizi e nulla mi avrebbe fatta sentire in colpa.

-Ed io che pensavo fossi cambiata- ammisi, sorridendo, conscia di essermi illusa di un suo cambiamento, lei, non cambiava mai.

-Hai la stessa mente di quando avevi sedici anni. Devi cercare di avere sempre ragione. Non ti è stato fatto mancare nulla, perché fai così?- ruggì con odio.

-Non chiedevo altro che un po' di comprensione, ed è l'unica cosa che non mi avete mai dato!- balbettai con voce tremula, cercando di trattenere le lacrime.

-Ci hai sempre odiati, emarginati dalla tua vita, non ci hai mai voluto, eravamo solo estranei per te!- continuò.

Così rimasi in silenzio, incredula davanti a tanta ingenuità. Era sempre stata egoista, ma era pur sempre mia madre. Mi sentivo colpita, attaccata e solo con lei riuscivo a sentirmi così sbagliata, ero impotente alle sue parole. Ogni attacco ricevuto mi riportava agli anni della mia vita che, giorno dopo dopo giorno, cercavo di dimenticare. Erano passati anni, troppi anni, da quell'evento, non poteva nutrire ancora così tanto odio, non poteva veramente riuscire ad essermi così nemica.

-Passerò fra venti minuti- tagliai corto.

Attaccai velocemente la cornetta, senza lasciarle il tempo di elaborare una contro risposta. Strofinai le mani contro gli occhi, per poi poggiare il volto tra i palmi delle miei mani. Un senso di pesantezza, mi accompagnò per tutto il tragitto verso la mia casa natale. Le mie mani sudate, scivolarono sul volante dell'automobile durante tutto il percorso.

Continuai a sbattere ogni attimo il piede contro la base della macchina ed in poco mi ritrovai davanti alla villetta dei miei genitori, accostai la macchina lungo la strada proseguendo il percorso verso il cancello a piedi. Mi feci avanti, verso la porta d'ingresso, ed una volta raggiunta, suonai il campanello. Passarono attimi interminabili fino a quando, mia madre fuoriuscì dall'uscio.

Non era cambiata. Sguardo severo e altezzoso, capelli ben acconciati, una posa elegante e i vestiti che lo erano altrettanto. Un donna minuta, il corpo esile, accentuato dalla sua carnagione biancastra. Era passato così tanto tempo dall'ultima volta che l'avevo vista eppure era sempre la stessa.

Anche la casa, non era stata logorata dal passare degli anni. Gli arredamenti antichi davano l'idea di un luogo principesco, il sogno che per me si era trasformato in incubo. Essere rinchiusi nei pensieri comuni di chi abitava normalmente in quelle dimore, era uno strazio. Bisognava essere incessantemente perfette, signore di casa, pronte a sgobbare, dietro ai mariti. Bisognava essere eleganti, sempre, mai fuori luogo, di classe, mai troppo, mai troppo poco, dedicarsi all'organizzazione di noiosi incontri per bere del the e cerimonie per festeggiare i traguardi lavorativi dei mariti. Non era vita per me quella.

-La tua roba è di là!- annunciò velocemente, puntando l'indice verso un groviglio di oggetti, gettati in scatole di cartone.

-Potremmo anche salutarci, non credi?- ammisi sorridendo con la speranza che nonostante tutto avremmo potuto rispecchiare, le sagome di due donne civili; tuttavia con sguardo fulmineo mi ammonì. Il suo volto era impassibile; gli occhi grandi, verdi erano gelidi, uno sguardo glaciale, privo di sentimenti. Mi diressi verso gli scatoloni, afferrandone uno per braccio. La ruvida carta spessa da cui erano composti, graffiava la mia pelle, la salda presa con cui evitavo cadessero, andò a provocare un fastidioso rossore sulla mia candida pelle. Lo sguardo altezzoso di mia madre mi seguì ossessivamente, ogni mossa facessi.

-Se hai fatto puoi andare- concluse velocemente, invitandomi implicitamente ad abbandonare l'abitazione.

-Non puoi trattarmi come se fossi la tua domestica. Sono tua figlia- esclamai, stringendo le scatole di cartone sempre più forte; ma ciò che dicevo non le interessava, per lei ero come invisibile. Non si degnò di ascoltarmi o di guardarmi negli occhi.

-Lascia le chiavi di casa sul mobile all'ingresso, e te ne puoi andare- ordinò con aria sempre più glaciale.

-Con oggi, mamma, si conclude tutto- annunciai debolmente, dopo aver eseguito il suo ordine.

Feci così nuovamente ritorno a casa mia, fermata l'automobile, poggiai le mani al volante e lasciai cadere la testa sul sedile. Senza accorgermene, una serie di lacrime iniziarono a rigare il mio volto, e mentre i respiri si facevano sempre più brevi e tremolanti, singhiozzavo senza mai interrompermi, asciugando malamente le lacrime con la mano, tirando su col naso senza mai finire.

Con gli occhi ancora rossi e lucidi, scesi dal veicolo afferrando tra le due braccia i due scatoloni. Mi avviai verso il vialetto di casa, ricoperto da una distesa di foglie appassite. Mi limitai ad osservare la calma situazione nei dintorni, contornata dal cinguettio degli uccelli.

Nel giro di pochi attimi, senza accorgermene, mi ritrovai con il naso per terra e gli scatoloni in aria. Gli oggetti sparsi, qua e là, e un gran dolore ai palmi delle mani.

-Vaffanculo!- esclamai ad alta voce, dando inizio ad una serie di imprecazioni, dalla dubbia eleganza; uscì così la parte più grezza di me, e con il volto rosso vivido dalla rabbia, continuavo imprecare senza sosta.

Alzai di sfuggita lo sguardo, per osservare dove fossero finiti gli oggetti, e per cercare di raccimolargli il più velocemente possibile. Ma il mio sguardo si soffermò velocemente su una sagoma presente davanti a me, che mi osservava leggermente turbata: il mio vicino di casa.

-Serve una mano?-

No, solo un po' di dignità...

CIÒ CHE È GIUSTO [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora