Capitolo 46

50 6 0
                                    

La vergogna provata in quell'istante mi logorò e mi sentii così umiliata nel profondo. Così abbandonai l'hotel fuggendo nella mia macchina. Entrata nel veicolo poggiai la testa al volante. Desiderai fosse tutto uno scherzo, un sogno, un incubo. Era tutto così surreale, non riuscivo a credere a ciò che stava accadendo.

Mi sentivo così confusa e non riuscivo nemmeno a pensare a ciò che era successo senza piangere. Ero letteralmente a pezzi. Avevo distrutto tutto, o meglio, avevo permesso che qualcuno distruggesse tutto il mio mondo, ed ero lì a piangere, senza più nulla.

Cosa ne sarebbe stato di me? Non avevo un lavoro, e nessuno si cui fare affidamento, cosa sarei stata? Ancora più insignificante ed invisibile di quanto già ero.

Iniziai a singhiozzare e mi interruppi solo dopo aver sentito picchiettare sul finestrino della mia macchina, alzai lo sguardo e incrociai lo sguardo di Noah.

-Lo capisci che devi andartene? Devi andartene, cazzo, ti ci vuole una laurea per capirlo? Vattene!- gridai con tutta la forza che avevo in corpo, inevitabilmente riuscendo a sfogarmi.

-Bethany, ascoltami, è davvero complicato, non era mai successo nulla, ovviamente! Ci sentivamo e vedevamo come amici, e poi... Vallo a capire il destino- iniziò a spiegare, con il volto puntato contro il finestrino.

-Destino un cazzo! Il destino non c'entra un cazzo! Siete solo due miserabili e disgustevoli coglioni! Ma davvero non avete pensato prima di limonarvi, per di più in casa mia?- starnazzai cercando di trattenere le lacrime, mentre frammenti di ricordi si facevano spazio nella testa, provocandomi un dolore inimmaginabile al petto.

-Per favore Bethany, abbiamo sbagliato, ma parliamone, cerchiamo di chiarirci. Ti amo, davvero, ti amo- continuò lui balbettando timidamente. Lo osservai un attimo con disprezzo, e prima di farmi intenerire dal suo sguardo, decisi di voltarmi.

-Mi ami? Che cazzata! Ma cosa cazzo dici?- continuai con rabbia.

-Io ti amo, Bethany, ti amo, credimi!- insistì lui, così mi voltai, e lo osservai qualche attimo prima di prendere parola.

-Mi ami? Che razza di amore conosci? Se tu mi avessi amata almeno un pochetto, non avresti nemmeno guardato un'altra ragazza, e non avresti nemmeno potuto pensare di baciarla o avvicinarti a lei! L'amore non è questo! Questo è... Sesso? Si forse per te era solo sesso! O forse un occupazione temporale, ma non puoi venire qui a dirmi che per me provi amore! Perché sei solo un vigliacco, se compiuto un errore provi a mascherarti dietro all'innocenza dello sbagliato!- strillai, concludendo il discorso tremando dalla rabbia e senza fiato. Cercai di calmarmi, respirando lentamente.

-E tu non eri per caso a favore degli errori?-continuò lui con tono provocatorio. Lo fulminai con lo sguardo, e con tono inviperito ammisi schiettamente:

-Ho sbagliato anche io, è una cazzata, l'ho detto perché mi faceva comodo- e dopo ciò strinsi le braccia al petto.

-Ti supplico, fammi parlare, possiamo ricominciare- continuò lui, con la voce tremante, rabbrividì per un attimo. Come eravamo finiti così? A piangere l'uno per l'altro, e a ferirci a vicenda.

Mi domandavo come sarei andata avanti, se avrei davvero superato tutto e dimenticato quegli istanti che volevo fossero eterni.

Tutto ciò che è eterno è una condanna.

-Ricominciare? Ma mi vedi? Non ho un lavoro, non ho una migliore amica, non ho nulla!- sbottai agitando le mani, e non riuscendo a trattenere le lacrime, me ne lasciai sfuggire alcune, che presto tornarono a bagnarmi il volto. Così infilai la chiave nella serratura della macchina e prima di metterla in moto ascoltai le ultime parole di Noah.

-Ed io?- chiede.

-Tu non sei mai stato mio.- affermai con freddezza.

A quel punto la debolezza ebbe il sopravvento ed iniziai a piangere, come non mai. Decisi così di partire. E di nessuna scelta mi pentii così tanto nella mia vita. Avevo lasciato ufficialmente la persona che più amavo. Questk perché ferita e perché non era giusto tornare con una persona che ti aveva tradita.

Eppure cosa me ne importava degli errori, chi erano gli altri per decidere cosa fosse giusto. E se avessi voluto sbagliare, perché non potevo? Perché non potevo tornare indietro e baciarlo, e dire è tutto ok? Se quello era il mio istinto perché dovevo viaggiare piangendo?

In quel momento ebbi la risposta: perché era giusto. Nulla in realtà è giusto, nulla mi impediva di tornare da lui, ma non sarebbe stato giusto per me. Avrei sofferto, ed effettivamente stavo già soffrendo, ma non è ignorando il dolore che si sta bene. Ed io dovevo stare bene, lo meritavo, come Noah lo meritava. E ciò che davvero è giusto, non lo saprò mai, ciò che è giusto non esiste. Non stavo facendo una scelta giusta, o una sbagliata, stavo facendo del bene a me stessa, rispettandomi.

CIÒ CHE È GIUSTO [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora