Capitolo 2

203 17 0
                                    

-Scusa, non volevo- ammise con gentilezza, chinandosi per terra e riponendo negli scatoloni, con delicatezza, ogni oggetto caduto per terra.

-Ti sei fatta male?- domandò, alludendo alla mia mano graffiata, che perdeva leggermente piccole gocce di sangue rosso vivido: dopo la mia rovinosa caduta, avevo inevitabilmente strisciato la mano contro il cemento. Roba da nulla insomma.

-No guarda, mi sono divertita a spalmarmi del ketchup sulla mano- risposi con arroganza, ripulendo la ferita dai piccoli residui di terra rimasti.

In quel momento persi tutta la mia pazienza e non diedi peso a ciò che stavo dicendo, semplicemente lasciai fuoriuscire dalla mia bocca tutto ciò che volevo, senza pensare prima di parlare. Lui al contrario sembrava molto turbato dalla schiettezza e presunzione dimostrata dalle mie parole, tanto che di colpo si alzò, abbandonando l'idea di aiutarmi, quasi in imbarazzo indietreggiò lentamente.

-Ora devo andare- disse passandosi la mano fra i capelli. Forse ancora un po' scosso da tutta quella arroganza immotivata che avevo mostrato nei suoi confronti.

-Scusami, non so cosa mi sia preso- farfugliai velocemente, passando una mano sulla fronte, estremamente imbarazzata dal mio comportamento; non ero quel tipo di persona.

Sorrisi dolcemente cercando di scusarmi e, cercando di evitare il suo sguardo, tornando velocemente a racimolare gli oggetti, riportando allo stato originale i due scatoloni. Rimase ad osservarmi, mentre completavo l'opera di pulizia e dopo essermi alzata:

-Va tutto bene?- domandò delicatamente, infilando le mani nelle tasche dei jeans.

-Sí...- borbottai fievolmente abbassando lo sguardo verso il terreno.

-Cioé no, in realtà non va bene. Ho fatto la scelta giusta, ma sembra così sbagliata e difficile da accettare- mi corressi pochi attimi dopo, lasciandomi andare, e permettendo a me stessa di liberarmi da quel peso che mi abitava da quando avevo ricevuto quella chiamata.

-Io ho provato a rendere tutto più corretto, ma non c'è nulla di corretto in questa situazione. Non dovrei essere qui ora. Dovrei aver fatto e finito il college, e dovrei svolgere una carriera che amo- continuai con un filo di voce.

-E invece sono qui, nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, con le idee sbagliate, insomma, sto navigando nell'errato- dissi tutto d'un fiato.

-Devi cercare di evadere da questa prigione che ti sei costruita- mi rassicurò lui. Ne parlava come se avesse già vissuto tutto. Sembrava avere la mia età, forse qualche anno in più, eppure sembrava avesse le conoscenze per poter parlare del mondo, con un elevata superiorità.

Non mi era mai piaciuto parlare di me, né tanto meno di ciò che provavo, o avevo vissuto, forse parte dei problemi che ho avuto, derivano da ciò, ma lui, aveva un fare così calmo e pacato, che mi lasciai trasportare e iniziai a liberarmi.

-Non so nemmeno perché te ne stia parlando...- ammisi sorridendogli, grattandomi il capo.

-Mi piace ascoltare la gente- annunciò.

Calmato il mio inquieto animo, mi concessi un'attenta visione del ragazzo, aveva dei capelli marroni tendenti al nero, gli occhi altrettanto marroni, le labbra carnose e un perenne sorriso sul volto.

-Piacere, Noah- disse tendendomi una mano.

-Bethany- annunciai, afferrando la sua una mano e stringendola.

-Ora devo andare, ma se hai bisogno sono qui accanto, fatti sentire- concluse velocemente.

Così, feci ritorno a casa, solo dopo averlo visto scomparire dietro il portone d'ingresso. Abbandonai con poca cura i due scatoloni nell'ingresso e per le seguenti ore, non feci altro che restare affacciata alla finestra, sperando di rincontrare la sagoma di Noah. Nonostante lo avessi visto non molto tempo prima, avevo un'estrema voglia di rivederlo e di parlare ancora con lui.

Ogni qualvolta, dovessi anche solo passare vicino ad una finestra che affacciasse sull'abitazione del mio vicino, era di regola che io mi affacciassi e ossessivamente lo cercassi. Qualsiasi ora del giorno e qualsiasi faccenda stessi svolgendo. Potevo essere in bagno, o a cucinare, a leggere come a pulire, ma cercavo lui.

Non riuscii a scorgere la sua sagoma in nessun attimo, così finii per starmene stravaccata sul divano, come mio solito dopo una giornata stancante, a sfogliare, pagina dopo pagina, una delle mie riviste preferite. Quando, d'un tratto, un rumore mi fece rizzare in piedi: il campanello.

Saltai subito in piedi e mi avvicinai alla porta in legno, osservai dallo spioncino chi fosse. Tra la foschia serale, il calar del sole, e la pioggia che sfocava tutto, mi era difficile riconoscere i volti, ma quella volta capii subito chi era.

CIÒ CHE È GIUSTO [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora