Capitolo 5

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-Tu, hai la minima idea di quanto sia complesso correre su dei tacchi?- urlai cercando di raggiungerlo a passo svelto.

Sentendomi gridare, si voltò ed iniziò a rallentare, per poi fermarsi definitivamente. Mi venne incontro, con sguardo per perplesso e si fermò.

-E poi perché stiamo correndo?- mi lamentai.

-Perché sono venuto in autobus, la corsa che stiamo cercando di prendere parte fra due minuti e la prossima è fra un'ora- disse tutto d'un fiato.

-E devo andare a casa e preparare la cena- concluse.

-Quindi?- borbottai incrociando le braccia.

-Corri!- esclamò lui, iniziando a correre.

-Ma non ci riesco!- mugugnai avvicinandomi a lui.

Così, non feci in tempo ad accorgermi cosa stesse accadendo, ma mi ritrovai in poco in braccio a lui. Con le due mani mi reggeva la schiena e le gambe, mentre velocemente correva. Sobbalzai tra le sue braccia, nonostante la presa con cui mi cingeva fosse estremamente forte. Sentivo i suoi muscoli contrarsi, il suo profumo inondava il mio olfatto, mentre il forte vento scompigliava i miei capelli.

-Che fai!- gridai aggrappandomi al suo collo.

-Noah!- starnazzai.

-Sí Bethany?- domandò con un filo di voce.

-Ti ammazzo!- urlai.

Poco dopo l'arrivo del veicolo alla fermata dell'autobus arrivavamo anche noi, scesi dalle braccia di Noah, il quale dopo la rovinosa corsa, cercava disperatamente di riprendere fiato, sull'orlo di uno scompenso.

-Lo sto già facendo io, tranquilla- ammise respirando affannosamente.

Per quanto assurdo, riuscimmo ad arrivare a casa, tutti e due vivi. La casa di Noah era perfettamente in ordine, arredata in uno stile moderno, con dei rimandi alla mobiliatura antica, un contrasto da togliere il fiato. Prevalevano i toni caldi e chiari. Mi fece accomodare sul divano, mentre lui scomparve tra i muri della cucina, ad avviare la cottura del pollo, di cui tanto si era vantato per tutto il tragitto verso casa.

Approfittando della solitudine in cui ero stata lasciata, estrassi il cellulare, e con un messaggio, comunicai ad Hayley che sarei stata fuori per la serata e di arrangiarsi per la cena, con ciò che trovava.

-Arrivo- esclamò Noah dall'altra sala.

-Certo che tu sei fuori di testa- ammisi, facendo allusione a all'impresa compiuta per non perdere l'autobus.

-Se non ricordi che l'amore t'abbia mai fatto commettere la più piccola follia, allora non hai amato- pronunciò, con una vaga intonazione da poeta.

Le sue parole si mescolavano perfettamente con l'atmosfera che si stava creando. Colsi le sue parole quasi come un canto, e l'intonazione con cui le narrava rendeva tutto più magico.

-Shakespeare?- domandai.

-Già!- ammise sorridendo.

-Chi mai amò che non abbia amato al primo sguardo?- continuai io.

-Si sta trasformando in un circolo letterario- borbottò fievolmente.

-Meglio vada a vedere il pollo- ammise alzandosi dal divano, su cui eravamo seduti.

-Ma lo hai messo a cuocere da venti minuti neanche- constatai con perplessità. Ma sembrò non ascoltare ciò che avessi detto, e si avviò verso la cucina, nel silenzio più totale.

-Si.. ma è pronto- disse tornando in sala con una teglia, portante un pollo fumante sopra, tenuta ben salda fra le mani, protette da due presine in lana.

-Era un pollo precotto?- ammisi con sicurezza.

-No- si difese subito lui arrossendo leggermente.

Lo osservai con aria di sfida, ridacchiando sotto i baffi. Iniziò ad osservarsi intorno, cercando di evitare il mio sguardo, ma la pressione si sentiva nell'aria e tutti i suoi tentativi furono vani.

-Era un pollo precotto- ammise lui sconfitto, pochi attimi dopo.

Per quanto il retrogusto di chimico avesse accompagnato costantemente la nostra cena, scorsa tra bicchieri di vino e chiacchiere interminabili, era stato bello. Persi la cognizione del tempo e non riuscì a distogliere l'attenzione da Noah, che alla fine si trovava solo pochi centimetri da me. Concluso il pasto, lo aiutai a sparecchiare e ci ritrovammo a salutarci:

-É stata la cena peggiore, che abbia mai fatto- dissi ridendo e infilando la giacca.

-Almeno c'ero io- disse con presunzione, appoggiandosi allo stipite della porta.

-Almeno c'eri tu- continuò sorridendo ed io ricambiai il sorriso, arrossendo.

-Ci vediamo- tagliai corto.

-Spero presto- aggiunse poi.

Abbandonai la casa, cercando di racchiudere per sempre in me quelle emozioni provate. Era stato tutto favoloso.

CIÒ CHE È GIUSTO [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora