Capitolo 14

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Il vento scompigliava i miei capelli, mentre la pioggia lentamente inumidiva il mio capo. Camminavo a passo svelto, verso il vialetto di casa, con una mano davanti al volto, che asciugava le lacrime, che avevo vanamente cercato di trattenere.

Lo sguardo di Noah era fisso su di me, sentivo le sue iridi puntate sulla mia sagoma, che fuggiva dalla sua abitazione. Più camminavo, più sentivo di aver esagerato, tuttavia orgogliosa com'ero, non mi sarei mai girata. Spalancai la porta con forza, facendola sbattere contro il muro, il contatto tra i due oggetti produsse un sonoro tonfo, che si propagò velocemente per tutta la casa.

-Merda, Bethany, prima o poi mi farai venire un infarto!- starnazzò Hayley facendo un balzo, sulla poltrona su cui era seduta, stringeva tra le mani un libro. Mi osservò allarmata, nel silenzio più totale.

-Non ti degnare di avvisarmi quando stai fuori a dormire!- continuò con tono acido, con una velata ironia, che quel giorno non avrei potuto cogliere.

Non volevo sentire nulla. Non volevo litigare, non ne avevo la forza. Non volevo sentirmi dire ancora di aver sbagliato, lo sapevo già io. Volevo stare da sola.

-Vaffanculo Hayley!- sbottai ignorandola. Ero stanca, del suo atteggiamento da madre, era già stata abbastanza protettiva mia madre, non serviva che ne facesse le veci lei.

La sorpassai con agilità la sua sagoma pietrificata, e dirigendomi a gran passi verso la porta della mia camera la abbandonai senza spiegazioni all'ingresso. Un tonfo e calò nuovamente il silenzio.

Dopo aver sbattuto la porta, si propagò un'intensa quiete, interrotta dal mio continuo singhiozzare. Le lacrime rigavano il mio volto, trascinando con loro, ciò che rimaneva del mio trucco. Sentivo un peso sul petto, qualcosa che mi opprimeva. Non riuscivo più a trattenermi; le lacrime si trasformarono in acuti strilli, che rimbombavano in tutta la casa. Mi lasciai cadere, con il busto attaccato alla porta.

-Bethany, tutto bene?- domandò dolcemente Hayley, dalla parte retrostante della porta, su cui ero poggiata.

-Vattene via!- ordinai con tono severo.

-Ti prego- aggiunsi poco dopo, con voce tremula e più dolce, notando che la sua presenza non era svanita.

-Non mi muovo di qui!- sbottò severamente.

-Apri questa porta!- ordinò lei.

-Hayley, ti prego, voglio stare da sola- la implorai. Volevo stare da sola, nel silenzio, a pensare. Non volevo la carità e la comprensione di nessuno. Volevo Noah. Nessun'altro.

-Sono la tua più grande amica, non ti lascerei mai sola- annunciò. Così, assuefatta dalla sua dolcezza, mi alzai in piedi, aprendo la porta, con la figura femminile di Hayley davanti. I suoi capelli biondi erano legati in una alta coda, nonostante un ciuffo le ricadesse sul volto. Aveva stampato sul volto uno sguardo comprensivo e amorevole.

-Cosa succede?- mi interrogò dolcemente.

-Nulla- mentii tirando su con il naso, mentre con una mano asciugavo il volto ricoperto dalle lacrime.

-Te l'ho mai detto che fai schifo a mentire?- continuò lei strappandomi un sorriso.

Stavamo sedute, l'una accanto all'altra, davanti alla porta. La finestra che avevamo davanti mostrava ampiamente l'ambiente che stava al dì fuori della casa. Tra le nuvole scure, e la pioggia che incessantemente scendeva, si intravedeva la casa di Noah. Il suo giardino, la sua macchina e le finestre che davano sulle stanze. Era passato poco più di un mese da quando ci eravamo baciati, ed era già tutto finito.

Tuttavia la mia scelta era stata corretta. Non avrei potuto condividere emozioni, situazioni e momenti, con un ragazzo che mi considerava come un passatempo. Nonostante ciò, le scelte corrette, facevano sempre male. Non ero abituata a questo. Ero stata sempre oppressa, dell'eccessiva voglia di mia madre di non lasciarmi mai sola. Vivevo in un mondo ideale, senza sofferenza. Non era vita. Era una prigione.

-Ora capisco...- sibilò con un ghigno sulle labbra, distigleindomi dai miei pensieri.

-Colpa di un ragazzo, vero?- ammise. Mi limitai ad annuire, poggiando con delicatezza il capo sulla sua spalla, con la pelle inumidita dalle lacrime e gli occhi, sovrastati dal bruciore.

-Da quanto va avanti?- domandò incuriosita lei.

-Non molto, un mesetto. Poco piu- approssiamai.

-Sai, anche lui, come il ragazzo con cui ti senti tu, ha un bracciale di stoffa marrone- mugugnai, ancora sconvolta dall'accaduto.

-Dai, che figo- esclamò.

-Già, figo...- conclusi.

CIÒ CHE È GIUSTO [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora