Capitolo 15

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Afferrai le chiavi di casa, e della macchina. Agilmente infilai la giacca, diedi una sistemata ai miei capelli, che come al solito si ritrovano in uno stato di confusione. Spalancai con forza la porta, dirigendomi verso la macchina, che avrei usato per dirigermi a lavorare.

Faceva un eccessivo freddo quella mattina, una gelida aria riempiva le strade di San Francisco. Eravamo nei mesi più freddi dell'anno, trovavo adorabile, dormire avvolta da dal caldo, oppure venire bagnata da un getto di acqua calda, facendo poi ovviamente cenno, alle immancabili tazze, cariche di the e caffè bollenti. Soffiava forte l'aria gelida, scaraventando le foglie ai bordi delle strade. Non sarei riuscita a camminare fino all'albergo, sarei arrivata sotto forma di ghiacciolo.

Quella mattina mi ero svegliata di buon umore, forse per il tenero profumo di caffeina che solleticava le mie narici, fin dal primo risveglio, un sogno nella realtà. Hayley nelle settimane, successive alla rottura con Noah, sembrava estremamente premurosa, cercava di viziarmi ed accontentarmi sempre, una cosa quasi opprimente, ed esageratamente strana, tuttavia tutta quella premura mi rendeva felice e mi faceva sentire coccolata dunque era sempre ben accetta.

Appena in piedi, non feci a meno di osservare la tazza strabordante di caffè, che era posizionata sul tavolo, affiancata da un piccolo biglietto, firmato da Hayley. Piccole gioie di mattina. Nonostante ciò, avevo continuato a tenere nascosta l'identità di Noah ad Hayley, cercavo di tenere a bada la sua curiosità, non volevo nessun sapesse di noi, di ciò che eravamo stati, un piccolo segreto, un ricordo da eliminare.

Era passato meno di un mese, due settimane, dall'ultima volta che avevo visto Noah. Sentivo un profondo vuoto da quando non stavo più in sua compagnia. Aveva occupato una smisurata parte della mia giornata, della mia vita, e quando l'abbandonò, venne colmata da un incessante dolore. Tentavo ossessivamente di aver sempre qualche mansione da svolgere, per evitare di pensare a lui. Eppure il ricordo di tutto ciò che era successo, mi tornava costantemente alla mente, come una presenza. Era straziante.

Spesso mi affacciavo alla finestra, sognavo di poter vedere la sua figura, in tutta la sua maestosa semplicità spuntare nel giardino di casa sua, calata nel silenzio. Forse cercava di evitarmi. Forse stava soffrendo per me. Oppure si era rifatto una vita. Lontano da me. Dove c'ero io, c'era dolore. Era un talento il mio. Ero riuscita ad allontanare da me, l'unica persona che amavo, ed ero conscia, che non me lo sarei mai perdonata.

Osservai l'ambiente fuori dalla porta. L'aria fresca della mattina, si scontrò contro il mio volto. Insipirai lentamente la fresca brezza del mattino e stringendo al mio bacino la borsa, che reggevo sulla spalla, andai verso la mia macchina. Avvertii un leggero rumore alle mie spalle, un rumore di passi, girai di sfuggita lo sguardo, per osservare meglio la situazione.

Era lì. Lo osservai intensamente. Indossava una giacca di pelle, e si stava dirigendo verso l'ingresso della sua abitazione. Mi osservava tranquillamente anche lui. Non lo avevo mai visto tanto serio. Quella serietà era dovuta a me? Sfiorò con le sue dita affusolate il suo ciuffo di capelli senza mai distogliere lo sguardo da me. Eravamo lì. A pochi metri di distanza. Fermi. Senza fiatare. A fissarci.

Averlo di nuovo a poco da me, metteva ancora in subbuglio il mio stomaco. Lo contemplavo estasiata dalla sua bellezza, però il suo sguardo, era differente, da quello che ero abituata a vedere, serio e impassibile: frigido. Quella situazione mi metteva a disagio, avrei voluto sparire dietro un cespuglio, e non avere la sua attenzione su di me.

Non volevo smettere di osservarlo, se lo avessi fatto, non avrei più potuto osservare i suoi occhi, per chissà quanto tempo, e la sola idea di ciò, mi rattristava completamente. Nonostante la serietà che riempiva le sue iridi, riusciva ancora a lasciarmi senza fiato. Fu un attimo. Un sospiro. Scomparve tra le mura di casa. Lasciandomi lì, sola, stretta dal vento, che accarezzava il mio volto. Una sensazione di vuoto, vagò per il mio corpo. E poi il tonfo. La porta si richiuse alle sue spalle. Poggiai le mani al volto, iniziando ad imprecare. Come potevo essere tanto stupida?

Mi mancava. Ed era bizzarro come cercassi ossessivamente di nasconderlo e negarlo. Provavo ancora qualcosa per lui. Qualcosa di estremamente forte, che col tempo, sembrava destinato a rimanere. Una di quelle sensazioni, che rimangono, come il silenzio che si era impadronito delle strade: perenne.

Rimasi ferma qualche istante, nel silenzio della città, avvolta dal sonno della mattina, per poi arrivare alla macchina, esausta da quell'incontro, così breve, da avermi scombussolata.

-Vaffanculo- strillai, sbattendo le mani al volante. Strusciai il collo contro sedile, sbattendo con forza i piedi, contro il tappetino della macchina.

-Non capisci che ti amo?!- gridai, facendo riferimento a Noah, avrei voluto urlargli quelle parole in faccia, con tutta la grinta che avevo. Ma era solo un illusione. Era finita.

Non poteva capirlo. Lo avevo lasciato io. Mi aveva dimenticato. Era andato avanti. E dovevo farlo anche io.

CIÒ CHE È GIUSTO [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora