-Che brutta faccia!- esclamò Noah.
-Non me ne parlare, guarda- sbottai con violenza.
Si stava creando un particolare legame tra me e Noah, un rapporto speciale, tutto nostro, a cui solo noi avevamo accesso. Passavamo sempre più tempo insieme. Poco più di un mese era bastato, perché creassimo questo legame. C'era sintonia, affinità. Stavo bene con lui, e non ci sono molte parole per descriverlo.
Quel giorno, saremmo tornati a casa insieme, finito l'orario di lavoro, Noah, si presentò davanti al Marylin, l'hotel in cui lavoravo, con una tazza di bollente caffè ed un solito sorriso ampio sul volto, ma quel giorno, tutto era diverso, nemmeno lui, sarebbe riuscito a tranquillizzarmi.
-Cos'é successo?- domandò standomi dietro, mentre percorrevo il marciapiede a passo svelto.
-É successo che stanno applicando dei tagli sul personale, e se non faccio una buona impressione al nuovo manager, sono fuori- esclamai cercando di mantenere la calma, con scarsi risultati, da sempre queste situazioni mi mettono sotto pressione, mi sudano le mani, mi si blocca lo stomaco ed iniziano a tremarmi le gambe. Un vero inferno, chiamato ansia.
-Cosa intendono con buona impressione?- continuò lui, standomi affianco.
-Domani si terrà una riunione privata, faccia a faccia con il manager, una bestia da come è stato descritto- borbottai.
Non potevo affermare, di star svolgendo il lavoro dei miei sogni, ma era anche l'unico che mi permetteva di vivere. Non avendo frequentato il college e non avendo esperienza, sarei stata letteralmente sbranata dal mondo del lavoro, competitivo com'era. Dunque, cercavo di rimanere attaccata con gli artigli, a questo ultimo spiraglio a cui mi teneva ben salda, evitando così una caduta nell'oblio del fallimento.
-Ti ho portato del caffè- esclamò lui, porgendomi una tazza in cartone, così fortunatamente riuscì a rapirmi da tutte le paranoie, che in così poco, si erano riuscite a creare dentro di me.
-L'unica gioia della giornata- esclamai afferrandola e iniziando a bere la bevanda a gran sorsi.
-Grazie mille- disse con tono offeso.
-Oh, salvatore del genere umano! Grazie per aver salvato questa tragica giornata!- annunciai con aria tragica, puntando le mani al cielo, cercando di strappare un piccolo sorriso, non solo a lui, ma anche a me.
Camminavamo per la strada, verso la macchina di Noah, il quale si era finalmente deciso ad andare a lavorare, con un proprio mezzo e non dover correre sempre come un matto, per poter usufruire dei mezzi pubblici. Stringevo tra le mani la tazza di caffè, che di tanto in tanto, portavo alla bocca, a pochi centimetri da me, avevo Noah, che mi sovrastava con la sua altezza. I vestiti eleganti, che come sempre dovevo portare addosso, in quel momento più che mai, mi apparirono come una morsa, una compressione, una gabbia e sentivo il primitivo istinto di liberarmene istantaneamente.
Volsi lo lo sguardo al cielo, tentando di distrarmi. Quel giorno il sole era ricoperto da nuvole grigie, grosse e minacciose, tendenti ad un grigio spento, quei colori cupi sovrastavano maestosamente San Francisco ed un costante freddo avvolgeva da un paio di giorni la nostra cittadina, un freddo che ti penetrava nelle ossa e ti faceva rabbrividire.
-Passi da me per cena?- chiese estraendo dalla tasca dei suoi pantaloni, le chiavi della macchina, che velocemente inserì nella serratura, sbloccandola. Aprì la portiera, e dopo essermi accomodata, la richiuse, prendendo posto accanto a me.
-Se prepari del cibo decente- espressi con chiarezza trattenendomi con tutta me stessa dal ridere.
-Disse quella che due giorni fa, aveva preparato una vellutata di porri, mele e zucchine- mi ammonì, riportandomi ai ricordi di quella tragica cena, al che non riuscii proprio a trattenere una risata esplosiva. Faceva veramente schifo.
-A me piaceva- mentii senza pudore, facendo spallucce.
-Si spiegano tante cose di te- continuò lui, ridacchiando.
La macchina, dopo un rumoroso rombo, partì ed iniziò a vagare per le strade di San Francisco, coperte da alberi, scossi dal vento. Velocemente ci ritrovammo davanti all'abitazione di Noah, distante pochi metri dalla mia, priva di luci che ne illuminavano l'interno: quella sera Hayley era uscita, come era stato sempre suo solito fare.
In cuor mio sentivo un forte dispiacere, nell'averla con me, e non poter stare con lei a pieno. Ci vedevamo raramente, nonostante condividessimo la stessa casa, e questo prosperoso periodo, ricco di emozioni ed eventi, favoriva solo la creazione di ostacoli, che limitavano i nostri incontri.
Onde evitare, fatali problemi decidemmo di ordinare una semplice pizza, fumante e filante. Da quando ci conoscevamo, ogni pasto, passato assieme a Noah, era completato da del cibo schifoso, preparato da noi, dunque, poter gustare per una volta del cibo decente, mi esaltava assai.
Buttati i cartoni della pizza, una volta finita la cena, mi gettai sul divano, ritornando alla tremenda idea, di ciò che il giorno dopo mi aspettava. Quel giorno, non riuscivo a staccare la spina. Avevo solo una miriade di pensieri, che rigiravano nella mia testa, e nulla riusciva a farli passare in secondo piano.
-Stai pensando alla riunione?- domandò Noah, sedendosi accanto a me.
-Si- biascicai, appoggiando la testa alla sua spalla.
-Non hanno motivi per mandarti via Bethany- ammise, cercando di incoraggiarmi. Le sue parole, mi riscaldavano il cuore, con lui mi sentivo al sicuro.
-Invece sì. Sono un disastro, non ho nemmeno studiato al college- balbettai in preda all'ansia.
-Cerca di rilassarti- sussurrò dolcemente, iniziando ad accarezzarmi i capelli, a quel punto mi abbandonai sulla sua spalla, chiudendo gli occhi e cercando di eseguire il suo consiglio.
-Andrà tutto bene- concluse.
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CIÒ CHE È GIUSTO [COMPLETA]
ChickLitNon era la vita perfetta. Nulla lo era mai stato. Trascinava alle spalle, il ricordo di un dolore difficilmente arginabile. Un errore, aveva rovinato la sua vita. Bethany Hills, vive, tra il dolore dei ricordi, e l'ingenuità di una ragazza innamorat...