Capitolo 7

98 11 0
                                    

Un piccolo raggio fievole di sole si posò sul mio volto. Tirava un forte vento quella mattina, lo si sentiva penetrare dalle finestre. Lentamente iniziai ad aprire gli occhi.

Panico. Saltai giù dal divano, e controllai velocemente l'ora, indicata sul mio orologio da polso: le nove passate. Scossi violentemente Noah, sdraiato a pochi centimetri da me sul divano, nella speranza si svegliasse velocemente. Non potevo essermi permessa un errore del genere. Mi ero addormentata su di lui, ed ora il tempo, scandiva perfettamente il mio ritardo. Il ragazzo aprì gli occhi, turbato da un così violento risveglio. Non avevo il tempo per controllare cosa stesse accadendo, iniziai a gironzolare per il salotto, ricercando tutto ciò che mi appartenesse.

-Muoviti Noah- sbottai, indossando frettolosamente i tacchi poggiati sotto al divano. Sentivo un calore propagarsi per tutti il petto, un senso di rancore e rabbia immotivata, non riuscivo mai a controllarmi e questi ne erano i risultati. Avvertii un fastidioso bruciore agli occhi, cercai di trattenermi: non era il momento di piangere.

Non potevo essere così stupida. Addormentarmi e presentarmi in ritardo. Chi manterrebbe a lavorare una ragazza come me?

-Devi accompagnarmi- urlai sistemando malamente i capelli, tutti scompigliati ed in aria, con la speranza di ridonargli un ordine. Gli toccacciai con le mani, davanti allo specchio, nel tentativo di domarli e renderli presentabili.

-Ma dove?- biascicò Noah stiracchiando, il ragazzo sembrava dormire in piedi. Non doveva essere una persona mattutina.

-Al lavoro- gridai, in preda ad una crisi isterica. Afferrai la sua mano e lo trascinai verso l'ingresso dove, prese le chiavi della macchina, sfrecciammo verso l'automobile.

-Questa è pura violenza!- borbottò lui, mettendo in moto la macchina e partendo a gran velocità, verso l'hotel.

Per tutto il viaggio non feci altro che massaggiarmi le mani, sperando in una qualche grazia, di tanto in tanto, trovavo il coraggio di osservare fuori dal finestrino, e rendermi conto, di quanto mancasse all'arrivo. Osservavo ossessivamente l'orologio, secondo dopo secondo, il suo passare inesorabile rendeva ogni minuto, una tortura. Cosí continuai a mordicchiare le labbra, cercando di scaricare l'ansia.

Il viaggio proseguiva normalmente, quando una sfilza di macchine, posizionate in coda, si presentò davanti ai nostri occhi. Iniziai a sbuffare, cercando di vedere, cosa provocasse quell'ingorgo di veicoli: fallii, la coda era così lunga che mi era impossibile scorgere il motivo di quel blocco. Le macchine rimanevano ferme, sotto i suoni del claxon.

-Ma non può essere- esclamai allo stremo delle mie forze.

-Stai tranquilla, andrà tutto bene- sussurrò Noah afferrando la mia mano, mentre con l'altra, reggeva il volante.

Osservai per qualche istante, le nostre mani, l'una nell'altra, strette. Così vicine. Mi si formò un nodo allo stomaco, e non riuscii a non frenare un sorriso, che velocemente comparve sul mio volto.

-No, non andrà bene, dovevo essere lì mezz'ora fa'- sospirai.

-Andrà bene, te l'ho già detto! Sei una ragazza piena di doti, e non penso che per un misero errore ti manderanno via- ammise.

A sentire quelle parole, le mie guance si infuocarono ed il mio cuore, ebbe il proposito di esplodere dentro al mio petto. Era riuscito, per quanto possibile, a tranquillizzarmi strinsi la sua mano, iniziando a respirare: dovevo calmarmi.

Le macchine iniziarono così a scorrere normale lungo la loro strada e finalmente riuscii a scorgere la sagoma dell'alto hotel in lontananza che quel giorno, sembrava assumere le sembianze dell'inferno.

Arrivati davanti all'albergo, biascicai un saluto, e saltai giù dal veicolo, iniziando una corsa precaria verso l'ingresso. I tacchi, non mi permettevano di percorrere tragitti a gran velocità, mi donavano l'aspetto di un elefante sgraziato. Mi diressi sotto lo sguardo sconvolto dei presenti verso l'ufficio delle conferenze. Nessuno occupava la sala d'aspetto. Regnava un silenzio terrificante. Nessuna voce, nessun rumore. Cercai di trattenere le mie emozioni, mentre delle fitte di dolore, iniziarono a colpire la mia pancia. Iniziai a sentirmi compressa, sotto pressione. Mi accomodai su una delle sedie, fino a quando la porta non si aprì...

Era l'ora dei conti...

CIÒ CHE È GIUSTO [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora