Capitolo 4

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-Non accadrà mai più- borbottai, stringendo con un braccio la borsa contro un fianco, e premendo con la mano del braccio opposto il cellulare contro l'orecchio.

-Io rimango dell'idea che ti abbia fatto bene bere- mugugnò Hayley dall'altra parte del telefono: sembrava stare così male. La bevuta di ieri doveva averla veramente distrutta. Non riuscii però a trattenere una risata, sentendola parlare così.

-Ci sentiamo dopo- tagliai corto.

Così, risposi il telefono nella borsa. Ed uscita dall'hotel in cui lavoro, inizia a dirigermi dalla parte opposta della strada, dov'era posizionato un piccolo bar da poco aperto, con un'estrema voglia di caffè. Entrata nel piccolo locale, presi posto su uno sgabello vicino al bancone, aspettando l'arrivo di qualche cameriere.

-Elegante la ragazza- esclamò d'un tratto una voce. Sobbalzai di colpo sulla sedia; lo spavento fu tale, che per poco non ne caddi giù. Mi aggrappai così al bancone, e riprendendo fiato osservai chi avesse appena tentato di uccidermi.

La rabbia iniziale, si trasformò velocemente in un'emozione, che si propagò per tutto il petto, lasciandomi senza fiato per un paio di secondi. Un vago rossore iniziò a ricoprire le mie guance ed una forte gioia mi rapì completamente.

-Cosa ci fai qui?- domandai continuando a sorridere.

-Lavoro- esclamò, Noah, finendo di asciugare con una pezza un bicchiere di vetro. Passai un dito dietro l'orecchio, sistemando una ciocca dei miei capelli castani, che mi ricadeva davanti.

-Che bella ciera!- esclamò, alludendo al mio volto cereo, che avevo accuratamente cercato di mascherare con del trucco, ma viste le mie scarse doti, sembravo più un panda a chiazze, che una ragazza normale.

-Serata dalle mille sfaccettature- farfuglia sorridendo.

-Cosa ti porto?- domandò finendo di pulire un paio di tazzine.

-Un po' di voglia di vivere- affermai.

Quando la stanchezza, inizia a prendere possesso di me, inizio a dare di matto, ed inizio a non pensare a ciò che dico. Parlo e basta.

-Finita- concluse ridacchiando.

-Opterò per del caffè allora- conclusi velocemente.

Mi si formò un sorriso sul volto nel sentirlo parlare; come potevo stare così bene con lui. Ci conoscevamo, così per dire, da così poco, eppure stare con lui mi faceva stare bene. Quando ero in sua compagnia, sentivo una serie di emozioni contrapporsi tra loro e questo perenne stato di felicità.

Pochi istanti dopo averlo ordinato, mi venne consegnata una grossa tazza di caffè fumante, che velocemente mi distolse dai miei pensieri. L'amaro sapore di caffè, mi rilassava così tanto. In poco tempo, la tazza si ritrovò svuotata del suo contenuto. La spostai leggermente verso interno del bancone; un implicito modo per dire:
"Ehy, ho finito di bere, ma non ho voglia di dirtelo, quindi dammi il conto".

Noah in poco afferrò la tazza e con poca cura la gettò nel lavandino.

Tirai velocemente su la manica della mia giacca ed osservai l'ora indicata sul mio orologio, un quarto alle sette. Emisi così un leggero sbuffo, susseguito da un debole broncio.

-Cos'é quella faccia?- domandò Noah, posizionandosi esattamente davanti a me.

-Devo andare a casa, sistemarla e cucinare- borbottai.

-E chi ha voglia di farlo? Vorrei gettarmi nel letto- mugugnai raccontando i miei propositi per la serata.

-E che problema c'è? Passa da me!- esclamò slacciando il grembiule nero, che portavo legato sui fianchi.

-Così potrai rilassarti mentre a cucinare sarò io- propose ammiccante.

A sentire quell'affermazione per poco non svenni. Sgranai gli occhi e avvertii il mio cuore battere all'impazzata. Sorridevo così tanto, che ad un certo punto mi sembrò di avere un blocco facciale, sentivo un nodo allo stomaco. Ma allo stesso tempo, avvertivo una lieve sensazione di paura: mi aveva presa alla sprovvista. Non ero pronta a ciò. Non riuscivo a credere alle sue parole.

-Non so se è il caso- bofonchiai, iniziando a mordicchiare la parte interna della mia guancia.

-Se cucini in queste condizioni, brucerai casa- ammise tentando di convincermi, facendo riferimento alla mia evidente stanchezza.

-Mi farò della pasta- mormorai con un filo di voce.

-Non vorrai rinunciare ad una cena degna di cinque stelle michelin- continuò lui, sempre più convinto di sé stesso.

-Tu? Un cuoco?- domandai, scoppiando in una fragorosa risata, che portò l'attenzione di tutta la clientela su di me.

-Intanto lavoro in un bar- esclamò offeso.

-Servi solo del caffè- continuai ridacchiando.

Era così strano, ritrovare dopo tanto tempo una persona che riuscisse a farmi ridere con poco. Era una sensazione che non provavo da così tanto, che riviverla mi turbava.

-Andiamo?- insistí lui, uscendo dal bancone. Non sapevo cosa fare. Sembrava sicuro delle sue azioni, nonostante non fossero eticamente corrette.

-Ma così? Non avvisi nessuno?- dissi afferrando velocemente la borsa e cercando di seguirlo.

-Ma si i turni sono una formalità- esclamò e dopo aver appeso il suo grembiule, spalancò la porta del locale e a passi veloci si incamminò per strada.

-Ma che stai dicendo- dissi cercando di inseguirlo, cercando di gestire una situazione di equilibrio precaria, visti i tacchi su cui poggiavo i piedi.

-Ma a chi importa? Andiamo- gridò lui iniziando a correre.

-Ma non ho nemmeno pagato!- urlai cercando di raggiungerlo. Ma era troppo tardi, era così lontano che non mi sentiva.

CIÒ CHE È GIUSTO [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora