Capitolo 13

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Delle minuscole gocce d'acqua, picchiettavano sul tetto, producendo un fastidioso, stridolo, rumore, che in breve mi destò dal sonno in cui ero ricaduta. Avvolta da un coperta dai toni chiari, mi ritrovai distesa, nel letto matrimoniale della camera di Noah, la superficie di letto che avrebbe dovuto occupare era vuota.

Gettai le braccia in aria, stiracchiandomi dopo aver emesso un sbadiglio. Mi alzai dal letto, non facendo a meno di notare, di essere vestita come il giorno precedente. Comparve un leggero sorriso sulle mie labbra, riportando il pensiero alla serata appena trascorsa.

Mi alzai in piedi, dirigendomi verso la cucina, dove la tavola, ben imbandita con del caffè fumante mi aspettava. Di colpo venni sorpresa dalla sagoma di Noah, che di colpo mi ritrovai davanti.

-Già in piedi?- biascicai, stropicciando gli occhi con una mano.

-Sono le dieci- borbottò come se la mia affermazione, fosse assolutamente fuori dal comune. Lasciai velocemente un bacio sulle sue labbra, andandomi a sedere, con le gambe incrociate, sulla sedia.

-Esatto- continuai osservandolo sbigottita. Non riuscì a trattenere una risata, e così iniziò a ridere a crepapelle, passò una mano fra i miei capelli, e si andò a sedere sulla sedia vuota, esattamente davanti a me.

-Hai preparato la colazione- mugugnai leccandomi i baffi. Annusando il forte odore del cacao, fuoriuscire dalla tazza che avevo davanti ed un piccolo cornetto ripieno di crema, che ne stava affianco.

La colazione proseguì nel silenzio. Non quei silenzi assordanti, così fastidiosi da metterti in imbarazzo. Una sensazione di pace. E così una serie di pensieri, iniziarono ad arruffarsi disordinatamente tra loro nella mia mente. Tutto vagava liberamente nella mia mente, senza controllo.

-Noi cosa siamo?- sbottai di colpo. Noah alzò la testa, distogliendo lo sguardo da ciò che stava mangiando, ed osservandomi perplesso, fece una smorfia interdetta.

-Siamo una coppia, giusto?- chiarii con calma, finendo di addentare la brioches ripiena, che stringevo tra le mani.

-In che senso?- mugugnò. Aveva il volto perso. Sembrava che ciò che gli stessi chiedendo fosse una cosa assurda, a cui nessuno avrebbe mai potuto pensare.

-L'unico senso che esiste- continuai, nonostante ciò sembrava non capire, mi guardava con sguardo storto, sempre più dubbioso.

-Tu mi consideri la tua fidanzata?- cercai di spiegarmi meglio. Alla mia affermazione sembrò strozzarsi con ciò che aveva in bocca, dunque fu costretto a dare un paio di colpi di tosse, per poi osservarmi perdutamente.

-Non saprei?- farfugliò.

-Cosa?!- replicai scioccata, con una vaga espressione, che rimandava al mio stato d'animo furibondo.

-É successo tutto così in fretta- borbottò con scioltezza, come se tutto ciò che aveva appena affermato, fosse una cosa normale, giusta, parlava come se la sua incertezza sulla nostra relazione fosse del tutto naturale.

-Perché?- domandò poi.

-No, no. Non cambiare discorso- lo intimai alzando la voce.

-Perché ti scaldi tanto?- continuò lui con calma.

-Perché mi stai dicendo che, per te tutto ciò, non è nulla?- ammisi, persa la pazienza, con tono acido. Era tutto così poco normale.

-Non ho detto questo- affermò.

-Non hai detto nulla, è questo il problema- conclusi seccata, cercando di calmarmi.

-Mi prendi alla sprovvista, per di più di prima mattina- si difese lui.

-Non scherzare- lo ammonì. Cercai di respirare tranquillamente, ed intensamente, riacquisendo la calma.

-Noah. Devo saperlo- affermai con tranquillità.

-Ma perché? Perché hai queste domande in testa? Perché devi avere tutto chiaro- borbottò, mentre sul suo volto compariva un accenno di agitazione.

-Non voglio soffrire, voglio sapere se per te questo è solo sesso, o amore, o nulla-

Forse era tutto esagerato. Ma non sarei riuscita a sopportare un'altra delusione. Non ce l'avrei fatta. Quel ragazzo, dai capelli scuri, dai modi di fare pacati e dolci, dall'animo comprensivo ed ironico, mi aveva stravolto la vita. Mi stava facendo sognare e da quando, era iniziata la nostra storia, andavo a dormire pensando a lui, e svegliandomi ci ripensavo. Aveva occupato quella parte monotona della mia vita, stravolta e sconvolta, riempita di gioia. Non potevo essermi illusa. Non potevo perderlo.

-Cos'é per te?- domandai, supplicandolo di darmi una risposta, con la voce tremula mi aveva accompagnata per tutta l'ultima frase. Non era giusto venissi usata. Mi osservava in silenzio. Come poteva non sapermi rispondere. I secondi passarono. Scossi la testa disgustata:

-Il silenzio è stato abbastanza eloquente- con tutta la forza che mi era rimasta, mi alzai dal tavolo, mentre con grinta trattenevo le lacrime. La parte sentimentale di me, mi pregava di rimanere con lui, ma non era corretto. Non potevo permettermi di soffrire ancora. A passo svelto, afferai la mia giacca e le scarpe, le infilai malamente, sperando di riuscire ad uscire da quella casa il più velocemente possibile.

-Bethany- urlò inseguendomi Noah.

-Stai esagerando- urlò, quando oramai, avevo varcato la soglia della sua porta, abbandonandola per sempre.

-No. Posso fare di peggio fidati- lo intimai, senza mai voltarmi, per guardarlo negli occhi. Non mi sarei girata. Non lo avrei più visto. Lo avrei dimenticato.

Era finita, o forse non era mai iniziata...

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