26. Coraggio

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"Irene posso dirti un'ultimissima cosa?" Mi volto verso di lui annuendo, togliendo il famoso biglietto dal tavolo per apparecchiare "È normale avere paura" Mi blocco, come se fosse scattata la parola d'ordine: paura. "Sai Charles di lei mi rimane solo una lettera, neanche una vera e propria lettera, più che altro un appunto. Dice 'Ci vuole del coraggio anche per aver paura' e io ho sempre pensato che fosse una frase ad effetto buttata lì tanto per dirmi qualcosa, per dirmi che lei era reale, ma oggi ho capito che il coraggio e la paura non sono due opposti ma vanno strettamente a braccetto" Mi avvicino afferrando il foglio e accarezzando il suo nome, dolcemente come fosse un tesoro "E io non solo non ho il coraggio di incontrarla ma nemmeno il coraggio di avere paura di questa cosa" Lui mi guarda giustamente confuso, ma so che in cuor suo ha capito perfettamente cosa io intenda dire "Mi sento sbagliata, di nuovo, e non è giusto" Le lacrime tornano a bussare prepotentemente ma questa volta Charles mi abbraccia prima che possano uscire "Non hai nulla che non và, Irene, e se lei non l'ha capito quella volta forse ora vedendo la donna che sei diventata potrà capirlo" Mi separo da lui abbastanza per guardarlo negli occhi "Non sai quali siano state le sue motivazioni, non vuoi saperlo?" Ha ragione, lo so, ma non è così facile come la fa lui "E se non mi accettasse nemmeno ora, se dicesse che è felice della scelta che ha fatto?" "Nessuna mamma al mondo lo direbbe e poi, se proprio fosse così stupida, ci penserei io a farle capire cosa si è persa" Sorrido poco convinta da questa dichiarazione d'amore che è risuonata più come una minaccia "Maria eh? Quindi io sono tipo il bimbo Gesù" Scoppiamo entrambi a ridere tornando a vivere la nostra quotidianità e non parlando più di questa storia fino al fatidico giorno.

13 gennaio 2020, Roma
Respiro profondamente prima di scendere dalla macchina. È strano tornare a Roma, non l'ho mai considerata casa eppure so di essere nata qua. È pomeriggio inoltrato, una leggera pioggerellina bagna le strade ciottolate mentre io mi ritrovo davanti al portone del palazzo indicatomi da Charles, qui in Via Palermo. Ho deciso di venire da sola, è una cosa che devo fare io ed io soltanto, ma il mio ragazzo, ora posso dire più fantastico che mai, ha deciso di aspettarmi in un albergo nelle vicinanze e sono sicura sia in ansia tanto quanto me. Osservo attentamente tutti i citofoni, quasi sperando di non trovare quel nome che è ormai da due settimane marchiato nella mia mente: Maria Monte. Lo trovo, al numero 26, e dopo un miliardo di ripensamenti decido di suonare "Si?" Una voce metallica risponde alla 'chiamata' e a me già tremano le gambe "Signora Monte v-vorrei parlare con lei" "Posso sapere con chi parlo?" Bene Irene, sei ancora in tempo per scappare. "Una sua grande ammiratrice" Non so per quale motivo decida di aprirmi ma in ogni caso non è importante ora, non per me. Salgo le scale, lentamente, preferendole all'ascensore, troppo rapido per questa occasione, ritrovandomi ben presto davanti una splendida signora. Sulla quarantina, come già sapevo, ben curata e tremendamente somigliante alla sottoscritta, lisci capelli neri raccolti in uno chignon, trucco impeccabile e un elegante abito rosa tenute. Appena mi vede, come se aspettasse questo momento da tutta una vita, mi sorride gentilmente facendomi entrare ed io non ho più intenzione di mentire o mantenere questa mia 'maschera', com'era invece nei miei piani "Allora mi dica signorina, qual'è il suo nome?" Deglutisco mentre mi guardo intorno, ovunque foto legate al mondo dei motori e a quello dell'ingegneria che, in qualche modo, mi fanno sentire a mio agio "Irene - la guardo dritta negli occhi, azzurri a differenza dei miei - Irene Tripoli" Lei annuisce, ancora sorridente, invitandomi a sedermi su una delle poltrone del salotto e offrendomi un thè, che accetto volentieri "E mi dica, Irene, come mai qui?" "È merito tuo, o vostro, se la McLaren mi ha presa?" Domando senza troppi giri di parole notando come il suo viso ora si sia irrigidito di colpo e le sue mani, prima tranquille, iniziano a torturarsi. Vizio di famiglia. "Assolutamente no, onestamente non ho mai fatto nulla che potesse in qualche modo aiutarti, non sarebbe stato onesto e, soprattutto, non ne sarei stata fiera" Annuisco distogliendo lo sguardo da lei, non riuscendo più a sostenerlo "C'ero sempre, lo sai? Al tuo primo giorno di scuola ero fuori dal portone che ti osservavo, quando ti sei diplomata ero così fiera e alla tua laurea ero tra il pubblico. Non ho perso un tuo passo in tutti questi 22 anni, nemmeno uno, nemmeno per sbaglio. So cosa fai, dove vivi e perfino di chi sei innamorata e fidati non potrei essere più orgogliosa di così" Queste parole in qualche modo mi feriscono, invece che sollevarmi "Non sono certo diventata quello che sono grazie a te, anzi. Se sono qui oggi è per ringraziarti di due cose, solo due: la prima è avermi dato una mente abbastanza scientifica da poter diventare ingegnere meccanico in Formula uno e la seconda è avermi dato la famiglia che ho ora, la mia unica famiglia" "Irene so che mi odi, ti capisco, ma non è stata una mia decisione e mai avrebbe potuto esserlo. Se solo tu sapessi-" "Raccontamelo" Stupisco entrambe con questa rischiesta a bruciapelo ma lei, da donna impassibile quale si dimostra, decide di assecondarmi e raccontarmi la storia. Ci siamo, è arrivato quel momento in cui la verità viene detta per intero, in cui non ci sono più domande fuorché una: sono pronta?

"Molti anni fa conobbi tuo padre per caso, in facoltà. Io ero una giovane studentessa che voleva dimostrare al mondo come una donna può diventare un ottimo ingegnere meccanico e volevo farlo conducendo una serie di esperimenti particolarmente difficoltosi. Per far ciò chiesi l'aiuto del primo ragazzo che incontrai, ho sempre creduto al destino sai? Iniziammo a lavorare a questo progetto e lo portammo a termine con un successo inaspettato solo che, quando si trattò di esporre il nostro lavoro, scoprii una cosa imprevista: quel giovane ragazzo per cui, onestamente, avevo già perso la testa era niente di meno che uno dei miei futuri professori, uno dei più illustri addirittura. Inutile dire che se tu sei qua quello non fu un vero ostacolo al nostro amore; continuai gli studi e mi laureai con successo, diventando ben presto sua tirocinante, ovviamente mantenendo la nostra relazione segreta. Ti sembrerà strano perché parlo della fine degli anni '90 ma anche all'epoca una relazione tra studentessa e professore era vista in un unico modo, che puoi ben immaginare. Io e tuo padre, Giuseppe, instaurammo un rapporto lavorativo particolarmente importante che portò entrambi, in due momenti distinti, a lavorare nel tuo mondo, la Formula 1, ma questo successe dopo la tua nascita. Avevo poco più della tua età, appena laureata e ancora tirocinante quando scoprii di essere incinta e ti assicuro che ero al settimo cielo! Andai da tuo padre a dirglielo ma lui non fu dello stesso avviso e ben presto il disincanto della realtà colpì la nostra storia. Decisi di tenerti, nonostante tutto, ma non ci fu proprio verso: ricordo come fosse ieri l'arrivo di tuo padre proprio in questa stessa casa, mi si avvicinò e con la sua solita pacatezza mi disse che non solo non mi amava ma che il bambino non poteva per nessun motivo essere ricondotto alla nostra storia. Lui era un luminare all'epoca, si giocava uno dei più importanti ruoli nel mondo delle corse e mai avrebbe infangato la sua reputazione con un figlio illegittimo abbandonato ad una donna sola. Il 19 agosto 1997 venni al mondo tu ed eri così bella ed innocente da far invidia, ma non potei tenerti, nemmeno lottando contro tuo padre. Non ho mai voluto arrendermi per questo ho continuato a seguire ogni tuo passo mentre lui...non so nemmeno che dirti di lui, se non che non lo vedo da anni ormai".

Forse non avrei mai voluto conoscere questa storia, forse si stava meglio prima, ma ora, finalmente, capisco molte più cose e sono in qualche modo pronta a perdonare questa donna.

Irene /Charles Leclerc/Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora