Capitolo 6

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7 Settembre 2017, Londra.

Aprii lentamente la porta dietro la quale Lea, che era corsa dietro Anaya non appena quest'ultima era scappata, mi aveva detto che la bambina si era chiusa.

La stanza in cui mi ritrovai era più piccola di quella che avevo appena lasciato, ma ugualmente colorata e con tavoli sparsi un po' ovunque; dal muro che avevo di fronte, due grandi finestre lasciavano la vista del tramonto all'orizzonte, la cui luce arancione forniva l'unica illuminazione presente.

Subito dei leggeri singhiozzi attirarono la mia attenzione e, voltandomi alla mia destra, vidi la bambina dai lunghi capelli neri seduta su una delle sedie, con le braccia che stringevano le ginocchia piegate al petto mentre piangeva. Presi un respiro profondo ed entrai, lasciando la porta socchiusa.

La raggiunsi lentamente, sperando che si accorgesse della mia presenza in modo che non la spaventassi non appena sarei stata abbastanza vicina.

«Ho detto che non ci voglio stare, con te.» disse di nuovo, questa volta con la voce bassa e camuffata dalla bocca premuta contro il ginocchio.

A quel punto certa del fatto che sapesse che ero io, mi avvicinai con più determinazione, prendendo posto sulla sedia accanto alla sua e vedendola asciugarsi prontamente le lacrime dal viso, sperando probabilmente che non le avessi già viste.

«Non ho alcuna intenzione di portartelo via.» la rassicurai a bassa voce.

Lei spalancò per un secondo gli occhi, come sorpresa da ciò che le avevo detto, ma subito dopo mise di nuovo su una facciata di indifferenza.

«Non so di cosa parli.» mugugnò, girando il viso dalla parte opposta rispetto a dove mi trovavo io.

Per avere solo sette anni era furba ed aveva carattere, non c'è che dire.

«Invece io credo proprio di si. - quando non mi contraddisse più ma continuò a guardare fuori dalla finestra, continuai - Sai, lo so come ti senti in questo momento.»

Mi lasciai andare con le spalle contro lo schienale della sedia, cercando di apparire più rilassata di quanto invece fossi davvero; a quell'ultima affermazione, si voltò verso di me con le sopracciglia aggrottate.

«No, non lo sai.»

«Oh, invece si. - rimase a guardarmi con espressione interrogativa ed io le rivolsi un piccolo sorriso - Anche se ora ti sembro una vecchia, sono stata anche io bambina. - cercò di nascondere il sorriso che comparve sulle sua labbra per appena qualche secondo, ma io lo vidi benissimo - Quando ero piccola i miei genitori non c'erano mai a casa, quindi passavo tantissimo tempo con la mia babysitter. Si chiamava Doris, ed era una delle donne più dolci che io abbia mai conosciuto. - Anaya sembrò catturata dal mio racconto, così continuai - Le volevo tanto bene, lei mi aiutava con i compiti, mi faceva giocare, guardava i cartoni con me e mi preparava il pranzo e la cena. Era quasi come una seconda mamma. Un giorno, però, bussò alla porta di casa ed io corsi per andare ad aprire, non vedendo l'ora di vederla e di poter giocare con lei, ma quella volta insieme a lei c'era anche suo figlio. Quel pomeriggio Doris dovette dividere la sua attenzione tra me e lui, ed io ci rimasi... Malissimo. Non capivo perché avesse portato anche lui a casa mia, quel tempo era dedicato a me e lei, non volevo che qualcun altro ne facesse parte.»

«Ti sei arrabbiata con lei?» mi chiese a bassa voce, interessata.

«No, mi sono arrabbiata con suo figlio. - le risposi, sorridendo quando la vidi sollevare le sopracciglia - Ce l'avevo con entrambi, ma principalmente con quel povero bambino. Mi sentivo come se Doris mi avesse messa da parte, come se solo io non le bastassi quando passavamo del tempo insieme, e che per questo si era portata anche suo figlio.»

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