Capitolo 38

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9 Dicembre 2017, Londra.

«Io non so più che fare.»

Mi sfregai un'ultima volta il viso con le mani prima di lasciarle cadere sul tavolo con un leggero tonfo: sapevo che i miei occhi dovevano essere spaventosamente rossi, un po' perché non avevo dormito, un po' perché erano giorni che mi sentivo uno schifo, per non parlare del fatto che mi bruciassero terribilmente.

Louis abbassò lo sguardo sulle sue mani poggiate sul tavolo e sospirò, ma lessi chiaramente dalla sua espressione quasi sconfitta che, quella volta, non aveva la più pallida idea di cosa dirmi, di cosa consigliarmi.

«Non lo so. - ammise infine, passandosi una mano tra i capelli - Non me la sento neanche di dirti di essere ancora paziente perché, porca puttana, sono settimane che lo sei. Eppure giurerei che quella incinta e che quindi dovrebbe avere continui sbalzi d'umore sia tu, non lui.»

«Non ho la più pallida idea di come comportarmi e cosa fare, ormai. - ripetei, questa volta prendendomi il viso tra le mani - Le ho provate tutte, Louis, tutte. Lui però continua a rifiutarsi di venirmi incontro o almeno di parlarmi di cosa cazzo gli gira per la testa.»

Dopo la notte insieme a casa sua, tutti i progressi che sembravamo aver fatto nell'ultimo periodo erano svaniti come se non ci fossero mai stati, facendoci fare quattro o cinque passi indietro invece che in avanti: era tornato a non parlare se non quando era strettamente necessario, a non toccarmi neanche per sbaglio, figuriamoci abbracciarmi o addirittura baciarmi, ed eravamo arrivati al punto in cui, nonostante si ostinasse a voler dormire insieme a me tutte le sere, si stendeva semplicemente di fianco nel suo lato del letto, voltato dal lato opposto rispetto a dove io mi trovavo, e si comportava come se io non fossi neanche lì, distesa nello stesso letto, a meno di un metro di distanza.

Come se non mi sentissi già uno schifo per la brutta aria che si respirava tra noi, dopo quella notte avevo cominciato a svegliarmi tutte le mattine con una nausea tremenda, che mi costringeva ad alzarmi dal letto a volte anche prima che il sole sorgesse per correre in bagno e vomitare: in quei casi, Harry si alzava insieme a me, mi reggeva i capelli, mi chiedeva se andasse tutto bene porgendomi un bicchiere d'acqua, e poi, dopo essersi assicurato che stessi meglio, si allontanava di nuovo senza dire nient'altro.

Quella mattina non era andata diversamente: mi ero svegliata alle cinque dopo essere riuscita ad addormentarmi solo un paio di ore prima, avevo fatto una corsa in bagno con Harry alle mie spalle, e poi ero scesa in salotto con una coperta stretta intorno alle spalle senza più riuscire a prendere sonno, aspettando che lui cucinasse una veloce colazione prima di prepararsi e andare - se avevo capito bene quando aveva mormorato prima di uscire - in studio con dei produttori.

Era ora mezzogiorno e la situazione non era cambiata poi tanto, poiché ero ancora in pigiama, avvolta nella coperta pesante e raggomitolata su una sedia al tavolo nel soggiorno mentre lui era ancora via, con l'unica differenza che ora ci fosse Louis a farmi compagnia.

«Ci ho provato anche io a parlargli, ma mi ripete sempre che "non è il momento" o che "non è dell'umore adatto". Non so proprio cosa fare, mi dispiace.» disse il mio migliore amico, in tono seriamente dispiaciuto.

Scossi la testa come per dire che non era colpa sua, ma in realtà non era colpa di nessuno. Sicuramente non mia, né della creatura che portavo in grembo, ma neanche di Harry stesso, perché non me la sentivo di dargli la colpa di qualcosa che stava provando, nonostante questa cosa stesse mandando completamente in pezzi il nostro rapporto.

«Devo prendere una decisione.» dissi, cercando di suonare decisa ma finendo solo per sentire i miei occhi bruciare, questa volta a causa delle lacrime che minacciarono, per l'ennesima volta, di riempirli.

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