6 Novembre 2017, Londra.
Tornare a Londra e scoprire che aveva piovuto per l'intera settimana e che non avrebbe smesso almeno fino alla prossima, decisamente non mi sollevò il morale già a terra per il solo fatto che la vacanza fosse ormai finita.
Non mi sentii assolutamente meglio neanche quando, una volta a casa, dovetti subito cominciare a mandare delle e-mail ai miei colleghi di lavoro per mettermi al pari, solo per scoprire che avevo ben tre verbali di tre riunioni straordinarie da leggere ed una montagna di lavoro da recuperare. Inoltre, il fatto che tra Londra e Los Angeles ci fossero ben otto ore di differenza, fece sì che il giorno dopo il ritorno quasi rischiassi di addormentarmi sulla sedia del mio ufficio; per fortuna quel venerdì fu l'unico giorno in cui avrei lavorato prima che arrivasse il week-end, perché sicuramente non avrei retto una settimana intera di pieno lavoro dovendo anche lottare contro il jetlag provocato dal fuso orario.
Dal lunedì, però, le cose cominciarono a migliorare, sia perché nei giorni precedenti il mio orologio biologico era tornato quasi alla normalità, sia perché passando sia il sabato che la domenica chiusa in casa ero riuscita a recuperare buona parte del lavoro arretrato di quei giorni.
Per questo, lunedì non era stata una giornata particolarmente stressante - anche perché, dopo tre giorni che non lo vedevo, ero anche riuscita ad incontrare Harry per poter stare insieme dopo il lavoro - ma dovetti ricredermi quando, mentre me ne stavo distesa sul mio letto a ridere mentre Harry lasciava baci giocosi sul mio collo, ricevetti una chiamata da parte di mia madre alla quale dovetti per forza rispondere, nonostante i suggerimenti del bellissimo ragazzo accanto a me di lasciar perdere.
«Pronto?»
«Eveline? Sei tu?» chiese mia madre, io roteai gli occhi al cielo.
«Hai chiamato il mio numero, quindi si, sono io.»
Mi voltai verso Harry e mi portai l'indice alle labbra per zittirlo quando cominciò ad emettere leggeri lamenti, finendo solo per dover trattenere una risata quando avvolse un braccio intorno al mio fianco e cominciò a lasciare una linea di baci lungo la mia spalla.
«Ah, si, hai ragione, hai ragione. Com'è andato il viaggio? Tutto bene?»
«Si, siamo tornati un paio di giorni fa. E' bella Los Angeles.»
«Lo immaginavo! Ho sempre detto a tuo padre di volerci andare, ma lui...»
Chiusi gli occhi, cercando di concentrarmi sulla voce di mia madre dall'altro lato del telefono piuttosto che sulle sue labbra tentatrici, spostatesi sul mio petto e che ora scendevano lente fino al mio seno da sopra la maglietta.
«Smettila.» mormorai quando sollevò l'indumento per scoprire la pancia, sentendo chiaramente il sorriso che curvava le sue labbra quando queste ripresero a cospargere di morbidi baci la mia pelle.
«Allora? Che ne pensi?»
La voce di mia madre riportò la mia attenzione alla telefonata, così aprii gli occhi e feci del mio meglio per cercare nella mia mente la domanda che doveva avermi fatto e che io non avevo chiaramente sentito.
«Ehm... Riguardo cosa?» chiesi infine, arrendendomi a cercare di capirlo da sola.
Lei sospirò, ma non disse nulla.
«Ho detto, che ne pensi di venire a mangiare qui a casa, domani sera? E' da un po' che non ci vediamo.» mi propose.
Questa volta fui io a sospirare, ma infondo sapevo che aveva ragione: l'ultima volta che avevo visto lei e mio padre era stato più o meno un mese prima, quando una domenica ero andata a mangiare da loro per pranzo, ma poi a parte un paio di telefonate a settimana era da un po' che non ci sentivamo.
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All That Matters
FanfictionSEQUEL DI "THE WORDS I NEVER TOLD YOU" «Tu la ami?» gli chiese in tono innocente. Vidi il ragazzo leccarsi le labbra e passarsi una mano tra i capelli, ma, quando capì che non avrebbe potuto continuare a non rispondere, chiuse semplicemente gli occh...