XXXIII ~ Secondo anno

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La fitta ombra degli alberi della foresta impediva ai raggi del Sole di irritare la pelle del Padrone: una pelle chiarissima, letteralmente bianca, persino più pallida di quella della bambina di cui era ossessionato.

Il Padrone camminava nel bosco, mostrando la sua forma umana, la forma che aveva fatto innamorare molte donne: non si poteva infatti negare che il Padrone fosse un bell'uomo, quando si mostrava appunto sotto forma di uomo.

Era alto, molto alto, e snello.

I suoi capelli erano nerissimi, lisci e lunghi, e gli occhi anche erano scuri, ma talvolta emettevano uno scintillio rosso.

Il viso era scarno ma armonioso, senza peli, così come il resto del corpo. Le mani dalle lunghissime dita bianche stringevano la bacchetta sotto la veste nera.

Stava andando verso la casa di uno dei suoi più vecchi servi ancora in vita: Arbor, un ragazzo umanoide che sarebbe stato in grado di estrapolare le emozioni di Sally, cosa che avrebbe fatto la Collana se qualcuno a lui ancora ignoto non l'avesse rubata.

Il Padrone si fermò davanti alla catapecchia che stava cercando: era una casa piccola, in mezzo alla foresta, poco più grande di una capanna.

Le nocche bianche bussarono tre volte alla porta di legno, e un ragazzo la aprì, fermandosi sulla soglia.

Apparentemente, Arbor sarebbe potuto sembrare una persona normale: i larghi pantaloni che indossava coprivano la sua parte di corpo animalesca, quella che lo rendeva un umanoide invece che un umano.

Era un ragazzo che mostrava circa diciotto anni di età, anche se in realtà ne aveva molti di più.

Il suo aspetto era selvaggio: se ne stava a petto nudo, i muscoli dell'addome e le spalle larghe ben in vista.

I capelli erano castano scuro, ricci, lunghi e sparati verso l'alto; gli occhi e la barba erano del medesimo colore, la pelle abbronzata.

«Padrone?» domandò, stupito.

Avrebbe preferito vedere chiunque altro, e letteralmente chiunque.

«Arbor... Cerchi ancora di mescolarti con la gente comune?» domandò l'uomo, osservando la casetta.

«A quanto pare sì.» rispose freddamente il ragazzo.

«Non ti va di vivere con la tua specie?»

«Lo sai che non posso.» Arbor parló con arroganza, dando anche del tu al suo padrone, cosa che lo avrebbe mandato su tutte le furie, in circostanze normali.

Ma quelle non erano circostanze normali: il Padrone aveva bisogno di Arbor, e doveva mostrarsi quando più gentile possibile.

«Già. Allora, perché non mi fai accomodare dentro?» chiese, e Arbor si scansó dalla soglia.

La capanna all'interno era poco illuminata, piccola ma pulita.

Un tavolino con due sedie prendeva posto al centro del salotto, e in un angolino c'era la cucina.

«Che cosa vuoi?» domandò il ragazzo all'uomo, che si era seduto al tavolo.

«Quanta ospitalità! Vedo che sei sempre il solito, Arbor.»

«A quanto pare. Ma mi sto mescolando bene con la gente comune. Adesso vado anche a scuola.»

«A scuola? In una scuola babbana?!»

LA BAMBINA DI NESSUNO - La Collana MaledettaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora