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« Ecco, lo studente trasferito, presentati. »

Ordinò un uomo, il cui viso, definito da delle rughe visibili, lo rendevano vissuto. Era forse un cinquantenne. Le sue ciocche di capello – un miscuglio tra onde grigie e nere – ricadevano, in parte, sulla fronte pallida, imperlata da goccioline di sudore.
Era pulito, di fatto, non aveva i baffi e non teneva neppure la barba lunga. E quei occhi socchiusi, a forma del frutto del mandorlo, erano scuri come la notte d'inverno. Vestito con eleganza, era imbacuccato in una camicia color grano, e a fasciare le sue gambe magroline e sì, tremolanti, c'era un pantalone tortora.
Lo studente accanto, si prese del tempo per studiare l'adulto, con i suoi occhi miele. Fino a quando non decise di spicciare parola e dunque, portare l'attenzione del resto della classe su di sé. « Piacere, sono Lee Yongbok. » disse tranquillo, passando uno sguardo noncurante da uno studente all'altro. I quali, invece, non fecero altro che bisbigliare.

« Non avresti altro da comunicare alla tua nuova classe? » chiese l'insegnante, osservandolo sorpreso, « No, cos'altro dovrei dire? »

« Uhm, non importa. Benvenuto al liceo Gwangjin. Prendi pure posto accanto a quella ragazza. » comunicò, e il biondo fece come detto.
Marciò, senza alcun timore delle occhiate indesiderate, verso il suo nuovo banco di scuola. Si sedette al fianco di una ragazza dalla capigliatura nera, corta sino alle spalle. Quest'ultima, sembrò non calcolarlo minimamente; nemmeno uno sguardo gli fu degnato. Anzi la compagna si mostrò disattenta ad osservare il cortile arido e sporco, situato nella zona centrale al piano terra.

« Studenti, comportatevi bene, sto andando nella sala insegnanti a prendere qualche poesia. » si raccomandò sparendo, come le bolle di sapone, dalla visuale dei ragazzi. I quali, non avendo mai temuto il professore, si misero a chiacchierare e a ridere.
« Ya chingudeul, ho sentito che la Kim è incinta! » annunciò uno di quelli in prima fila.
« Si sarà data da fare con il marito durante le vacanze primaverili. » il giovanotto al suo fianco, scoppiò in una grassa risata.
« Una bruttona come lei che fa la troia. Mi disgusta al solo pensiero. »

« Povera donna, avrà anche lei il diritto di potersi divertire. » ribatté la ragazza dagli occhiali neri da vista, con una frangia che quasi li copriva. Ma, nella frazione di tempo a seguirsi, si mise a ridere pure lei.

Dei cazzo di imbecilli, il biondino sospirò osservando i ragazzi davanti a sé. Erano soltanto i primi minuti con la nuova classe ma se n'era già stufato. Eomma, dovevi per forza scegliere una scuola piena di coglioni?

« Yah, Kim Hui Chan! »

All'interno dell'aula di medie dimensioni, era appena entrato un ragazzo alto dai capelli corvini. Le cui ciocche, cadevano, con malgarbo, sulla fronte sudaticcia. Aveva la classica divisa degli studenti, (con la camicia un poco sbottonata e la cravatta allentata), tra le mani teneva una palla da basket arancio. Il suo sguardo era maligno, e le sue labbra carnose erano incurvate in un sorriso bastardo. Parve cercare uno studente in particolare. « Hui Chan, dove sono i miei compiti di inglese svolti? » domandò, avanzando, pericoloso, verso un adolescente con gli occhiali che sedeva in fondo alla classe.

« M─ mi dispiace, avevo da studiare molte cose, e me ne sono completamente scordato. » si giustificò lo studente che di nome faceva Hui Chan. « Cosa hai detto? »

« Mi stai dicendo che te ne sei scordato solo perché avevi da studiare? » serrò i denti, tirando il poveretto per i capelli. E facendo, dunque, cadere la palla sul pavimento. « Mi dispiace. » balbettò ancora.

Eccoli, i classici bulli coreani. Ebbene sì, a differenza di quelli americani, i nostri sono a dir poco tremendi. Talvolta superano il limite, causando la morte di qualcuno. Pensò girandosi un attimo.

ANGER, HYUNLIX Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora