CAPITOLO 4 - Dove Finisce La Realtà

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Dove Finisce La Realtà

_Amelie_

Molto lentamente aprii gli occhi, vedendo tutto quello che mi circondava sotto quella strana velatura rossa. Restai calma ed immobile nel letto. Non avevo voglia di agitarmi, tantomeno di mettermi a gridare come l'ultima volta. A che sarebbe servito, se non a sprecare inutili energie? Quel velo scarlatto pian piano si stava dissolvendo, automaticamente, lasciando il mio campo visivo libero da quella fastidiosa coltre rossastra. L'elaborato orologio a dondolo appeso al muro, segnava le undici di mattina. Che strano, non ricordavo di essermi coricata tardi, eppure sentivo la testa leggera, quasi vuota, come se durante il sonno fossero svanite tutte le mie preoccupazioni.
Cos'è che era accaduto? Non riuscivo a ricordare.
Spostai di poco lo sguardo e, davanti a me, vidi Lamia seduta su una poltrona imbottita, poco lontana dal bordo del mio letto.
Strano.
Aveva i lunghi capelli biondi sciolti dietro la schiena e il volto affondato fra le mani. Sembrava disperata. D'istinto mi spostai in avanti, verso di lei, ma un dolore indescrivibile mi trafisse il collo, come una pugnalata in piena carotide. Urlai talmente forte da far crepitare i vetri delle finestre.

-Amelie! Piccola mia, stai bene?- domandò con voce ansiosa, quasi stridula.

-M-mi fa male il collo- cercai di dire, ma la mia mente era nel caos più totale.

-Madre, vi scongiuro... ditemi che cos'è successo!- le ordinai, sforzandomi di alzare la voce.

Dal canto suo, Lamia si limitò a fissare la fasciatura che mi cingeva il collo. I suoi occhi erano duri, furenti.

-Non ricordi proprio nulla?- sussurrò, distogliendo di colpo lo sguardo.

All'improvviso i ricordi vennero a galla; rivedevo attraverso gli occhi della mente lui, il mio promesso sposo, allacciato convulsamente alle cosce di quella donna. Poi un altro flusso di immagini spezzettate. La notte, il buio, il giardino immerso dalle ombre... quella paura indescrivibile e la costante sensazione di essere spiata. Sentivo tutte quelle emozioni in modo amplificato, vivido, intenso. Come se le stessi rivivendo una seconda volta. Mi portai istintivamente entrambe le mani alla nuca, piegandomi in avanti dal dolore. Mi stavo sentendo male, avevo la nausea e la testa mi girava in continuazione. No, non volevo ricordare. Eppure fu impossibile arrestare il flusso dei pensieri che mi riportarono alla memoria l'individuo dagli occhi scarlatti. Lasciai cadere le mani sulle coperte e rimasi per molto tempo in silenzio, con lo sguardo fisso sulle mie dita. Ci volle un po', ma alla fine trovai la forza per parlare.

-Cos'erano, quegl'esseri?- sussurrai a fil di voce.

Lamia prese la mia mano, stringendosela forte tra le dita.

-Li chiamano Ghuldrash.- rispose. -Belve divoratrici di carne umana. C'è stato un tempo in cui erano ancora esseri umani...-

-Ma cosa state farneticando, madre?- chiesi sconvolta dalle sue affermazioni.

Doveva essersi scolata come minimo una bottiglia di sherry a stomaco vuoto per vaneggiare simili sciocchezze con tanta naturalezza.

-Non sto delirando, bambina mia. Tu mi hai fatto una domanda e io ho semplicemente risposto. I Ghuldrash sono un pericolo reale. Li hai visti tu stessa con i tuoi occhi, no? Non puoi negarlo.-

Ci fu un lungo minuto di silenzio e da una parte, dovetti ammettere di sentirmi rincuorata. Più volte avevo temuto di aver perso il senno, ma a quanto sembrava quelle creature non risiedevano solo nei miei incubi. Esistevano veramente.

-E questa...- dissi indicando la ferita. -Anche questa, è opera loro?-

La mamma strinse i pugni e scosse il capo.

Rosso Scarlatto - Prima Parte: Virgo IntactaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora