CAPITOLO 29 - Il Padrone

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Il Padrone


_ Amelie_


Risvegliarsi fu come riaffiorare dalle acque, aprire i polmoni e respirare.

Sentivo l'adrenalina corrermi nelle vene, il sangue prender fuoco per poi trasformarsi in lava. Avevo fame, sete e un costante bisogno di prender fiato, come se l'aria non fosse mai abbastanza.

Spaventata da quel terrificante senso di soffocamento, spalancai gli occhi.

Il buio mi avvolgeva nel suo gelido abbraccio.

Non avevo idea di dove fossi, né perché mi trovassi lì, ma nonostante lo shock iniziale, riuscii a calmarmi. I battiti cardiaci rallentarono, il respiro si regolarizzò e tutto tornò alla normalità. O quasi.

Ricordavo di aver viaggiato a lungo, con il corpo che sobbalzava da una parte all'altra, disteso su qualcosa di scomodo. Poi il vuoto più assoluto.

Con un notevole sforzo di volontà, mi girai su un fianco.

Ero sdraiata in un grande letto, sotto pesanti coperte di velluto. Un flebile nastro di luce ambrata filtrava attraverso la stoffa delle tende, rendendo visibili i contorni di una grande stanza quadrangolare.

Afferrai alcuni lembi di tessuto, dopodiché feci leva sulle braccia per portarmi a sedere.

<< M-miguel?>> gracchiai, rivolta al nulla.

La mia voce era roca, bassa, impastata dal sonno.

Feci vagare ansiosamente lo sguardo all'interno dell'ambiente, trovandovi null'altro che una moltitudine di mobili impolverati e dalle fattezze antiquate. Un imponente guardaroba intagliato, risalente al quindicesimo secolo, si trovava di fronte al mio letto, mentre grandi quadri raffiguranti paesaggi e nature morte, decoravano pregevolmente le pareti di nuda pietra.

<< Miguel?>> insistetti, << Ti prego, rispondimi!>>

Ma il silenzio fu molto più eloquente.

Scansai le lenzuola di lato e mi portai in piedi.

Una leggera vertigine fece roteare la stanza, ma in qualche modo riuscii a non cadere.

Sulla sinistra, c'era un vecchio specchio dalla forma rettangolare addossato alla parete. Per un solo istante, la pallida figura riflessa al suo interno mi spaventò.

Avevo un aspetto orribile: ero spettinata, trasandata; le mie guance apparivano segnate da alcuni graffi, mentre le mie labbra erano screpolate, esangui, quasi cadaveriche.

Ma dov'erano finiti i miei abiti?

Fissai a lungo la ricca vestaglia di seta che mi fasciava la pelle: le lunghe maniche mi coprivano i polsi e l'orlo toccava terra. Era un capo indubbiamente bellissimo, ma troppo grande per me. A giudicare dalla misura, doveva appartenere ad una donna molto più alta.

Sospirai a fondo, poi feci un passo in avanti, in direzione dello specchio. Posai una mano sulla sua superficie; era liscia e fredda, poi spostai l'indice verso l'alto, come per toccarmi i solchi sulle guance.

Rabbrividii.

Il ricordo di quella donna non voleva abbandonarmi: rivedevo con gli occhi della mente le sue unghie affilate scalfirmi la pelle, i suoi occhi baluginare e il suo sorriso allargarsi crudelmente. Ordinai a me stessa di non pensarci.

Volevo solo dimenticare, scordarmi di tutto.

Così, ricacciai indietro le lacrime e i brutti pensieri, focalizzando l'attenzione sulla stoffa che mi ricopriva la pelle.

Rosso Scarlatto - Prima Parte: Virgo IntactaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora