CAPITOLO 53 - Delirium

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Delirium

_ Miguel_

Un rullo di tamburi invase l'aria.
Non saprei dire per quanto tempo rimasi semplicemente lì, in ascolto, ma ben presto al mormorio sommesso di quell'unico strumento se ne aggiunse un secondo, un terzo... poi un altro ancora.
Col passare dei minuti, i fragori si fecero più forti e stridenti, sovrapponendosi l'un l'altro in una danza misteriosa, atavica, incalzante.
Sempre più sfrenata.

" Ma cosa...?" pensai in preda alla confusione.

Non c'erano pause, nessun tipo di regola; battuta dopo battuta, il ritmo cresceva vertiginosamente, mutando schema con la stessa volubilità del vento.
Era un continuo innalzamento di volume, di ritmo, di tono; una scia inarrestabile, che mi trapassava i timpani con immane violenza, senza pietà, stritolandomi le tempie in una morsa dilaniante.
Tuttavia, qualcosa non andava.
Ci fu una violenta esplosione... e di nuovo un'altra.
Poi venne lo strazio sotto forma di suono.
Quello vero, stavolta.
Sentii le urla dei tamburi alzarsi di botto, accrescendo sempre di più, a dismisura, fino a tramutarsi in qualcosa di orripilante.
Intontito e fortemente provato, sbattei le palpebre più e più volte, come a volermi risvegliare definitivamente da quel brutto sogno, ma era tutto inutile... non ci riuscivo.
L'incubo non voleva cessare.
Allora cominciai a guardarmi in giro alla ricerca di una via di fuga, di uno spiraglio di speranza, di qualsiasi cosa!
Ma come trovarla?
Non c'era niente intorno a me, assolutamente nulla!
Solo immense distese di tenebra che si disperdevano a vista d'occhio; una landa desolata, buia, priva di gravità, dove sembrava quasi che il mio corpo fluttuasse nell'aria.
Senza peso.

<< Smettetela!>> ringhiai.

La mia voce era roca, storpiata, come il latrato agonizzante di una bestia ferita.

<< Che cosa volete?>>

Di tutta risposta, sentii le grida dei tamburi calare drasticamente, fino a disperdersi nell'aria; c'erano solo sussurri adesso, bisbigli gorgoglianti, smorzati ed astiosi, come maledizioni intessute sottovoce.

<< Chi siete?>> urlai verso l'ignoto, << Venite fuori!>>

Udii l'eco della mia voce protrarsi nello spazio vuoto, senza però incontrare alcuna barriera.

Ero solo, sì.
Solo.
Ma c'era qualcosa che non mi tornava: da dove provenivano quei mormorii?
Erano così lontani... eppure incredibilmente vicini, tanto da poter sentire il loro ronzio risuonarmi costantemente nelle orecchie.
Al loro interno, come se il suono non provenisse da fuori, ma dal centro esatto della mia scatola cranica.
E rombava, urlava, scavava... affondando sempre di più quella scure invisibile nel mio cervello.

"Sto diventando matto!" mi dissi.

Non poteva essere altrimenti.
Ma oltre al senno, avevo l'impressione di aver perduto anche ogni ricordo inerente al passato.
La mia testa era un recipiente vuoto, leggero.
Una tabula rasa.
E non riuscivo a venirne a capo!
Tutti i miei tentativi fallivano dopo pochi istanti, ed era svilente, doloroso, nauseante.
Per quanto mi sforzassi, la mia memoria rimaneva com'era e più cercavo di riportarla a galla, più i tamburi ritornavano a martellarmi nelle tempie. Non c'era modo di farli smettere.
Allora chiusi gli occhi, nella vana speranza di domare tutto quel caos, tuttavia... l'unica cosa che riuscii a fare, fu percepire quelle grida farsi sempre più vicine.
Ma dov'erano finite le prigioni?
E le catene e... le sbarre?
Fui letteralmente folgorato da quei pensieri improvvisi, tuttavia, non trovai alcuna spiegazione.
Di quali prigioni stavo parlando?
Quali catene, quali sbarre?
Dannazione!
C'era qualcosa che mi bloccava e non riuscivo a ricordare!
Non ce la facevo... e in preda allo sconforto, cominciai ad urlare e girare su me stesso come una trottola impazzita.
Così presi a correre con tutte le mie forze, disperatamente; alla ricerca di cosa, però, non avrei saputo dirlo.
Mi lasciavo guidare dalle voci, dalle grida, dai tamburi.
Oltre l'orizzonte di cui non vedevo la linea, oltre la fatica, oltre lo sfinimento.
Senza mai fermarmi.
Avrei potuto proseguire così per ore, forse per giorni, ma all'interno di quella dimensione il tempo si dilatava e restringeva a suo piacimento.
Non c'erano certezze, né tanto meno regole.
La relatività regnava sovrana.
Quindi non mi sorpresi quando lo spazio che mi gravitava intorno iniziò ad alterarsi, fino a cambiare forma e colore.
Dal vuoto al pieno, dall'aperto al chiuso.
Ora non potevo più correre: alte mura in laterizio m'ingabbiavano all'interno di una camera circolare, dal tetto basso, illuminata a malapena dalla calda luce aranciata delle candele.
Mi guardai intorno con aria circospetta, il cuore che ancora galoppava nel petto come un cavallo imbizzarrito.
La stanza in cui mi trovavo era spoglia, le pareti nude.
Solo il pavimento guizzava di vita, cosparso com'era di lumi e candelabri.
Sembravano indicarmi una via, un sentiero, una sorta di strada da percorrere.
Restai fermo a fissare le fiamme per un po', affascinato, poi spostai lo sguardo sulla porta che mi stava di fronte.
Era enorme e somigliava vagamente a qualcosa che avevo già visto in precedenza, sì... ma dove?
Un altro ricordo che mi sfuggiva fra le dita, come granelli di sabbia dalla consistenza troppo fine.
Con circospezione, decisi di avvicinarmi d'un passo alla mastodontica superficie in bronzo, poi di un altro ancora.
Le bizzarre figure che vi erano ritratte sopra sembravano incredibilmente realistiche, dinamiche, guizzanti, come se da un momento all'altro la materia in cui erano state scolpite potesse prendere vita.
Si trattava di corpi giovani, scalpitanti: Angeli e Demoni dalle membra eternamente intrecciate.
Sublimi, nei loro volti di bronzo.
Grotteschi, infinitamente terrificanti.
Sollevai una mano per saggiare la fredda durezza del materiale, ma non appena sfiorai la superficie della porta, i cardini cigolarono e la maniglia si abbassò.
Non c'erano più tamburi adesso ad infestare l'aria, nessuna voce stridente.
Solo un quieto silenzio, del tutto irreale.
Ma cosa si trovava dall'altra parte?
Mi mossi in avanti, quasi alla cieca... e fu come immergersi in una pozza d'acqua torbida.
Melmosa.
Oltrepassai la soglia senza nemmeno rendermene conto, dopodiché... fui investito da un immenso calore.
Potevo sentire il mio corpo sciogliersi e bruciare, scosso da spasmodici sussulti, come se una scarica letale di elettricità mi stesse trapassando da parte a parte.
Quel dolore immane si propagò ovunque, simultaneamente, mentre miliardi d'immagini, voci e sensazioni perdute s'affollavano con velocità sovrumana all'interno della mia testa.
Ed era il delirio, sì.
La cacofonia come pura essenza del caos.
Una pietra rossa brillava incastonata nell'oro, una mano la reggeva, finché non fui sommerso da un'infinità di volti, di nomi, di significati.
Vidi corpi spezzati imputridirsi ai miei piedi, arti mutilati, poi ancora morte, sangue e gole recise di netto.
Le scene più cruente e disparate s'intervallarono davanti ai miei occhi, in modo confuso, per poi lasciare spazio ad un'unica immagine che spazzò via tutto il resto.
Ed era come perdersi nella contemplazione del Paradiso, mentre un nettare delizioso, più dolce dell'Ambrosia, incendiava subdolamente le mie narici.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 16, 2016 ⏰

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