CAPITOLO 5 - Al Chiaro di Luna

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Al Chiaro di Luna

_ Amelie _

Durante la giornata non avevo fatto assolutamente nulla, se non poltrire nel letto ed assumere strane medicine. Il dottor Ravaléc era stato molto chiaro: evitare di alzarsi dal letto e non fare sforzi di alcun genere... il che significava, oziare dal mattino alla sera. Non che mi dispiacesse, ma dopo un po' il "dolce far niente" diventava noioso e l'ultima cosa di cui avevo bisogno era restar troppo tempo da sola con i miei pensieri. Soprattutto perché l'immagine di quel Miguel, non faceva altro che tormentarmi.
Verso le cinque del pomeriggio, Lamia e James vennero a farmi visita. Eva, che si trovava già nella mia stanza, accolse allegramente i genitori abbracciando prima il padre e baciando delicatamente sulla guancia la madre. Ma Lamia aveva l'espressione corrucciata e non diede molta importanza alle dimostrazioni d'affetto della figlia. James, accortosi della reazione delusa di Eva, posò una mano sulla spalla della moglie e incitò Lamia a parlare.
-Perdona tua madre, Eva. Ma abbiamo brutte notizie.- proruppe James al posto di Lamia, che continuava a fissarmi con un'espressione indecifrabile.
-Cos'è successo?- chiesi un po' timorosa.
Lamia sospirò e appoggiandosi al braccio del marito, cominciò a parlare. -Il fidanzamento è stato annullato.- disse.
Eva per lo stupore fece cadere a terra il vaso a cui stava cambiando l'acqua.
-C- cosa?- sibilai incredula.
-Hai sentito bene, bambina mia...- affermò James tirando fuori dalla tasca del panciotto un biglietto firmato dal Adam. Lamia strappò il foglio dalle dita guantate del marito e si avvicinò per mostrarmelo. Afferrai quel pezzo di carta come se fosse stato cosparso di veleno e con prudenza, lo aprii per svelarne il contenuto.
Era una lettera di scuse, inviatami dai genitori di Adam, che spiegava, oltre all'inadeguatezza del figlio, anche i motivi che l'avevano spinto a diventare mio marito. Sottolinearono più volte di averlo diseredato; non solo per la sua cattiva condotta ma, soprattutto, per l'affronto che aveva mosso a me e a tutta la mia famiglia.
Alzai lo sguardo verso di Lamia; evidentemente lei si aspettava una qualche mia reazione dovuta alla disperazione o all'umiliazione di essere stata abbandonata, ma io non reagii. Rimasi muta a fissare le pareti dietro di lei che, a mano a mano, si tingevano di dei colori pomeridiani.
-Oh, Amelie... Mi dispiace tanto. Deve essere dura per te.- bisbigliò Eva che aveva letto la lettera alle mie spalle.
-No, non preoccuparti. Non fa niente.- affermai con tranquillità.
Stavo bene. Non sentivo il bisogno di piangere semplicemente perché non avevo più lacrime da versare. Soprattutto per uno come Adam. Nel pensarci mi venne quasi da ridere, anzi dovetti proprio trattenermi per non farlo. Dopo quello che avevo scoperto la sera precedente, ero pronta a far finta di niente e sposarlo comunque, perché infondo, ne ero sempre stata innamorata. Ma ora, la notizia che non mi volesse nemmeno come copertura per le sue scappatelle... era degradante. Valevo così poco?
Come avevo potuto immaginare di sposare Adam accontentandomi esclusivamente della nostra unione sulla carta? Un matrimonio solido era fondato su ben altro. Non sulla convenienza e la totale sottomissione, ma bensì sull'amore, la fiducia ed il rispetto reciproco, cose di cui ero testimone giorno dopo giorno osservando Lamia e James.
Affranta, mi lasciai cadere all'indietro, battendo la schiena sul materasso morbido e caldo. Non volevo avere nessuno intorno. Nemmeno i miei famigliari... anzi, soprattutto loro. Sorrisi debolmente e congedai tutti quanti dichiarando di avere un tremendo mal di testa. Per mia fortuna, nessuno osò contrariarmi.
Rimasta sola nella stanza, decisi di alzarmi una vota per tutte dal letto, per andare alla finestra e ammirare il tramonto con le sue sfumature vermiglie. Molto presto però, mi accorsi che quel colore purpureo mi dava la nausea. Non volevo ricordare l'aggressione subita da quei mostri ma fu quasi impossibile fermare il flusso dei miei pensieri. Poi, dall'alto, notai che con i suoi ultimi raggi, il tardo crepuscolo estivo illuminava un cespuglio di rose bianche appena sbocciate.
Rimasi un po' di tempo appoggiata al davanzale, ma poi decisi di uscire.
Che senso aveva restare chiusa in camera a crogiolarmi nel dolore?
Proprio non ce la facevo. Avevo bisogno di distrarmi, di pensare ad altre cose, di dimenticare tutto e ricominciare da capo. Volevo concentrarmi solo sulle cose belle della vita, accantonando tutto ciò che mi feriva. Con un po' di fatica riuscii ad infilarmi la vestaglia sulla camicia da notte e, una volta fuori dalla mia camera, scesi le scale a rilento, sperando che non mi colpisse una vertigine.
Non conoscevo bene la mia malattia; Lamia non me ne parlava mai, ma in cuor mio, sapevo che c'era. I dottori continuavano a chiamarla "anemia", ma sospettavo che si trattasse di qualcosa ancora più grave. La sentivo sempre in agguato, come un predatore in attesa del momento giusto per attaccare. Ogni tanto mi capitava di svenire, avere piccoli capogiri e sentirmi debole come un fuscello. Altre volte ancora sopraggiungevano improvvisi attacchi di febbre. Ora che quel mostro di Miguel mi aveva quasi dissanguato... non osavo nemmeno immaginarne le conseguenze.
Arrivata in giardino, cercai con lo sguardo quel cespuglio in fiore, candido come la neve. Il cielo si andava via via imbrunendo ma questo non impedì al biancore delle rose di risplendere nel buio. Ero ansiosa di raggiungerle, tanto che accelerai il passo e, senza accorgermene, inciampai su un dislivello del terreno finendo col sedere a terra. Mi sbrigai ad alzarmi e con una strana ansia nel cuore, ripresi la ricerca, non curandomi della perdita delle pantofole.
"Devo sbrigarmi!" pensai fra me e me.
Ma cosa mi stava accadendo?
Forse, per via dell'oscurità, il mio cuore stava diventando sempre più inquieto. Raggiunsi il cespuglio ansimando per la corsa e spinta da chissà quale pensiero, presi una delle rose spezzandone il gambo. La tirai via con violenza, talmente forte che mi ferii le dita con le spine. Stranamente, non provai dolore ma piacere. Il sangue si addensò sulla puntura per poi scivolare velocemente sulla pelle e scendere a piccole gocce sui petali candidi della rosa. A quella vista, la gola cominciò a farmi male e con sorpresa, mi resi conto che più tingevo i delicati petali di rosso e più la rosa diventava bella, incredibilmente eterea e fragile. Completamente ammaliata da quella visione, e senza nessun nesso logico, cominciai ad insistere su più punti della ferita facendo uscire una maggiore quantità sangue. Provai un'inquietante soddisfazione nel vederlo sgorgare. Poi, una sensazione strana, elettrica, mi fece accapponare la pelle. Ero così stordita, e allo stesso tempo eccitata. Improvvisamente, il mio corpo si mosse da solo. Afferrai con forza la rosa - non curandomi delle spine che si erano infilzate sul mio palmo - , e leccai bramosamente ogni goccia di sangue che si era posata sui petali bianchi.
Ma non mi bastava.
Gettai furiosamente la rosa a terra, avventandomi sulle ferite che mi ero appena procurata. Mi sentivo strana... il mio sangue, era strano. Caldo, denso e delizioso. Aveva un sapore particolare, sapeva di ruggine e di miele mischiato a qualcos'altro impossibile da identificare. Possibile che fosse così buono? Cominciai a sentire caldo. Lasciai stare la mano ferita e con un gesto fluido, slacciai la vestaglia, facendomela scivolare addosso e cadere a terra. Feci un passo in avanti alzando lentamente gli occhi al cielo. Davanti a me, c'era solo la luna. Non vedevo altro che lei. Il mio sguardo rimase incollato sulla sua superficie argentea, e rapita da quella candida bellezza, mi arrampicai su una panchina di pietra, alzando il braccio verso il cielo.
Volevo sfiorarla, toccarla, prenderla e cullarla tra le mie braccia. Lei era lì per me, lo sapevo. Ecco, mi bastava allungare la mano un po' di più per avere quasi l'impressione di afferrarla... c'ero quasi, ma qualcosa mi tirò giù, facendomi barcollare.
Era Lamia.
-Amelie! Amelie!- gridava, mentre ignorandola, continuavo a fissare l'astro che splendeva alle sue spalle.
-Amelie! Che cosa ci fai qui?! È notte! E...- d'un tratto si interruppe bruscamente.
Sentii le sue mani scuotermi con forza, ma la luna non voleva lasciarmi andare.
-Per l'amor del cielo, riprenditi!- mugolò arrivando persino a schiaffeggiarmi.
-Non guardare la luna!- urlò con tutte le sue forze... ma non volevo distogliere lo sguardo.
Non capiva che era impossibile, per me?
D'un tratto qualcuno mi sollevò da terra, portandomi via. Cominciai a scalciare e a dimenarmi furiosamente. Con gli occhi cercavo il cielo, ma prima che potessi accorgermene, mi avevano bendato. Poi, colsi un profumo famigliare, simile all'odore delle rose. Lasciai che quella fragranza mi avvolgesse completamente, come un candido velo. Dopodiché, mi abbandonai a quel dolce abbraccio sentendo il mio corpo sempre più leggero, quasi fluttuante.
Chiusi gli occhi, perdendo lentamente i sensi.
Che cosa bizzarra... mi ero dimenticata persino della luna.

Rosso Scarlatto - Prima Parte: Virgo IntactaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora