CAPITOLO 40 - Tempo Di Confessioni

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Tempo Di Confessioni

_ Miguel_

Il buio si alternava ritmicamente a fievoli bagliori; i guizzi di fiamma a profonde campiture scure, mentre tutt'intorno regnava il caos.
Ovunque posassi lo sguardo, non c'era altro che rumore, disordine... pura anarchia.
Un vortice asfissiante, fatto di voci, membra intrecciate e mani smaniose.
Rapaci.
Quasi degli artigli.

- Sterminatore!- mi sentii chiamare.

Ma non me ne curai, anzi.
Continuai imperterrito il mio cammino, passando attraverso quelle braccia protese, allungate come tentacoli oltre le sbarre. 

- Sterminatore!- continuarono.

Tuttavia i suoni erano confusi, indefiniti, meri mormorii nel miasma delle prigioni.
Si trattava per la maggior parte di assassini, ladri, stupratori... la peggior feccia dell'umanità.
Non rientrava nei miei compiti occuparmi di loro, ma quando scarseggiavano i Ghuldrash da abbattere, la Prima Legione pretendeva da parte mia l'assolvimento di incarichi meno pericolosi... come quello di "giustiziere".
Al solo pensiero, soffocai una risata.
Giustiziere...
Ma di cosa? Per conto di chi?
Dell'Ailthium?
Un'organizzazione segreta, belligerante , dalla storia millenaria... ma estremamente corrotta, fino al midollo.
Per quanto i suoi ideali potessero fregiarsi di nobili intenti ed agognare alla salvezza, le sue fondamenta erano marce, imputridite, sul punto di crollare su sé stesse.
Purtroppo, si trattava unicamente di una questione di tempo.
I primi grandi pilastri avevano già cominciato ad incrinarsi.

- Non restare lì impalato!- vociò Angus, distogliendomi dai miei pensieri.

Con una sferzata poderosa, strattonò la catena che mi teneva legati i polsi, forzandomi ad avanzare dietro di lui.
Un prigioniero sputò a terra, catturando nuovamente la mia attenzione.
Per qualche strana ragione, non riuscivo a staccare gli occhi dai suoi.
Pover'uomo...
Per colpa del suo stile di vita efferato, in un modo o nell'altro si era ritrovato a pestare i piedi dell'organizzazione, la quale, senza remore, si prodigava affinché queste persone svanissero.
Nel nulla, nell'oblio, come spettri di anime dannate.
Ed ora li osservavo, sì.
Facevo scivolare lo sguardo sui loro volti sporchi, sudati.
Una sottile patina di lerciume rendeva la loro pelle scura, quasi nera, mentre i capelli avevano preso le sembianze di un'unica una massa solida e collosa.
Come feroci animali da circo, se ne stavano accalcati nelle loro gabbie, circoscritti dal perimetro delle sbarre d'acciaio.
Lo spazio era troppo poco, troppo angusto.
Claustrofobico.
A stento riusciva a contenere quella moltitudine spropositata di carne e sangue.
Ma non era finita lì.
Lo sapevo fin troppo bene.
Quella era solo l'anticamera delle carceri. Una sottospecie di limbo, un luogo indefinito.
Di passaggio.
Le vere prigioni avevano inizio più in basso.
Scortato da quel figlio di puttana di Angus, discesi una lunga scalinata, finché l'ennesimo filare sterminato di gabbie riempì la mia vista.

- Ti ricordi di loro?- ghignò il bastardo, facendomi strada con una torcia.

La flebile luce delle fiamme rischiarò le pareti in pietra, prive di finestre, gettando a terra il profilo traballante delle nostre sagome.
La sua domanda rimase in sospeso, ma non gli risposi.
Non a voce.
Mi limitai semplicemente a guardarlo storto, con strafottenza, annuendo con un lieve cenno del capo.
Per chi mi aveva preso?
Ovviamente li ricordavo tutti.
Conoscevo i loro nomi a memoria, ogni dato perfettamente registrato, catalogato ed immagazzinato.
Un marchio indelebile, impresso a fuoco nella mia corteccia celebrale.
Senza proferir parola, io e quell'energumeno ci spostammo nelle ombre.
Le sue grosse dita strette intorno al catenaccio che mi legava i polsi.
E tirava.
Con forza, il fiato mozzo per la fatica.
Angus era famoso per la sua forza, era un generale... un alto ufficiale!
Ricopriva una delle cariche maggiori all'interno della Legione, ma in quanto ad intelligenza... di certo non brillava. Avevamo lavorato fianco a fianco infinite volte, conoscevo molto bene l'entità della sua potenza, ma era pur sempre un umano. Potevo schiacciarlo come e quando volevo.
Il problema era che... purtroppo, non potevo.
Quei bastardi tenevano Amelie come ostaggio, e bastava un passo falso da parte mia, per metterla in pericolo di vita.
Maledetti bastardi...
Mi controllavano, sì... ma attraverso un fottutissimo ricatto!
Senza nemmeno rendermene conto, passammo nel mezzo di un lungo corridoio, tra due fila parallele, fatte di sbarre d'acciaio e rigidi portoni in ferro battuto.
Il baccano laggiù era ancora più assordante.
Doloroso.
Mi faceva fischiare le orecchie, sovraccaricandole di una quantità eccessiva d'informazioni.
C'era chi imprecava, chi malediceva il mio nome, chi semplicemente non riusciva a trattenere le urla per la disperazione. Era il delirio, la follia, la bocca dell'inferno.
Poi ogni cosa si spense, le urla cessarono e la stridente cacofonia s'affievolì in sussurri sempre più lontani.
Angus si fece di lato, la torcia puntata in avanti, la luce ingurgitata completamente dall'oscurità.
C'era silenzio ora.
Forse fin troppo.
Ma la quiete durò solo pochi attimi; il tempo d'un sospiro, di un fremito, di un battito di ciglia.
Adesso non c'erano più le gabbie, nessuna cella addossata alle pareti.
Solo il vuoto.
Un baratro immenso, oscuro... una gola che sprofondava sempre più in basso.
Sempre più giù... nelle tenebre.
Tra le viscere della terra.

Rosso Scarlatto - Prima Parte: Virgo IntactaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora