CAPITOLO 6 - Oltre La Porta

939 47 11
                                    

Oltre La Porta

_ Amelie_

La luce tenue delle candele illuminava a malapena la stanza e si rifletteva sulle pareti tingendole con diverse sfumature, che variavano dall'arancio all'ambra e nei punti più in ombra anche al rosso.
L'atmosfera era calda, densa, talmente carica di elettricità che sentivo la pelle frizzare a contatto con l'aria. Quella luce soffusa riempiva di riflessi dorati i suoi capelli scuri, che in certi punti si univano ai miei, dando origine a strani disegni sulle lenzuola candide. Avevo gli occhi lucidi, sbarrati per la paura, e le pupille dilatate. Il mio corpo scottava e il cuore -che già da prima batteva a mille- ormai aveva preso il volo, incitato dalla vicinanza di Miguel.
Oh, Miguel... Il suo bel corpo sovrastava possente il mio, fungendo da gabbia e le spalle ampie da mura invalicabili. Sapevo di dover lottare con tutte le mie forze, ma la paura mi aveva pietrificato. Intanto lui continuava a fissarmi intensamente, divorandomi con lo sguardo.
Aveva gli occhi scarlatti, affamati... desiderosi di sangue.
Infinitamente provocanti.
Schifata dai miei stessi pensieri, cercai di girare il capo dall'altra parte ma lui si avvicinò costringendomi a guardarlo in faccia. Le sue labbra erano così vicine, tanto da poter sentire il suo respiro fresco infrangersi sulla mia pelle come una brezza primaverile.
Improvvisamente, mi scoprì il seno, arrivando quasi a strappare la stoffa della camicia da notte. Lo spacco della scollatura era aperto e frusciava, oscillando convulsamente mente alzavo ed abbassavo il petto. Ma non provai vergogna, ero troppo scioccata. Appuntò il rosso rilucente dei suoi occhi sulla pelle nuda del seno. Sembrava volerlo divorare, strappando quella carne soffice a morsi.
Oh, di nuovo i suoi occhi. Erano profondi, voraci... incredibilmente penetranti.
Mi mancava l'aria.
Ero terrorizzata e allo stesso tempo sentivo salire dal basso una strana eccitazione. Provai a respingerlo, scalciando e graffiando la sua pelle ma i miei colpi parevano carezze.
Miguel, dall'alto della sua posizione, mi cinse con le braccia, immobilizzandomi dapprima con una mano e successivamente, insediando una gamba fra le mie cosce.

-Farai meglio a stare zitta, ragazzina- sussurrò dolcemente, la voce vellutata come una carezza.

Scese sul mio collo e con i denti strappò via la benda che lo cingeva.
La ferita cominciò a pulsare, sia per il contatto con l'aria che per la sua lingua che con delicatezza spaziava da un forellino all'altro.
Sentii un brivido correre su tutto il corpo e, subito dopo, le fiamme tornarono a infuocarmi la pelle.
Socchiuse le labbra, le sue zanne acuminate brillarono, i suoi occhi scarlatti scintillarono e ... No!

---

Mi svegliai di colpo, inzuppata di sudore fino al midollo. Sconvolta, cominciai a guardarmi intorno col timore di trovare Miguel nella stanza. Fortunatamente lui non c'era. Dovevo aver fatto nuovamente uno strano sogno. Il mio inconscio faceva brutti scherzi ultimamente. Avevo i sensi così eccitati che non sarei riuscita a dormire nemmeno con una dose di sonnifero per cavalli. Ma dovevo assolutamente riprender sonno. Sapevo che se fossi rimasta sveglia, i miei pensieri avrebbero preso una strana piega e non volevo. Così senza accorgermene portai una mano al collo e quando tastai la parte ferita, mi accorsi che la fasciatura era scomparsa.
"Che strano..." pensai.
Doveva certamente essersi staccata mentre dormivo. Cercai la benda ovunque per poi ritrovarla sotto le coperte. Sembrava che l'avessero strappata a morsi. Incredula, mi guardai il petto e vidi la camicia da notte aperta, i bottoni a malapena si reggevano nelle asole e il seno era scoperto. Un brivido di terrore mi corse lungo la schiena.
Quel sogno ... era stato il frutto della mia fervida immaginazione, vero?

_ Miguel_

Chiusi l'arma con un semplice gesto, spingendo la pietra rossa verso l'interno. Avevo ripetuto quell'azione così tante volte, da svolgere tutto in automatico, senza riflettere. Mi portai il ciondolo al collo e lo nascosi sotto il colletto della camicia. L'oro che lo placcava era freddo, e la pietra rossa che giaceva al suo interno ancora grondava sangue. Meglio che nessuno la vedesse.
Schifato, mi guardai dapprima le mani incrostate di sangue e poi i vestiti logorati dalla battaglia.
"Peccato" pensai, quel completo mi piaceva. Sbuffai in modo seccato. Neanche tre bagni consecutivi sarebbero riusciti a togliermi di dosso quella puzza infernale: un odore tanto sgradevole quanto pesante, opprimente come il peso del cielo. Questa volta però, quegli esseri ripugnanti mi erano parsi differenti, più deboli forse?
I loro corpi giacevano ancora a terra, distesi in modo scomposto, privi di vita. Quei Ghuldrash in poco tempo avevano cominciato a decomporsi, per poi polverizzarsi e svanire nel nulla lasciando il pavimento imbrattato di sangue. Feci un lungo sospiro e con fare annoiato, mi diressi verso gli appartamenti assegnatimi dalla contessa Lamia per soggiornare all'interno della villa.
Fortunatamente, la comparsa di quei mostri mi aveva impedito di azzannare per la seconda volta il collo di quel "Piccolo Tarlo". Maledizione, ci ero andato veramente vicino... qualche secondo di ritardo e l'irreparabile sarebbe accaduto. Non volevo pensarci, ma per una volta quelle carogne erano apparse nel luogo giusto al momento giusto. Certo, mi era costato tempo e fatica ammazzarli tutti, però dovevo ammettere che in fondo, erano serviti per sbollire non solo la rabbia, ma anche la fame.
Scesi le scale e mi ritrovai al secondo piano, a pochi passi dalla camera di Amelie.
La luce delle candele s'intravedeva al disotto della porta. Era agitata, lo capivo dai battiti accelerati del suo cuore che risuonavano come tamburi nelle mie orecchie. Ma cosa ci faceva ancora sveglia? Ricordavo perfettamente che prima di lasciare la stanza, ero riuscito a farle perdere i sensi. Eppure sentivo i suoi respiri affannosi e il rumore dei suoi passi sul pavimento.
Il desiderio di spalancare quella porta e riprendere da dove avevamo interrotto mi tentava come non mai, ma cercai di darmi una calmata e con molto sforzo, tirai avanti. Poi, le mie orecchie percepirono dei rumori, quasi delle voci sommesse.
Verso la fine del corridoio, vicino alla biblioteca si trovava una porta bianca, quasi indistinguibile dalle pareti. Era leggermente socchiusa. Cercai di non curarmene -anche perché le mie stanze si trovavano sulla parte opposta della casa-, ma i rumori si andavano via via affievolendo dietro il suo spessore. Girai la maniglia ed entrai, ritrovandomi così in uno stanzino buio dal soffitto basso e le mura impolverate. L'assenza di luce non fu un problema per i miei occhi, ma comunque non riuscivo a capire bene da dove provenissero quelle voci. Uno strano odore chimico impregnava l'aria che sapeva di chiuso e di muffa. Tastai il muro, fino a trovare un piccolo rigonfiamento simile a una leva, che spinsi verso il basso.
Dopo qualche secondo, una botola si aprì vicino ai miei piedi. Cominciai a scendere le scale lignee che portavano sempre più in profondità, fino ad arrivare nei sotterranei della villa. Mano a mano che scendevo, le voci si facevano sempre più nitide e distinte, tanto che riuscii a riconoscerle. Erano il conte James e il medico che poco prima aveva visitato Amelie.
Arrivato alla fine delle scale, percorsi un breve tragitto che portava direttamente a una massiccia porta di ferro battuto semi-chiusa.
Un filo di luce rossastra filtrava dalla serratura fino a proiettarsi sul muro rugoso alle mie spalle. Mi sporsi in avanti, ed entrai nella stanza senza destare il minimo sospetto.
Mentre i due uomini stavano in piedi uno di fianco all'altro, riuscii ad infilarmi dietro uno scaffale impolverato. Quel posto buio ed inospitale sembrava essere un locale abbastanza ampio, diviso in due da una pesante tenda di velluto nero. C'erano strani attrezzi tutt'intorno alle mensole degli scaffali e sui tre tavoli si trovava una vasta quantità di ampolle, contenitori e boccette dalle svariate forme e contenuti.

-Non immaginavo una simile conseguenza!- proruppe l'anziano medico, porgendo una fiala al conte.

James si limitò a grattarsi la barba, afferrando il piccolo oggetto con fare pensieroso.

-Quando avete prelevato questo sangue?- disse facendo ondeggiare il liquido rosso nella boccetta trasparente.

-Mentre la stavo visitando.- rispose il vecchio.

Fece una lunga pausa per riprendere l'ampolla, poi aggiunse: -È veramente straordinario. Se versato in poche dosi, riesce ad annientare qualsiasi effetto della decomposizione corporea, rigenera le cellule ma...-
- "Ma" cosa?- lo incitò severamente il conte, abbassando lo sguardo sulla fiala rossa.

-Ma se assunto in dosi maggiori, le cavie cominciano a deperire velocemente, disfacendosi nell'arco di pochi secondi. Non riesco a spiegarmelo.- ammise il dottore.

-Mi raccomando George, non fatene parola con mia moglie.- disse asciutto il marito di Lamia, mentre il medico annuiva.

Dopodiché, i due uomini lasciarono la stanza. Il dottore disse qualcosa al conte, sottovoce, ma non ne compresi il senso.

-Stai tranquillo, George. Ti sei dimenticato della presenza di quel tizio?- affermò James, la voce sempre più lontana.

-Però sarebbe un vero peccato.- confermò l'anziano medico, prima di uscire dal mio campo uditivo.

Finalmente, ero rimasto solo.
Volevo scoprire di cosa stessero parlando i due uomini così mi diressi verso il tavolo, dove avevano lasciato la fialetta. Non fu difficile trovarla fra le altre: era l'unica a contenere sangue. La portai vicino al volto e osservai per qualche secondo il contenuto, troppo rosso e denso per essere comune sangue freddo. Stappai la fialetta e odorai ciò che conteneva.
I miei occhi immediatamente si eccitarono, diventando scarlatti. La rabbia mi salì fino al cervello, facendomi ardere la gola.
L'avrei riconosciuto fra cento tipi di sangue. Anche mille, o un milione. Non c'era rischio che mi sbagliassi. E quello, era il sangue di Amelie.
Lottai contro me stesso, per non ingollare il contenuto della fiala e - con molta fatica - rimisi tutto come avevo trovato. Girai di scatto la testa verso l'altra ala della stanza e in meno di un secondo, mi ritrovai davanti alla grande tenda di velluto nero. Puzzava di muffa. Afferrai la sua pesante stoffa e con molta, forse eccessiva forza la tirai, scoprendo ciò che celava. Corpi putridi e scomposti se ne stavano distesi sui tavoli - tre per la precisione - uno per ogni creatura. Delle cinghie rinforzate da catene di ferro, li bloccavano, alternandosi a lacci e manette.
Quei Ghuldrash non si muovevano, non mugolavano, sembravano morti.
Erano morti.
Ma qualcosa non andava... perché non si decomponevano?

Rosso Scarlatto - Prima Parte: Virgo IntactaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora