CAPITOLO 12 - Questioni Di Cuore

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Questioni Di Cuore


_ Miguel_

Il sole mattutino mi irritava gli occhi, e la notte passata completamente insonne, non aveva di certo giovato a riordinarmi le idee. Tutt'altro, ero di pessimo umore. Avevo ancora in bocca il sapore ferroso e mediocre del sangue di quella cameriera... come si chiamava?

Non ricordavo più nemmeno il suo nome, o forse non gliel'avevo neanche chiesto.
Beh, pazienza... fatto sta che nutrirmi da lei, era servito a ben poco.
Disgustato, mi portai una mano al collo alla ricerca del pendente.

Non era facile individuarlo; lo tenevo ben nascosto sotto il colletto della camicia, in modo che nessuno potesse rendersi conto della sua esistenza.
Era decisamente importante tenerlo al sicuro... almeno per un altro po'.
Sfiorai leggermente con la punta delle dita la sua superficie d'oro, liscia e fredda, per poi soffermarmi sulla piccola pietra rossa dalla forma pentagonale incastonata al suo interno.
Oh, si. Il rubino era caldo. Bruciava quasi, sempre di più... proprio come la mia gola riarsa.
Più la piccola pietra diventava incandescente, più la mia sete cresceva, superando qualsiasi limite. Tra me e quell'arma c'era un legame forte, un legame di sangue, indistruttibile ed eterno.
D'un tratto lasciai stare quel ciondolo dov'era, risistemandomi velocemente il colletto della camicia. Non dovevo sprecare altro tempo, e il calore sprigionato dalla collana, non era altro che un avvertimento.
Il tempo stava per scadere ed io ancora non avevo trovato la chiave. Alla fine le informazioni dell'Ailthurn si erano rivelate inesatte e quella donna, Clarice, era morta ancor prima di rivelarmi qualcosa.
"Salva mia figlia!" aveva detto, ma cosa voleva significare quella frase?
Era forse la bambina la chiave che tutti stavano cercando?
Beh, sinceramente dubitavo che la piccola potesse aver a che fare con quella faccenda, ma fin ora, era l'unico indizio che avevo a disposizione.
Con molta fretta, scesi le scale che portavano all'entrata del giardino e senza rallentare la marcia, mi diressi verso il gazebo in ferro battuto dove stavano facendo colazione il conte James e sua figlia Eva. Salutai velocemente i due, rifiutando gentilmente la proposta del conte di sedermi con loro e prendere una tazza di tè.
La signorina Eva intanto, mi guardava di sottecchi, studiandomi con cura, dalla punta dei piedi a quella dei capelli. Appuntai lo sguardo su di lei, freddo ed inespressivo, quel tanto per farla smettere. Come volevasi dimostrare, la ragazza abbassò gli occhi imbarazzata. Mi lasciai scappare un risolino e con aria divertita mi congedai da lei e suo padre.
Non mi andava di restare sotto il sole cocente, così optai per rifugiarmi all'ombra di un bell'albero. Un leggero venticello scompigliò i miei capelli. Avrei dovuto respirare a pieni polmoni quell'aria fresca e piena d'ossigeno, ma proprio non riuscivo a rilassarmi.
Tutti i miei sensi erano tesi, all'erta, con la fame alle costole e l'autocontrollo sotto ai piedi. Trovavo irritante persino dover passare del tempo all'aperto, peccato però che il lavoro chiamava, e purtroppo non potevo fare a meno di assolverlo.
Mi appoggiai languidamente alla corteccia centenaria di una grande quercia e restai immobile, con lo sguardo fisso verso il giardino, ed improvvisamente qualcosa cambiò.

"Eccoti qua, Piccolo Tarlo." mi dissi, aguzzando lo sguardo su Amelie.

Fin dal mio arrivo nel giardino ero sempre stato consapevole della sua presenza, ma mi ero categoricamente proibito di dargli peso, anche perché non volevo spaventarla dopo ciò che era accaduto la sera prima.
Se solo non l'avessi cacciata così in malo modo dalla mia stanza... la serata si sarebbe conclusa tragicamente.

Lo sapevo.

E sapevo anche che ero stato incauto a baciarla tanto... avidamente? Ma in quel momento il desiderio di toccarla e sentirla mia, era diventato talmente forte da non riuscire più a respirare.

Non mi ero mai sentito tanto eccitato in tutta la mia vita, ma... perché mi aveva abbracciato?
Quel gesto così improvviso aveva fatto quasi spezzare la sottile linea che teneva ancora legata la ragione al mio corpo.
Dovevo ringraziare solo il Signore, Buddha o una qualsiasi altra entità divina, per non esserle saltato addosso... soprattutto in presenza della bambina. Sarebbe stato imperdonabile procurarle un ulteriore shock, dato che ero stato io stesso a portarla con me.
Ovviamente mi aspettavo le solite lamentele da parte della contessa von Kleemt, ma stranamente, Lamia aveva acconsentito ad ospitare la piccola per un po' di tempo. Inutile dire che Amelie ne era entusiasta.
Nel solo vedere lei e quella ragazzina, Sophie, giocare felici sul prato, mi era tornato il buon umore.
Me la stavo letteralmente ridendo sotto i baffi.
Non riuscivo a distinguere chi delle due fosse in realtà la più "bambina".
Gridavano, correvano, e si gettavano a terra ridacchiando come gallinelle. Ad Amelie non importava minimamente di mantenere un contegno da elegante signorina di buona famiglia, e si ruzzolava nell'erba come una qualsiasi bimbetta di paese.
Era passato quasi un mese dal mio arrivo nella residenza dei Von Kleemt, ed ancora non l'avevo vista sorridere in quel modo, così spensieratamente come invece stava facendo insieme alla piccola. Nel vederla finalmente felice, sentii uno strano calore propagarsi all'altezza dello sterno. E no, non era per via del ciondolo.
Quella mattina, lei ancora non mi aveva rivolto la parola e si era limitata a guardarmi da lontano, con aria circospetta. Dal canto mio, non avevo problemi a fissarla, anche a costo di sembrare insolente. Anzi, mi piaceva tremendamente metterla in imbarazzo.
Stavo vagamente pensando di cancellarle la memoria per quanto riguardava la sera precedente... ma mi bloccai. Non volevo toglierle i ricordi del nostro bacio. Volevo che ci pensasse e ripensasse fino allo sfinimento, proprio come facevo io con lei.
Poi, per un secondo, i nostri sguardi si incrociarono, ma Amelie distolse velocemente il suo.
Mi piacevano i suoi occhi, erano profondi e di un colore cangiante, tendente sia al castano che al verde.
La vista cominciò ad annebbiarsi, e dovetti lottare contro me stesso per non far cadere sui miei occhi il velo scarlatto dell'eccitazione. Anche la pietra rossa del mio ciondolo si fece più calda, diventando incandescente.
Oh, Amelie... le guardai le labbra, il collo, le gambe affusolate che si intravedevano da sotto le gonne in movimento e...

Rosso Scarlatto - Prima Parte: Virgo IntactaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora