•XXXV•

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"La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose; il coraggio per cambiarle."
(Sant'Agostino)

Sentii un incredibile rumore appena fuori dalla cella. I passi pesanti dei soldati si affrettarono e passarono davanti alla porta, che mi separava dalla libertà, con estrema velocità. Mi affacciai alle piccole sbarre della porticina, che serviva per passarmi il cibo, e vidi un gran numero di persone correre verso le scale principali. Ridussi gli occhi a due fessure e cercai di capire cosa si stessero dicendo. Il chiacchiericcio diventava sempre più animato e rumoroso, tanto da impedirmi completamente di capire cosa stesse succedendo. Improvvisamente quel rumore cessò. Percepii soltanto gli stivali battere per terra e vidi i soldati e le soldatesse mettersi in riga. Tutti alzarono la testa, poggiando la mano sul cuore. Finalmente compresi. Stava arrivando qualcuno che doveva essere molto alto in carica. Dalle scale spuntò Francesco. Il mio cuore fece un balzo nel petto e la paura cominciò a farmi tremare le gambe. Indietreggiai, tentando di buttare giù la poca saliva che mi era rimasta. Vederlo nei sotterranei voleva soltanto dire che ci sarebbero stati guai in vista per me. L'uomo dai capelli biondi bussò una sola volta, per poi aprire, con la chiave, la porta. Io nel frattempo mi ero schiacciata al muro. Lui entrò, osservandomi con attenzione. -Non ti hanno dato da bere?-
-Non sono un animale.-
-Te l'hanno dato o no?-
Scossi la testa e lui sbuffò. Si voltò dietro di sé, chiamando a rapporto uno dei suoi soldati. -Fai portare dell'acqua e fai sgomberare l'intero corridoio. Non voglio che ci sia nessuno ad ascoltarci.- Sentenziò poi. Io fui confusa da quella richiesta. Ebbi paura che volesse restare solo con me per picchiarmi, senza che ci fossero testimoni. Le ginocchia furono sul punto di cedere. Mi chiesi cosa avessi fatto di male per meritarmi tutto quello. Francesco chiuse la porta dietro di sé con un tonfo e venne verso di me. I miei respiri aumentarono e la gola cominciò a farmi male, come se qualcosa si stesse aggrappando ad essa con gli artigli, tagliandola dall'interno. Ogni passo che lui faceva era come una coltellata in qualche punto del mio corpo. Non potevo muovermi, ero come un topo in trappola.
-Non c'è tempo...- Sussurrò, guardando dietro di sé. Fece gli ultimi passi velocemente, raggiungendomi. Trattenni il respiro, chiudendo gli occhi. Mi sarei aspettata una mano in piena faccia, ma non fu così. -Non devi avere paura di me. Sono dalla vostra parte.- Continuò, annuendo, mentre cercava di strapparmi un sorriso. Fui impassibile. Non mi fidavo di chi avrebbe lasciato morire un amico e aveva lasciato imprigionare la donna che diceva di voler sposare. -Non posso spiegarti tutto adesso. Non sono in buoni rapporti con mia madre, come ben sai...ma lei mi ha chiamato e mi ha spiegato tutto. All'inizio non ci credevo, ma ho visto mio padre diventare un mostro da un momento all'altro.- Tirò su con il naso, per poi alzare una mano per cercare di darmi una carezza. Mi scostai, vidi la delusione dipinta sul suo volto. -Non ti biasimo, Luce. Ma dovete capire, sono il figlio del vecchio Re. Non...non è facile non fare come ti dicono, controllato ventiquattro ore su ventiquattro. Se sgarro, ne pago le conseguenze.- Tirò giù la manica della maglietta e osservai delle ferite frastagliate sulla spalla, le quali si stavano rimarginando.
Presi un bel respiro e parlai. -Non è sempre stato così?-
-No. Cioè sì, ma non con me.- Abbassò lo sguardo, pulendosi il naso con il polso. Tossicchiò. -Voglio aiutarti. Ho finto prima, ho sempre finto in pubblico. Mi spiano, vedono quello che faccio.- Si guardò istintivamente indietro. -Sto cercando un modo per farti uscire, ma non è facile. Mio padre vuole anticipare il tuo processo e vuole aggiungere come aggravante la tentata fuga dai confini, il fatto di aver aiutato a fingere la morte di un uomo e di aver complottato alle spalle del Re.-
Spalancai la bocca, indignata. La cella stava iniziando a ruotarmi attorno, se mi conoscevo bene ero sull'orlo di uno svenimento. -È stato lui a fingere la morte di Lorenzo!-
-No. È stata mia madre. Lui lo voleva morto sul serio.-
Quelle parole mi tolsero l'ultima lucidità che mi era rimasta in corpo. Improvvisamente le mie forze mi abbandonarono e sentii il mio corpo cedere alla forza di gravità. Sentii pronunciare il mio nome, ma ormai era troppo tardi. Per fortuna la mia faccia non toccò il duro cemento, ma non me ne sarei ricordata.

Eppure fuggo                       •A royal love story•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora