•XLVI•

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"Ogni cosa finché dura porta con sé la pena della sua forma, la pena d'esser così e di non poter essere più altrimenti."
(Luigi Pirandello)

Mia madre stava dormendo sulla poltroncina, all'angolo della stanza in cui mi trovavo. La sua mano pendeva lungo il bracciolo e la testa era completamente chinata in avanti. Sospirai, guardando l'orologio, non riuscivo a prendere sonno e se ci riuscivo, mi svegliavo poco dopo. Erano le due di notte. Presi in mano il telefono e aprii Instagram, in preda ad una noia mortale. La prima storia che trovai fu quella di Eloise. La aprii e inizialmente c'erano soltanto suoi selfie o suoi video personali, ma alla fine mi accorsi di un dettaglio non da poco. Ingrandii la storia e strizzai le palpebre, scrutando meglio. -Quel figlio di p...- Sussurrai, senza nemmeno fare troppo caso alla presenza, seppur dormiente, di mia madre. Nell'ultima storia che Eloise aveva postato sul social notai una mano, che portava un bracciale che conoscevo e soprattutto un paio di anelli che avevo visto e rivisto. Lorenzo era con lei e la storia era di appena mezz'ora prima. Eloise si stava specchiando ad una enorme parete bianca e una mano era scivolata sul suo ventre. -Vaffanculo.- Feci volare il telefono per terra e mia madre sussultò, svegliandosi con la bava alla bocca. Mi aveva sentita.
-Che c'è? Che succede? Sei in pericolo?- Si alzò in piedi, guardandosi a destra e a sinistra costantemente.
-No, niente. Torna pure a dormire. Io devo...devo andare in bagno.- Sentenziai, sperando non si rendesse conto della mia palese faccia da bugia. Mia madre peró non sembrò farci caso e tornò a ronfare sulla poltrona. Io mi alzai dal letto a fatica, tenendo strette le bende attorno alla mia pancia. Imprecai più volte sotto voce fino a raggiungere l'armadietto dove tenevano le mie cose. Lo spalancai e indossai una semplice tuta oversize, che fosse comoda e calda. Mi infilai le scarpe da ginnastica e raccolsi i capelli in una coda bassa. Uscii dalla porta e sussultai nel vedere una delle mie guardie del corpo intenta nel farsi un caffè. Il mio cuore batteva a mille e decisi che quello sarebbe stato il momento di correre via. E così feci. Oltrepassai il corridoio asettico del mio piano di ospedale, bianco e lievemente illuminato da lunghe lampade a led, e girai a destra, infilandomi nel primo ascensore libero. Vi entrai, da sola. Presi un bel respiro e mi dissi di stare calma. Rovistai nelle tasche della felpa e vi trovai del denaro, necessario per pagarmi un taxi da lì fino a casa di Eloise. Uscii dalla struttura e iniziai a sventolare il braccio sul limite della strada, sperando che qualche tassista mi vedesse. Non faceva freddo, ma l'aria non era nemmeno calda. Io tremavo però, sia dal freddo che dalla paura. Stavo per fare una cazzata colossale, lasciare l'ospedale, ancora bendata e sotto farmaci, per andare a vedere con i miei occhi quanto meschino fosse quel ragazzo. Pensai e ripensai più volte di lasciar stare, ma mi si ripresentava sempre alla mente quella maledetta storia di Instagram e le parole di Lorenzo. Lui mi aveva detto che non aveva mai provato qualcosa di simile a quello che provava per me. E poi? Poi se la spassava con la Eloise di turno.
Montai sul primo taxi che si era avvicinato e gli dettai l'indirizzo di casa della mia "amica".
-All'ambasciata? Sicura?-
-Più o meno.- Dissi a denti stretti, rivolgendo la faccia al finestrino.
Respirai e sospirai a rallentatore, aveva cominciato anche a girarmi la testa e tutto era così confuso. Probabilmente l'effetto dei farmaci stava svanendo oppure il senso di colpa fortissimo mi stava suggerendo di tornare indietro.
La macchina parcheggiò davanti alla villa, diedi le monete al guidatore e lo ringraziai. Chiusi lo sportello e alzai lo sguardo. Le luci dell'ultimo piano erano tutte accese. Solitamente vi erano collocate le camere da letto. Non potevo pensare a cosa sarebbe successo, se li avessi scoperti insieme a letto. Non ci riflettei su ancora e decisi di entrare. Una delle guardie alla porta mi riconobbe e, dopo avermi squadrata da capo a piedi, mi fece entrare con un accenno di un sorriso. Mi infilai frettolosamente nell'atrio e mi guardai intorno. Non c'era nessuno. Allora corsi verso le scale principali, ma, non appena provai a fare il primo scalino, una forte fitta al fianco mi fece piegare in due. Cominciai a sudare freddo e mi accasciai contro il muro, reggendomi con una mano per cercare di riprendere fiato. Immediatamente due braccia forti mi sorressero e io, spaventata, indietreggiai con la schiena. Incrociai lo sguardo di Ettore e mi tranquillizzai, per poi preoccuparmi subito dopo. -Cosa ci fai tu qui?- Dissi, con non poca fatica. Mi mancava il respiro e il dolore si faceva sempre più acuto. Il ragazzo si accigliò, aiutandomi a mettermi a sedere. -Veramente questa domanda la dovrei fare a te. Non dovresti essere tipo ricoverata?-
-Dovrei.-
-E cosa ci fai qui? Dai, ti riporto in ospedale.- Si alzò in piedi, barcollando. Io lo fermai, spingendolo a rimettersi a sedere. -No, stai fermo.- Gli strattonai la giacca elegante. -E poi sei brillo, faresti peggio che meglio.-
Lui si mise a ridere, per poi divenire serio tutto di un tratto. -Ho bevuto soltanto uno shot di Tequila, ma per me sono bombe a mano.-
-Non bevi mai?-
-Mai. Un soldato dovrebbe essere sempre sull'attenti, vigile e idoneo.-
Annuii, buttando fuori un po' di aria, mentre il dolore sembrava cominciare a passare. Mi toccai il punto dove mi avevano sparato e non potei non arricciare il naso per l'imminente nausea. Ettore sembrò accorgersi del mio stato d'animo e delle mie condizioni e passò un braccio attorno alle mie spalle. Mi strinse. -A parte gli scherzi, posso riportarti in ospedale. Anzi, sarebbe la cosa migliore.- Mi guardò con la faccia di chi aveva quasi paura mi potesse accadere qualcosa di grave. -Perché sei qui?- Domandò.
Io scossi la testa. -Perché non sei venuto a trovarmi in ospedale?- Cambiai discorso, puntando i miei occhi nei suoi. In effetti erano parecchi giorni che non lo vedevo o non sentivo parlare di lui, nonostante fossimo veramente tanto amici. Lui abbassò lo sguardo sulle sue scarpe. -Beh sai, tra te e Lorenzo va a gonfie vele e mettermi nel mezzo...insomma...-
Sbattei le palpebre più e più volte, con la bocca semi spalancata. -A parte che tra me e Lorenzo è finita ed è durata poco. Ma cosa c'entra metterti in mezzo?-
Lui aggrottò la fronte. Per poi rilassare le rughette e le sopracciglia, annuendo. -Lorenzo non te l'ha detto?-
-Cosa mi doveva dire?- Lo incalzai, con il cuore in gola. Lui iniziò a grattarsi la nuca con un mezzo sorriso, le sue guance erano diventate rosse e potevo percepire benissimo il suo imbarazzo. Inclinai la testa di lato, senza capire.
-Che sono innamorato di te.-
Chiusi gli occhi e li riaprii lentamente. Il petto era diventato un macigno pesante nel mio corpo e le gambe volevano tremare e fuggire da me. Quelle parole erano state come fulmini a ciel sereno, non me lo sarei mai aspettata da lui. Deglutii con forza e tentai veramente di trovare le parole adatte per rispondergli, ma la bocca si era seccata e il cervello aveva smesso di funzionare. Ettore mi strinse ancora di più a sé. -Quando ho scoperto che la Regina voleva rapirti per consegnarti al Re, mi è caduto il mondo addosso. Non ero in me. Lì ho scoperto che per me eri importantissima, più importante di una semplice amica. Lorenzo se n'è accorto prima di me, per questo cercava di evitarmi nei giorni passati.- Sospirò, scuotendo la testa. -Ma non mi ha fermato e non ha mai cercato di parlarmi. Io credevo che a lui fregasse il giusto sinceramente...- Io annuii con fervore. Quella notizia mi deluse, speravo, dentro di me, che Lorenzo fosse almeno un po' geloso dell'amico, invece no. Quello non fece altro che confermare la mia teoria, Lorenzo non sapeva cosa voleva e sicuramente non voleva una relazione seria con me.
Mi si formò un fastidioso nodo alla gola, ma cercai di ignorarlo. -Sì, per questo ho troncato con lui. Ho scoperto delle sue scappatelle.-
-Non volevo che lo sapessi così...- Aggiunse lui.
-È sempre stato in questo modo. Lui che fugge da tutto e da tutti, lui che fa del male e poi sparisce.-
Abbassai la testa e la chiusi fra le mani. Tirai su con il naso. -Come fai a dire di amarmi?-
Sentii il calore del suo sorriso, senza nemmeno doverlo vedere.
-Perché sei unica. Sei una forza della natura, determinata, intelligente, bella, carismatica e hai sempre quella lingua tagliente che verrebbe da prenderla a morsi.- Si avvicinò con la testa e provò a farmi il solletico, ridendo. Non appena sentii le sue dita sulla mia pelle cominciai a scompisciarmi dalle risate, finché il dolore della ferita non decise che i giochi dovevano terminare. Poggiai la testa sul suo petto e lui mi carezzò la guancia destra con due dita. -Io non so cosa voglio però...- Sussurrai appena. Ettore non rispose, ma continuò a coccolarmi. Restammo seduti sugli scalini per minuti interminabili. Quel petto così forte e quella dolcezza mi fecero sentire a casa, sicura e protetta. Sbadigliai prima una volta e poi due e il ragazzo si mise a ridere. -Eh no, brutto segno. Non voglio fare questo effetto alle ragazze.- Scherzò, pizzicandomi la gota. Sorrisi, avvicinandomi di più a lui. -E invece mi fai stare proprio bene.- Sollevai la testa e gli lasciai un bacio sulla guancia accaldata. Lui fece scorrere la mano sulla mia faccia, carezzando ogni solco e ogni imperfezione per poi darmi un buffetto sul naso. Aprii leggermente la bocca, mentre le sue nocche sfiorarono le mie labbra, portandosi via con loro l'umidità. Me le lasciò secche e screpolate. Allora passai la lingua sopra di esse e lui emise una sorta di gemito gutturale.
-Perché sei venuta qui?- Domandò lui per l'ennesima volta, mentre i nostri volti si stavano sfiorando, danzando in avanti e indietro, senza staccare nessuno dei due lo sguardo dall'altro. Ero ipnotizzata, stavo persino dimenticando la ferita pulsante sotto di me.
Mi strinse la faccia con entrambe le mani e mi fissò ancora più intensamente.

-Che cazzo fate?! Che cazzo fai?!- Un urlo primitivo dall'alto delle scale ci fece voltare all'unisono. In piedi, proprio in cima, vi era Lorenzo con una camicia aperta sul davanti e una bottiglia di qualche superalcolico in una mano. Ettore sbuffò, staccandosi da me. Io ripresi aria.
-Che fai? Mi lascio e tu ci provi subito, eh? Non si fa, non si fa.- Sbiascicò quelle parole una dietro l'altra. Era ubriaco e poco in sé. Mi fece male vederlo in quelle condizioni e il dolore sul fianco ricominciò a farsi sentire, piegandomi in due. Strabuzzai gli occhi e Ettore si chinò su di me. -Tutto bene? Cazzo, io ti riporto in ospedale subito.-
Gli toccai il petto per fermarlo. -Sto...bene. Passerà.- Inspirai ed espirai, con estrema velocità. Mi sentivo molto come una di quelle mamme in procinto di partorire.
Qualcuno alle nostre spalle scese frettolosamente le scale e si piantò dietro di noi. Sentii il puzzo di alcool, sebbene la distanza fosse ancora abbastanza. -Lorenzo, non è il momento. Sta male e la porto in ospedale.-
Il ragazzo abbassò lo sguardo su di me e fece cadere la bottiglia per terra, macchiando tutte le scale. -Nooo! Ottima Vodka russa sprecata.- Si mise a ridere.
Io tentai di alzarmi ed Ettore mi aiutò. Lorenzo ci venne dietro. -Non la toccare.-
-Cristo, Lore. Sta male. Vatti a dare una ripulita.-
-Sono sobrio.-
-Sì, sobrio come la mia salute.- Sussurrai appena. Vederlo in quella maniera mi fece letteralmente più male della ferita in sé e quello mi colpì. Ma Lorenzo si fece avanti e scansò Ettore, sgomitando. -Stai bene?- Calcò la lettera "b", mentre i suoi occhi non riuscivano a stare fermi. -Perché stai con lui? Cos'ho che non va?-
Ettore sbuffò, spazientito. Io lo guardai e gli mimai di stare calmo.
-Tu mi hai fatto male e appena hai potuto sei tornato tra le gonnelle di Eloise.-
Scoppiò a ridere di gusto, voltandosi verso Ettore. -Gliel'hai raccontata tu questa cazzata?-
Io presi il viso del ragazzo tra le dita e lo riportai a me. -No, lui non mi ha detto nulla. Lo so e basta.-
-Io ed Eloise non ci siamo nemmeno sfiorati e mai lo farei.- Lo disse in maniera così determinata che per un attimo sembrò sobrio. Poi Ettore sghignazzò per qualche motivo e quello mi riportò alla realtà, cioè al Lorenzo che ferisce le persone senza motivo. -Non ti credo e comunque devo andare.-
Ettore si affiancò a me e mi prese sotto braccio. Poi si rivolse al suo amico. -Non stai facendo una bella figura, vai a letto.-
-Luce! Cazzo, Luce!- Urlò, ma io non mi voltai e lasciai che Ettore mi accompagnasse fino alla sua auto. Quella breve gita era stata inutile, anzi mi aveva resa ancora più triste e delusa, sia da me stessa che da lui. Lo avevo visto nelle sue vere vesti, da ubriaco, maleducato e donnaiolo. Lui era così e io avevo veramente voglia di passare per la crocerossina di turno?

Eppure fuggo                       •A royal love story•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora