•XLVII•

927 34 2
                                    

"Ero arrabbiato con il mio amico: | Io glielo dissi, e la rabbia finì. | Ero arrabbiato con il nemico: | Non ne parlai, e la rabbia crebbe."
(William Blake)

Mi appoggiai alla finestra della mia camera da letto e sospirai. Alice e Keita mi avevano mandato un video di loro due al mare a sbaciucchiarsi sotto al sole, chiedendomi di raggiungerle con il primo volo per le Bahamas. Sospirai e spensi il telefono. Piegai le ginocchia contro al petto e chiusi le braccia attorno ad esse, per poi far aderire il mio mento alla pelle fredda tesa sulle ossa delle ginocchia stesse. Guardai fuori e il sole giocava a nascondino con le nuvole, era così bello vedere come la natura e il meteo andassero a braccetto con il mio umore. Mi veniva da piangere, lo sentivo. Percepivo quel blocco, quella enorme massa soffocante sul petto che non voleva far altro che uscire fuori e farsi vedere, le lacrime scendere come fiumi in piena e le mie corde vocali stridere tra di loro per gridare al mondo quanto stessi male. Ma me ne stavo in quel modo, tutta un groviglio tra braccia lunghe e magre e capelli arruffati, senza sapere cosa fare e dove andare. Mia madre e, soprattutto, mia nonna mi avevano vietato di uscire per qualsiasi motivo. Dovevo seguire le lezioni in università tramite computer e farmi passare gli appunti dai miei colleghi. Il vecchio Re era scomparso nel nulla, nessuno sapeva dove si fosse rifugiato e la Regina si era letteralmente cucita la bocca per non farsi scappare niente. Francesco era passato a trovarmi nell'ultimo mese più di una volta e mi aveva sempre dato l'impressione di uno che non sapeva che pesci prendere. Era sull'orlo della pazzia e la sua barba lunga ed incolta, cosa strana per uno come lui, me lo aveva soltanto confermato. Ettore, invece, veniva ogni giorno sotto casa mia. Una volta mi portava una torta al cioccolato, la volta dopo un mazzo di girasoli e di papaveri, dai colori talmente accesi da provocare quasi fastidio ai miei occhi, che erano abituati al buio e ai colori tetri nell'ultimo periodo. Sbadigliai e sgranchii le gambe, piegando le ginocchia. Le articolazioni scricchiolarono e mi venne da sorridere, mi sembrava di essere invecchiata tutta insieme.
Qualcosa attirò la mia attenzione, spaventandomi. Trasalii, scattando in piedi. Poggiai i piedi nudi a terra, mentre le dita toccarono il pavimento freddo, le mie mani si portarono davanti a me a mo' di protezione. Poi mi avvicinai alla finestra e vidi un altro sassolino abbattersi contro di esso. Sbattei più volte le palpebre, mentre il fiato cominciò a farsi sempre più pesante. Aprii i palmi delle mani sul vetro, scaldato dai tiepidi raggi del sole e una piacevole sensazione di benessere nutrì il mio corpo stanco e spossato. Guardai in basso e un cesto di riccioli mi fece scappare un gridolino. Il ragazzo piegò la testa in alto, strizzando un occhio per vedermi meglio contro luce. Restai a fissarlo qualche secondo buono, mentre lui mi fece segno di scendere. Rimasi a bocca aperta, con la strana sensazione che finalmente qualcosa si stesse mettendo al posto giusto dentro di me. Tutto quel malessere di quell'ultimo mese lo avevo attribuito alle mie ferite, che dovevano ancora rimarginarsi e a quell'incontro/scontro avvenuto al castello con il Re in persona. Sì, non volevo più chiamarlo con il suo nome di battesimo, mi metteva tristezza.
Scossi la testa, in segno di diniego, ma restai alla finestra per vedere cosa facesse. Lo vidi fare spallucce e raccogliere da terra qualcosa di particolarmente grosso e appuntito. Un enorme masso, sicuramente molto pesante. Tirò indietro il braccio, scrutai i suoi muscoli contrarsi e spalancai la bocca. Mi affrettai ad aprire la finestra, aggeggiando con le maniglie ai lati. -Fermo! Mi spaccherai il vetro!-
La sua bocca si aprì in un enorme sorriso, i suoi denti brillarono come diamanti e così fecero i suoi occhi cristallini. Mi morsi un labbro, intrappolata a metà tra il sollievo e la rabbia. Sbuffai, incrociando le braccia sul petto. -Che ci fai qui?-
Lui spalancò entrambe le braccia, delineando un altro enorme sorriso sulla bocca, facendo cadere il masso per terra con un tonfo. Sembrava veramente felice. Beato lui.
-Passavo di qui...- Infilò le mani nelle tasche, chiudendosi nelle sue spalle. Io sospirai, annuendo. Non era certo la risposta che mi aspettavo.
-Va bene, se le cose stanno così, ciao.- Feci un passo indietro, stringendo la maniglia della finestra per chiuderla.
-Aspetta!- Urlò, per poi imprecare. Quella felicità che aveva mostrato fino a pochi secondi prima era totalmente scomparsa, dopo essersi lasciata dietro una strana inquietitudine. Le sue sopracciglia erano piegate in basso e la sua bocca a metà tra una smorfia e una voglia di parlare assurda. -Che c'è?- Gridai di rimando.
-Puoi scendere?-
-Non posso.-
-Dai, non dire cazzate.- Tirò un calcio ad un sasso lì vicino.
-Non sto scherzando né tantomeno dicendo cazzate. Mia mamma e mia nonna non mi lasciano uscire e poi ho ancora i punti.-
La sua testa si abbassò, annuendo. Pareva stesse pensando a qualcosa. Poi la risollevò con la lingua che lambiva la parte inferiore delle sue labbra. Alzò le spalle e poi le ributtò giù. Una folata di vento gli scompigliò i capelli corvini. Sospirai, senza capire cosa volesse fare.
-Se le cose stanno così, salgo io.- Si avvicinò al muro di casa, dove un'edera rampicante, che si stava sostituendo ad una pianta di gelsomino, saliva l'intero intonaco fino alla mia finestra, che, in parte, ne era circondata. -No!- Protestai io, sbilanciandomi sul balconcino, dove mamma era solita metterci dei vasi di fiori di stagione. Lui non ascoltò le mie parole e, con impressionante abilità, saltò sulla pianta e cominciò ad arrampicarsi, come se fosse stato un gioco da ragazzi. Mi tappai gli occhi, terrorizzata da quello che potesse succedere. Un passo falso e sarebbe potuto volare di sotto e rompersi l'osso del collo. Rabbrividii al pensiero e diedi una sbirciatina, giusto per controllare. Lui era quasi vicino alla mia finestra. Aveva la mandibola serrata e l'espressione di chi stava affrontando una prova facile, un gioco da ragazzi. A me, come minimo, mi si sarebbe staccato il primo pezzo di radici e mi sarei ritrovata schiacciata per terra, per poi essere usata dagli uccelli come bersaglio per i loro bisogni.
-Che me la dai una mano o devo restare appeso qui ancora a lungo?- Quelle parole mi risvegliarono dai pensieri e mi fecero scattare in avanti. Chiusi le dita attorno al suo bicipite e mi resi conto che non sarei mai riuscita ad aiutarlo. -Sei troppo pesante e muscoloso, torna giù.- Dissi con il broncio. Lorenzo scoppiò a ridere di gusto. -Come se fosse facile tornare indietro. Dai, dammi una mano.- Si poggiò con entrambe le braccia al piccolo balconcino, facendo cadere il vaso di fiori di mia madre. Alzai gli occhi al cielo, era il suo preferito. Lo presi per la maglietta e cominciai a tirare, facendo leva sui talloni.
Finalmente rotolò dentro la mia stanza e potetti chiudere la finestra. Lui si alzò in piedi, togliendosi la polvere dai pantaloni, aveva l'aria di chi era soddisfatto della propria impresa. -Non ti inchini davanti al Re?- Scherzò, sollevando un lato delle labbra.
-Se vuoi essere mandato a quel paese, hai trovato la strada giusta.- Incrociai nuovamente le braccia sul petto, per poi toccarmi la ferita vicino alla pancia.
-Ti fa male?-
-No, è che ho sempre paura che partano i punti.- Sospirai. -Sai, ho dovuto spingere cento chili dentro alla mia camera.- Socchiusi gli occhi, guardandolo. Lui cercò di mimetizzare un sorriso divertito.
-Era l'unico modo per vederti.-
-Non è vero, lo sai bene.-
Lui sollevò il mento, inspirando ed espirando. -Da questo presumo che tua madre non ti abbia mai detto delle mie visite.-
Il mio sangue si raggelò completamente. Lo guardai con più intensità. -Cosa stai dicendo?-
Portò le mani dietro alla schiena, drizzandola. -Sto dicendo che sono quattro settimane e mezzo che cerco di parlarti, ma mi hai bloccato dappertutto e tua madre mi ha sempre detto che non volevi parlarmi o vedermi.-
Ingoiai la saliva con fatica. Nessuno mi aveva mai detto niente di lui. Fu una notizia che potrei paragonare ad una doccia fredda. -Ho iniziato ad insospettirmi, quando ho sentito parlare tua nonna con una delle vostre cameriere in servizio. Le stava dicendo che se mi avessero visto per i corridoi, avrebbero dovuto avvisare la sicurezza.-
Scoppiai a ridere. -Sei il Re.-
-Non in questa casa però.-
Sbuffai, girandomi per dargli le spalle. -Te lo stai inventando per pararti il culo.-
-Per quale motivo dovrei mentirti? Ettore non te l'ha detto che cerco di contattarti da settimane?-
Sospirai. -Non parliamo di te quando siamo insieme.-
Lo sentii espirare con forza. Quella frase gli aveva dato fastidio.
Ci furono attimi di silenzio. Un silenzio intriso di ansia e rabbia. L'ansia era da parte mia, la rabbia da parte sua. -Passate parecchio tempo insieme?- Disse a denti stretti. Il tono della sua voce era cambiato profondamente.
-Tutto il tempo che possiamo.-
Gli sfuggì una risata sprezzante. Con due falcate mi raggiunse e mi costrinse a voltarmi. -E che fate quando siete insieme?- Stava torreggiando su di me, dovevo piegare il collo per guardarlo negli occhi. Le vene del suo collo erano gonfie e i suoi occhi trasudavano ira. Mi morsi le labbra e distolsi lo sguardo. Due delle sue dita, sotto al mio mento, riportarono i miei occhi nei suoi. -Non sono affari tuoi.- Sputai quella sentenza, calcandola con tutta la rabbia che avevo provato per lui, per le sue bugie e per la sua poca chiarezza nei miei confronti. Mi avevano avvisato tutti di come lui era e io ci ero cascata comunque.
-Luce, non farmi incazzare.-
-Altrimenti?-
Le sue narici si dilatarono e i suoi pugni si chiusero lungo i fianchi. -Non mi provocare.-
-Sennò?- Sbattei le ciglia a mo' di cerbiatto, nascondendoci dietro della palese ironia incattivita. Lui scosse la testa e si leccò le labbra. Mi accorsi subito del suo piercing e arrossii nel ricordare come fosse stato piacevole averlo tra le pieghe della mia fresca rosa, che faceva su e giù tra l'umidità e l'eccitazione di quel momento. Lorenzo probabilmente si accorse del mio improvviso cambio di umore e sembrò rilassarsi un attimo. Le sue labbra si trasformarono in un sorriso malandrino e io abbassai lo sguardo, arrabbiata con me stessa per aver fatto quei pensieri che avevano tradito la mia determinazione di quel momento.
-Perché sei tutta rossa?-
-Fa caldo qui dentro.-
-Forse ti faccio caldo io.-
Indietreggiai, barcollando leggermente. -Che frase da cliché.- Rotai gli occhi verso l'alto. Lui, per ogni passo che io facevo dietro di me, ne faceva uno in avanti. Continuammo così finché non andai a sbattere contro l'armadio di camera. Mi raggiunse. Sentivo il suo respiro caldo sul mio collo e la sua muscolatura tendersi. Chiusi per un attimo gli occhi per cercare di non pensare a quanto fosse sexy in quel preciso istante. -Cosa c'è tra te ed Ettore? Te lo chiedo per l'ultima volta.- La sua voce si era trasformata in una calda e velata minaccia. Inspirai ed espirai, cercando di darmi una calmata. I miei ormoni erano improvvisamente impazziti tutti insieme e non mi stavano dando retta.
-Ma cosa te ne frega? Ti sei scopato chi volevi anche quando mi avevi dichiarato di essere quasi innamorato di me.-
I suoi occhi si fermarono sulla mia bocca, per poi risalire in alto. -Non ho mai detto di essere innamorato.-
-Ho detto "quasi".-
-Neppure.-
Sbuffai, dandogli un colpetto per allontanarlo. Non si spostò di mezzo millimetro. -E allora se non mi ami, non provi e non provavi niente per me.- Presi un bel respiro per cercare di non impappinarmi nel discorso.-Cosa te ne importa del rapporto tra me e Ettore?-
Lui, improvvisamente, tirò un pugno all'armadio dietro di me, che tremò sotto la sua forza. Strinsi gli occhi e mi chiusi nelle braccia, spaventata da quel colpo così inaspettato. Riaprii gli occhi e lo vidi completamente coinvolto dalla rabbia e dall'istinto, potevo distinguere vere e proprie fiamme ardere intorno a lui. -Rapporto? Che rapporto hai con lui?- Serrò la mascella. -Dimmelo! Voglio saperlo!- Urlò.
Presi un bel respiro e con entrambi i palmi delle mie mani lo spinsi via. -Non urlarmi contro!-
Lui si passò una mano tra i capelli, visibilmente nervoso. Buttò giù la saliva e mi guardò. -Sì, scusami.-
Mi lisciai i vestiti addosso, riprendendo la calma. Buttai fuori l'aria. Poi riflettei su cosa dirgli. In effetti con Ettore non era successo nulla, se non un bacio innocente qualche giorno dopo la mia chiusura definitiva in camera. Avevamo appena finito di mangiare la sua torta al cioccolato speciale e mi aveva portato di nascosto una bottiglia di spumante. Mi aveva baciata lui, in realtà, e poi si era scusato, fuggendo via. Non sarebbe stato logico raccontare quella cavolata a Lorenzo, lo avrebbe fatto soltanto infuriare per niente. Decisi che me lo sarei tenuto per me.
-Non capisco come sei fatto, Lorenzo. Non fai altro che ferire e umiliare chi ti sta vicino. Il vero nemico è ed è sempre stato tuo padre.- Deglutii. -Non noi, non io.-
Lorenzo si passò le mani sulla faccia, annuendo. Si voltò e mi diede le spalle, inclinando la testa verso l'alto. Stava pensando a qualcosa e probabilmente non mi avrebbe mai fatto sapere a cosa di preciso.

Eppure fuggo                       •A royal love story•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora