•XXIV•

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"I due giorni più importanti della vita sono quello in cui sei nato e quello in cui capisci perché."
(Mark Twain)

La mattina della penultima prova era appena iniziata e mia madre era già in subbuglio, stava pensando a come addobbare la stanza da tè per l'occasione, visto che il giorno successivo ci sarebbe stata la proclamazione del vincitore. Sinceramente l'emozione e l'esaltazione per quell'evento così epocale non mi toccavano minimamente, ci vedevo solo del marcio. Sapevo che era tutta una messa in scena e che, se il popolo avesse scoperto di quell'inganno, sarebbe insorto con le armi in mano e avrebbe deciso lui il suo Re o, perché no, la sua Regina. Sarebbe stato puro caos a cui andare incontro e mi sentivo in parte responsabile di tutto quel casino. Io ero a conoscenza dei meschini piani del Re e non avevo detto niente. Francesco, per carità, sarebbe stato un regnante con i fiocchi, leale, giusto, buono, ma se non fosse stato lui, senza giochetti e sotterfugi, a vincere la corona? Se se la fosse meritata qualcun altro? Alla fine si parlava di comandare su uno dei regni più potenti al mondo, anche se non il più vasto. Le sorti del popolo erano in mani sicure? Sarebbe stato lui all'altezza di quel compito? E chi avrebbe scelto come moglie? Deglutii a fatica. Improvvisamente mi resi conto di tutto. Sui miei occhi, fino a quel momento, si era posato un velo che non mi permetteva di analizzare la situazione con lucidità. Se Francesco avesse vinto, e ormai era quasi certo, lui mi avrebbe chiesta in sposa, modificando la legge del padre ed io sarei diventata Regina. Mi ricordai di tutte quelle lezioni private, lunghe ore e ore in cui le mie insegnanti provavano a farmi apprendere il bon ton Reale, come una Regina doveva sedersi, come doveva afferrare la tazza da caffè e quella da tè, come salutare in maniera diversa ogni persona in base alla sua carica e al suo rango. Cominciai a respirare sempre più velocemente e con fatica. La mia testa si riempì di mille domande e la più comune fu: Giacomo che ruolo aveva avuto? Mia madre voleva farmi sposare con lui a tutti i costi, ma, al tempo stesso, fin da piccola mi aveva fatto seguire migliaia di lezioni su come una Regina doveva comportarsi. Non tornava...c'era qualcosa di sbagliato, qualche incomprensione. Mio padre per tutta la mia infanzia e gran parte dell'adolescenza aveva vissuto fuori dal Regno, per affari. Io ero sicura si fosse fatto altre famiglie, ma non lo avevo mai confessato a mia madre. Probabilmente anche lei se lo sentiva.
-Luce? Sono due ore che ti busso alla porta.- Keita fece capolino e sbuffò. Io mi guardai intorno, stordita. Avevo ancora i vestiti della sera prima e i capelli appiccicati al viso per il sudore. Avevo dormito quella notte? -Tesoro, hai una brutta cera e puzzi da far schifo. Ma ti senti bene?- La mia amica si avvicinò con passo felpato, piegandosi il giusto per toccarmi la fronte. La tolse in fretta. -Hai la febbre sicuramente.- Scosse la testa e mi aiutò a svestirmi. Io mi tolsi i ciuffi bagnati dalla fronte e chiesi con un filo di voce che ore fossero. Keita mi guardò per un attimo a occhi sgranati e poi rispose che era mezzogiorno. Improvvisamente mi sentii mancare, si formarono puntini neri tutto intorno a me e una fastidiosa sensazione di nausea si impadronì del mio stomaco. -Ti aiuto a farti una doccia, sei in delle condizioni pessime.- Mi sollevò per un braccio e mi portò in bagno.
Dopo la doccia mi sistemò i capelli e prese dall'armadio una tuta comoda. Mi sedetti sul bordo del letto e sospirai. -Ieri non sono scesa per la cena.- Mormorai, guardando la mia amica, che a sua volta mi stava osservando con cipiglio. -Io credevo tu fossi all'appartamento con Alice in effetti, penso che anche tua madre lo credesse.- Poi scosse la testa. -Luce, così non va bene. Se c'è qualcosa che non va, lo devi dire. Sei scomparsa da due giorni in pratica, non mangi da chissà quante ore. Cosa hai?-
Mi leccai le labbra aride e guardai sul comò davanti a me, c'era un vassoio con la colazione. Mi avventai su di esso e bevvi tanta di quella acqua da far invidia ad un lago. Restammo in silenzio, senza che lei ricevesse alcuna risposta da me. In effetti io non sapevo cosa dirle, non capivo nemmeno io cosa mi stesse succedendo. Forse ero soltanto diventata consapevole di ciò che ero: un mezzo per arrivare al potere. Non per me, ma per la mia famiglia. Keita, poi, picchiettò le unghie smaltate sul comò dietro di lei. -Vuoi che chiami Alice?-
Feci di no con la testa. -Starò meglio. Probabilmente ho preso freddo. Adesso scendo al piano di sotto e lo spiego anche ai miei genitori.- Keita sbarrò gli occhi. -Luce, al piano di sotto c'è il Re.-
L'ansia si impossessò del mio corpo. Sentii già il battito del cuore partire all'impazzata. -Com...il Re? Perché?-
Lei distolse lo sguardo. -Francesco si è fatto male stamattina, gli hanno fasciato una gamba. Temono possa essere escluso dalla prova finale.- Mi alzai di scatto in piedi, barcollando. -Come sta?-
-Lo hanno trasferito qui in infermeria. La reggia si era già riempita di giornalisti e fotografi, non potevano rischiare che trapelasse la notizia.- Mi salì il cuore in gola. -Merda, sono stata una stupida a sentirmi male proprio ora.-
-Che dici? Non è colpa tua!-
Scossi la testa e la afferrai per la mano. -Vado in infermeria e tu vai a sentire cosa dicono il Re e mio padre.- Lei annuì, mostrando un grande sorriso. -Così ti voglio!- E sgattaiolò via. Io mi diressi alle scale più ad est del mio piano e le scesi in tutta fretta, l'infermeria si trovava sotto terra, una sorta di bunker. Attraversai il corridoio grigio e freddo e raggiunsi la porta bianca, con su dipinta una croce rossa. La spalancai e vidi Francesco sussultare. Aveva la coscia fasciata. Deglutii a fatica e mi avvicinai. -Cosa ci fai qui?- Chiese, aggrottando la fronte. Io accennai ad un sorriso. -Cosa ci fai tu qui semmai...-
Lui sorrise di rimando. -Non ti ho vista questa mattina al campo.-
Distolsi lo sguardo. -Non sono stata bene in questi giorni.- Lui annuì, mordendosi la guancia interna. -Mi dispiace, non lo sapevo.-
-Come hai fatto a farti quello?- Indicai la sua coscia, attorno alla quale era stato fatto un bendaggio ad hoc. Lui sghignazzò. -Oggi c'è stato il combattimento corpo a corpo. Già sapevo che avrei perso, perché non sono mai stato bravo in queste cose.-
Mi misi sul lato libero del suo lettino, annuendo. -Lorenzo è sempre stato il primo della classe nella lotta, nel pugilato...insomma in tutti quegli sport dove si doveva picchiare duro.- Continuò, facendo una smorfia di dolore nel cercare di spostare la gamba. Mi morsi le labbra nel vederlo così sofferente. -Ed è stato lui a farti questo?- Sussurrai.
Lui sgranò gli occhi, come se avessi appena detto una cavolata grossa come il mondo. -O no! Se proprio vuoi ridere, ho perso l'equilibrio e sono caduto su un pezzo di legno che spuntava dal terreno. Diciamo che il resto te lo puoi immaginare.-
-È grave?- Lo incalzai, fissandolo. Lui fece spallucce. -Tutti pensano possa pregiudicarmi la vittoria di domani, ma io e te sappiamo che nessuno permetterà che possa essere squalificato.- Sospirai, affranta. Da una parte ero felice per lui, perché in fin dei conti stava bene e avrebbe potuto continuare la sfida, dall'altra provavo un forte senso di amarezza nel sapere che aveva le spalle parate dal padre. -E quindi come farai? Che tipo di prova è domani?-
Lui guardò in basso, quasi come se si sentisse in colpa di qualcosa. Non rispose subito e ciò mi fece preoccupare. -Stanotte ci scaricheranno nel bosco con una mappa. Il primo che tornerà a casa avrà vinto.-
Io restai ferma. -E quindi? È difficile?-
Lui puntò i suoi occhi su di me, accigliandosi. -Beh, è il bosco Nero.-
A sentire quella parola mi si gelò il sangue nelle vene. Il respiro si fece pesante e per poco non crollai a terra. Il bosco Nero era l'incubo di ogni persona con un pizzico di intelligenza e soprattutto con un pizzico di senso di sopravvivenza. Fin da bambini ci raccontavano storie su creature strane che si aggiravano tra quei boschi, di come mangiassero la carne umana e di come si divertissero con i mal capitati, sbranandoli vivi. Certamente erano solo favole da raccontare per evitare che qualcuno ci si avvicinasse, ma è risaputo che c'è sempre un fondo di verità anche nelle storie più terribili e incredibili. -Ma non è illegale addentrarsi lì dentro?-
-Non se è il Re a stabilirlo.- In effetti tornava. Poi un dubbio mi assalì fino a quasi farmi male. Come avrebbero avvantaggiato Francesco mentre si trovava nel bel mezzo del nulla a notte fonda? -Se te lo stai chiedendo, non so nemmeno io come faranno ad aiutarmi.- Sembrò leggermi nel pensiero e mi fece un po' paura. -Forse hanno deciso di lasciar stare.- Concluse, facendo spallucce. Guardai la sua gamba. -Ma come farai a spostarti e difenderti se hai quel coso?-
-Alla fine è solo un graffio. Penso che tutta quella scenata sia stata fatta a posta per evitare che Lorenzo mi battesse. Infatti ha dovuto proseguire con le altre due ragazze, che hanno, infatti, perso entrambe.-
Come avevo fatto a non pensarci? Ogni minima mossa e ogni cosa che accadeva era frutto delle menti ingegnose di mio padre e del Re. Mi alzai dal suo lettino e gli dissi che sarei andata di sopra a chiedere più informazioni sul bosco Nero. Lui mi afferrò delicatamente il polso. -Grazie per essere venuta a trovarmi. L'ho apprezzato.-
Sorrisi e pensai che lui si aspettasse che gli lasciassi un bacio sulla bocca, ma poi fece scivolare via la mano e voltò la testa verso il muro.

Salii l'ultimo gradino e percepii la voce di mio padre. Mi nascosi dietro al muro e aguzzai l'udito. Stava parlando con qualcuno, la cui voce non mi ricordava nessuno. Sentivo soltanto bisbigli e frasi sconnesse, ma riuscii a captare un "portatelo vicino alla tana". Quale tana? Chi? Poi le due voci si fecero sempre più lontane e persi l'occasione di capire qualcosa in più. Mi affacciai per vedere che non ci fosse nessuno e corsi per tutto il corridoio, svoltai all'angolo e andai a finire contro qualcuno. Mi toccai le labbra, che avevano sbattuto violentemente contro i miei denti. Infatti avevano cominciato a sanguinare. Imprecai e poi mi scusai in fretta, guardando le mie dita ricoperte di gocce di sangue. Una mano scivolò tra le mie e le strinse. Sollevai lo sguardo e sospirai. Quegli occhi...quegli occhi blu. -Mi dispiace, non ti ho proprio vista.-
Era vestito da combattimento, portava una canotta in cuoio che riprendeva i muscoli del suo petto e un paio di pantaloni in pelle aderenti. Da una parte teneva un bastone in legno. Si asciugò la fronte con l'avambraccio e sorrise. -Come stai?- Quella domanda mi sorprese. Aveva uno sguardo strano, nonostante avesse vinto quella sfida, sembrava...arreso. -Io bene. Tu piuttosto? Ho saputo che stasera andrete nel bosco Nero.-
Lui sospirò e annuì. -Già. Bello, vero?-
Tossicchiai. -Sei spaventato?-
-Non lo nego. È raro che qualcuno torni vivo o psicologicamente stabile da quel posto.- Tirò su con il naso. Io provai un forte senso di preoccupazione per lui, così intenso da farmi torcere le budella tra di loro. -Non sei obbligato, puoi ritirarti. Tanto sappiamo già che vincerà Francesco.-
Lui spostò il peso da una gamba all'altra. -Non è così semplice. Non ho più tredici anni, devo sottostare ai miei doveri. Ho fatto quello che volevo per tutta la mia vita e guarda che fine ho fatto.- Alzò le spalle, scuotendo la testa. I riccioli gli ricaddero sulla fronte. Fece per superarmi, ma lo fermai per un braccio. Lui guardò le mie dita che lo stringevano. -Ho paura per te. Temo che stiano tramando qualcosa contro di te.-
-Penso anche io che non ne tornerò vivo.-
Quella frase mi colpì nel profondo. Iniziò a mancarmi l'aria e a scoppiarmi il petto. Non volevo sentire quelle parole, non potevo. Mi alzai sulle punte dei piedi e mi aggrappai alle sue larghe spalle. Lo guardai per un attimo negli occhi e dimenticai tutto quello che avevo detto e pensato di lui, in quel momento non mi importava. I suoi occhi espressero tutta la sua confusione. Si accigliò ed io lo baciai. Lui, dopo un attimo di assestamento, lasciò cadere a terra il bastone e pose le mani sulla mia schiena per poi sollevarmi da terra e stringermi così tanto da farmi perdere il fiato. Sentii la mia mente svuotarsi di tutte le ansie e di tutto lo stress accumulato, percepii persino la febbre lasciare il mio corpo. Il contatto con lui fu tutto ciò che mi servì per estraniarmi dal mondo e per sentire l'elettricità correre su ogni parte della mia pelle.
Ci staccammo e ripresi fiato. Ci guardammo intensamente e la sua mano sfiorò la mia guancia. -Voglio ricordarmi di come alla fine sei stata tu a baciarmi.- Curvò le labbra in un dolce sorriso, strofinando il pollice sulla pelle accaldata. -Ti prego, non andare.-
Sottrasse la mano e abbassò lo sguardo. -Non posso.-

Eppure fuggo                       •A royal love story•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora