•XXXVII•

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"Capitano a volte incontri con persone a noi assolutamente estranee, per le quali proviamo interesse fin dal primo sguardo, all'improvviso, in maniera inaspettata, prima che una sola parola venga pronunciata."
(Fëdor Dostoevskij)

La moto, con cui l'avevo conosciuto vicino al McDonald dell'università, era parcheggiata fuori dal palazzo di Giustizia. Era nera e talmente lucida da potermici specchiare. Chiusi ed aprii i pugni più volte, ancora non credevo a quello che era successo, al fatto che fossi finalmente libera e che la verità fosse venuta a galla. Lorenzo si spettinò i capelli scuri e mi fece la linguaccia. Ricambiai con una smorfia. -Grazie per essere venuto.-
Lui abbassò la testa, rialzandola proprio mentre un fascio di luce attraversò la sua faccia, facendo brillare le sue iridi azzurre. Si morse le labbra e scorsi il piercing sulla lingua. -So di essere un tipo difficile, ma ti ho sempre trattata male perché non volevo farti soffrire.- Fece rotolare il casco da una mano all'altra. -Ho sempre pensato che non ti meritassi. Avevi Francesco "il perfetto" al tuo fianco, poi è capitato Ettore...-
Strabuzzai gli occhi e posai una mano sul fianco. Il vento spostò i miei capelli, facendoli impigliare tra le mie labbra umide. Li scostai con un gesto frettoloso. -Ettore è solo un amico e poi nemmeno lo conosco bene.-
-Lo vedo come ti guarda.-
-Mi guarda da amico, Lorenzo.- Ribattei subito. Lui fece spallucce. -Non stiamo nemmeno insieme e io sono qui a farti una cazzo di scenata di gelosia.- Si portò le mani alla faccia e il luccichio del suo enorme anello all'anulare per poco non mi accecò. Mi venne da ridere, ma tentai di trattenermi. Vederlo così vulnerabile e aperto con me, era una cosa rara e volevo godermela il più possibile. -Luce, dì qualcosa!- Sentenziò, buttando giù, a peso morto, le braccia. Il casco oscillò in avanti e indietro.
-Io non credo sia gelosia. Io penso che tu sia insicuro di te stesso quando si parla di sentimenti.-
Lui sembrò pensarci. -In effetti è così.-
-Mi hai respinta così tante volte, che mi sembra difficile che tu provi qualcosa per me.- Sospirai, toccandomi le punte dei piedi con le scarpe. Lui fece per aprire bocca, ma poi la richiuse. Ci fu un lungo silenzio, che mi preoccupò, visto che significava che quello che avevo detto lo aveva toccato e lo aveva fatto riflettere. Forse non era geloso, ma non voleva che altri avessero qualcosa, che lui sapeva fosse "sua". Era più un senso di possessione, magari.
-Ti riaccompagno a casa, va bene?- Esordì, alla fine. Non commentò le mie parole, né provò a negarle. Quel suo atteggiamento e quella sua reazione mi ferirono, non avrebbero dovuto, ma lo fecero. Io, anche se cercavo di negarlo a me stessa, provavo qualcosa per lui. Non era soltanto attrazione fisica, c'era qualcosa di più. Mi sentivo legata a lui, avevo sentito qualcosa nei suoi confronti giá dai primi sguardi, come se il destino avesse deciso di farci incontrare. Non c'era casualità per me, ero stata destinata a conoscerlo.
Annuii alla sua richiesta e montai sopra la moto, delusa ed amareggiata. Avrei mai capito quel ragazzo?

-C'è ancora l'altalena?- Commentò, gettando a terra il casco, che rotolò fino all'albero, i cui rami consistevano nel sostegno per l'altalena.
-Non è passato molto tempo da quando ci siamo stati.- Deglutii, mentre ricordai esattamente come mi avesse baciata sul quel tronco e quanta passione ci avesse messo. Lui fischiettò, sedendosi sulla stecca di legno, che ondeggiava sospinta dal venticello. -Dovrai sempre sposare Eloise?- Chiesi, dopo qualche attimo di silenzio imbarazzante. La sua testa scattò in alto e i suoi occhi si chiusero. Pareva che gli avessi appena ricordato qualcosa. -Cazzo. Il contratto matrimoniale.- Pronunciò quelle parole a denti stretti. Io mi lasciai scivolare sul prato, incrociando le gambe tra di loro. -Quindi è un sì?-
Lui scosse la testa. -Non lo so.-
Ed ecco che il suo atteggiamento distaccato e freddo si faceva sentire. Era impossibile mantenere una conversazione con il Lorenzo dolce ed ironico che a me piaceva tanto. -E tu vuoi sposarla?- Lo incalzai. Lui si aggrappò alle corde dell'altalena e puntò i suoi occhi su di me. -Non l'ho mai voluto.-
-E cosa vuoi?-
-Te.-
Buttai giù la saliva, che sapeva di amaro. Distolsi lo sguardo, mentre le gote si erano strasformate in due pomodori belli maturi. Come mi mandava in confusione lui, non lo faceva nessuno. -Lorenzo, sii serio.-
Lui sbuffò. -Perché non mi credi mai quando ti dico che mi piaci?-
-Perché non me lo dici mai!- Protestai, strappando qualche margherita vicino a me. Lui annuì. -Forse.-
Sollevai lo sguardo verso il cielo. -Sei il Re adesso. Devi saper prendere le tue decisioni.-
-Non sono ancora ufficialmente il Re, in effetti sto pensando di chiedere a Francesco di mantenere la corona.-
Spalancai gli occhi e la bocca. -Stai scherzando? Te la sei stra-meritata! Mi dispiace per Francesco, ma sei tu quello che è nato per regnare. Sei tu quello che ha la grinta e la forza per imporsi! Non le voglio sentire certe storie da te...- Strappai anche qualche filo d'erba.
-Non credo di essere pronto...-
-Ti hanno cresciuto per esserlo.-
I suoi occhi si spostarono sui suoi piedi. Li osservò con incredibile concentrazione. Sembrava assorto nei suoi pensieri. -È che non mi ci vedo. Io non ho mai seguito le regole, come posso portare un popolo di milioni di persone a farlo? Che esempio sono?-
La voce tradì la sua emozione di quel momento. Era veramente preoccupato per il suo futuro, aveva il terrore di non essere all'altezza del compito.
-Cambierai le leggi, toglierai le regole che per te sono "troppo", non avere paura. In un certo senso è stato proprio il popolo a darti il potere.-
Si tenne ben saldo alle corde, mentre la lingua lambì le sue labbra, passando da destra verso sinistra. Osservai il suo piercing scivolare lungo quelle linee rosa e sospirai. Lorenzo iniziò a guardarmi con occhi diversi. Quella serietà e quella velata paura di prima, scomparvero. Le sue pupille si dilatarono e i suoi muscoli si contrassero. -Vieni qui.- Gracchiò con la voce roca. Quelle parole mi fecero sentire una scossa lungo tutto il corpo e lo stomaco si rigirò su se stesso, dandomi la fatidica sensazione delle farfalle nello stomaco, appunto. Mi alzai, scuotendo via dai pantaloni la terra e i fili d'erba. La pressione sanguigna aumentò insieme al ritmo respiratorio. Riuscivo a percepire dentro la mia testa ogni singola attivazione di parti del mio corpo, che di solito restavano latenti. Appena fui vicina, mi prese per il sedere, aprendo i palmi sulle mie natiche, e mi spinse a sé. Il mio seno picchiò sulla sua faccia e lui imprecò. Le sue mani risalirono lentamente verso l'alto, scivolando lungo la schiena. La pressione delle sue dita era sempre forte e mi costringeva a restare immobile sotto la sua presa. Poi una delle sue mani entrò tra le mie cosce serrate e me le aprì, per poi indurmi a mettermi a sedere su di lui. Una volta seduta, lui mi guardò. La maglietta era leggermente scesa sul collo e potei scrutare i suoi tatuaggi, che resero la situazione ancora più bollente. Io nel frattempo mi ero accaldata e mi ero anche accorta di una certa erezione provenire dal basso. Avvampai e lui rise. -Sono felice di vederti.- E fece spallucce. Io risi nervosamente, ma i miei pensieri erano completamente concentrati sulle sue mani che mi tenevano stretta, strizzandomi la pelle. Improvvisamente si alzò, io tentai di tenermi aggrappata all'altalena, ma questa mi sfuggì. Accavallai le gambe attorno ai suoi fianchi e lui mi tenne ben salda, poggiando le mani sotto al mio sedere. Le sue labbra sfiorarono le mie, poi se le inumidì con la lingua e me le toccò ancora. Mi fece scendere e si avventò sulla mia maglietta. La prese da entrambi i lati e la fece volare via, il tutto avvenne così in fretta da non permettermi nemmeno di rendermene conto. Le sue mani si avventarono sui miei seni, coperti dal tessuto in pizzo del mio reggiseno. Ringraziai la me stessa della sera prima per aver scelto uno dei pezzi di intimo più carini che avevo. Infilai le mani tra i suoi capelli e spinsi la sua testa in basso. Lui grugnì e alzò lo sguardo, carico di lussuria, su di me. Sorrise e con i denti strappò il pizzo, ma non me ne importò. Prese tra le labbra uno dei miei capezzoli e leccò intorno ad esso, per poi succhiare dolcemente. Gettai la testa all'indietro, la sola visione della sua faccia affondata sul mio petto mi faceva eccitare. Poi risalì verso la mia bocca e mi leccò le labbra, sentii ogni centimetro del metallo del suo piercing. Non potetti fare a meno di pensare a quel pallino in un'altra zona del mio corpo. Mi accaldai ancora di più e mugolai. Volevo di più da lui, sapevo che sarebbe stato capace di darmi tanto di più. Gli presi la faccia tra le mani e lui si raddrizzò, piegai la testa per guardarlo. -Ne voglio ancora...- Mugugnai, mordendomi la carne morbida delle mie labbra. Lui mi fissò con lo sguardo pieno di passione. -Non ora e non qui.- Si staccò da me. Quel suo allontanamento fu come un ritornare alla realtà. Improvvisamente mi resi conto che ci trovavamo nel giardino di casa mia e che chiunque ci avrebbe potuto vedere, se già non era successo. Mi chinai per terra per infilarmi la maglietta. -Cosa intendi?- Chiesi, nel frattempo.
-Che ho una sorpresa per te.- Mi strizzò l'occhio. Prese la mia mano nella sua e la strinse. Mi tirò a sé e mi baciò sulla testa, per poi abbracciarmi. -Ti prego, picchiami se cercherò di allontanarti ancora.- Sussurrò, ridendo.
-L'hai detto, eh!- Scherzai, di rimando. Mi lasciò una scia di baci dietro alle orecchie e mi bisbigliò parole che non avrei potuto ripetere a voce alta senza diventare un tizzone ardente.

Quella sera mia madre non aveva fatto rientro alla villa e nemmeno mio padre. La nonna, invece, si era chiusa nel suo studio e non aveva voluto parlare con nessuno. Mi sembrò alquanto strana una situazione del genere e tentai di chiamare più volte i miei genitori, ma i telefoni squillavano a vuoto. Forse erano stati trattenuto al palazzo di Giustizia. Ero certa che mia madre sarebbe stata in grado di affrontare qualsiasi cosa, così non ci pensai su molto. Presi il sentiero più illuminato e seguii le istruzioni che Lorenzo mi aveva dato, "all'albero più alto con un'edera che gira intorno al suo tronco, vai dritta e vedrai la casa". In effetti dopo poco tempo incontrai proprio un albero altissimo, i cui rami sembravano toccare lo spazio. Mi affrettai a raggiungere il porticato, mettendo velocemente un piede dietro l'altro. Improvvisamente qualcosa cadde alle mie spalle, percepii un tonfo sordo. Mi voltai in maniera repentina e la mia faccia fu attraversata da una stilettata di dolore, la mia testa si piegò di lato in maniera innaturale e caddi a terra, poggiandomi con le mani per evitare che la testa sbattesse contro al pezzo di roccia sotto di me. Alzai lo sguardo, spaventata, e vidi gli occhi maledetti di quell'uomo. Mugolai dalla disperazione e lanciai un'occhiata alla casa in legno lì vicino. -Se urli, ti taglio la gola.- Detto ciò, si passò la lingua sulle labbra secche e frastagliate. Poi rise, sventolando in aria un coltellaccio lungo e affilato. Deglutii, ancora piegata per terra. Non doveva essere in qualche prigione o cella? Come aveva fatto a fuggire? Mi guardai indietro e riconobbi una delle guardie, che era presente anche in tribunale quella mattina. Erano stati i soldati a liberarlo, erano rimasti fedeli al loro vecchio Re. -Cosa vuoi da me?-
Leccò la lama del coltello, per poi pigiare la punta sulla mia fronte. Strizzai gli occhi, percependo la carne lacerarsi. Un rivolo di sangue scivolò lungo il mio naso. -Ti voglio morta. E voglio ammazzare anche il tuo caro fidanzatino.- Tolse il coltello dalla mia fronte e succhiò il sangue che vi era rimasto incollato. Grugnì come un maiale. -A proposito, il caro Re è qui?-
Scossi la testa. Aprii i palmi delle mani per terra e raccolsi più terriccio e foglie secche che potetti. Poi alzai le mani e lanciai quell'ammasso marrone e polveroso dritto verso la faccia del vecchio Re, che oscillò all'indietro, lasciando cadere il coltello. Le guardie corsero verso di me, ma io ebbi i riflessi di raccogliere quell'arma e allungare il braccio davanti a me, minacciando gli uomini. Sicuramente una ragazza che non sapeva nemmeno tagliare un peperone con un coltello da cucina non poteva far paura, ma per qualche strano motivo i soldati iniziarono ad indietreggiare. Il vecchio Re si stava strofinando ancora, con i pugni chiusi, gli occhi, pieni di terra e polvere. Sghignazzai, vedendo il terrore nei loro sguardi.
-Luce, scappa dentro casa. Qui ci penso io.- Mi irrigidii e capii. Abbassai la mano con il coltello e roteai gli occhi al cielo. Era ovvio che quegli energumeni non avessero paura proprio di me, ma semmai di qualcuno che era al loro livello, se non superiore, per forza fisica e per preparazione atletica. Ma io non mi volevo dare per vinta. -Resto dietro di te, non si sa mai.-
Lorenzo aggrottò la fronte, guardandomi. -Proprio adesso vuoi fare l'eroina? Non voglio che ti succeda nulla.-
Sorrisi. -Non sono un pezzo di vetro.-
-Poco ci manca però.- Scherzò, per poi farmi indietreggiare con il suo braccio premuto sul mio petto. -Adesso gliela faccio vedere io a queste teste di cazzo. Per la cronaca...- Abbassò lo sguardo sul vecchio Re, che aveva letteralmente le lacrime agli occhi. -Quello schiaffo non mi è piaciuto per niente e dovrei sbudellarti vivo soltanto per quello.- E sputò sulla terra davanti a sé, mancando per poco l'uomo dalla barba lunga.

Eppure fuggo                       •A royal love story•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora