•XXVII•

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"Ci vuole tutta la vita per imparare a vivere e, quel che forse sembrerà più strano, ci vuole tutta la vita per imparare a morire.
(Lucio Anneo Seneca)"

Era scesa una nebbia fitta intorno a noi, non si riusciva a distinguere i tronchi degli alberi dalle piante infestanti, che si inerpicavano dalla terra. Sembrava che una nuvola si fosse posata proprio dove noi stavamo camminando e ci seguisse nel nostro percorso. -Pensi che i lupi siano sempre dietro di noi?- Mugolai, calpestando il terreno ormai umidiccio. Lui sospirò. -Non temo i lupi. Dobbiamo preoccuparci dei due sicari. Di loro sappiamo sicuramente che vogliono farmi fuori e tu sarai la conseguenza che è capitata nel momento sbagliato.- Deglutii a fatica e inciampai su di una radice abbastanza emergente. Sentii la sua mano sotto al mio braccio, pronta a non farmi cadere. Mi spostai dalla sua presa. -Faccio da sola.- Strinsi i denti. Non vidi molto bene, ma mi parve di intravedere i suoi occhi che si alzavano al cielo. Bella faccia tosta a fare l'annoiato con me, quando quello che aveva cambiato umore trecento volte in un'ora era stato lui. Prima mi abbracciava, mi cercava e mi voleva, poi mi allontanava, mi trattava da stupida e mi rispondeva male. Non capivo come mai avesse quell'atteggiamento con me e, non conoscendolo molto bene, mi domandai se facesse così con tutti. Mi morsicai le labbra, nervosa per lui. Improvvisamente la mia mente si era riempita di mille domande, a cui non riuscivo a dare una risposta. -Con questa nebbia non arriveremo mai alla fine del bosco. È impossibile.- Affermò, proseguendo dietro di me. Mi accigliai, continuando a camminare. -E cosa suggerisci di fare?-
-Fermarci finché non svanirà.-
-E se ci raggiungono quei due?-
Sentii la sua mano picchiettare sul ferro del fucile. -Sono lontani ormai.- Quelle parole non mi consolarono di certo, anche perché il tono della sua voce aveva tradito ciò che pensava veramente, ovvero che non erano poi così lontani. Ci fermammo in uno spiazzo d'erba, privo di alberi. Alzando la testa al cielo potevamo vedere le stelle, visto che la nebbia era a bassissima quota. Era come trovarsi nel bel mezzo delle nuvole, ma con l'odore della terra bagnata e del legno umido. -Ci mettiamo qui?-
Sussurrai. Lui annuì e mi passò la sua torcia. -Mettitela in testa. È più comodo.- Mi fece avvicinare ed aprì lo strappo della fascia. -Ma serve a te.- Ribattei.
-A me basta la tua torcia, tu resta qui e io vado a cercare della legna per accendere un fuoco.-
Sgranai gli occhi. -Stai scherzando?! Sarebbe come urlare "venite a prenderci, siamo qui!".- Lorenzo scosse ancora la testa, sbuffando. -Luce, saprò o no cosa faccio? Mi devi credere, se non vuoi morire di freddo.-
Incrociai le braccia sul petto. -Allora la fascia serve a te, se devi raccogliere la legna.-
-Tu dovrai tenere questo in mano, quindi non hai modo di usare anche la torcia.- Oscillò il fucile davanti a me. Indietreggiai leggermente. Non avevo idea né di come si usasse né di come funzionasse. -No, no...io non so come si fa.-
Cominciai a tremare. Lui mi prese per le spalle, obbligandomi a guardarlo dritto negli occhi. -Vuoi o no sopravvivere? Devi tenerlo tu. Se arriva qualsiasi cosa minacciosa, spara.- Tirò su le mie mani e mi fece impugnare il fucile. -Guarda, devi fare così.- Mi dimostrò come caricarlo e come posizionarlo per evitare che crollassi a terra per la forza dello sparo. Non ero molto convinta di tenerlo, ma la sua voce gridava un "devi", non un "potresti". Si allontanò con passo svelto e si inoltrò nella coltre di nebbia, per poi sparire completamente dalla mia vista. Mi girai più volte intorno, assicurandomi che nessuno fosse nei paraggi. La paura stava aumentando l'adrenalina nel mio corpo e le gambe avevano cominciato a traballare come una vecchia sedia. Io speravo soltanto che tornasse presto e che non avesse incontri strani con animali o, peggio, con i tirapiedi del Re. Buttai giù la bile insieme alla saliva e aprii la bocca per prendere profondi respiri. Dovevo cercare di controllare l'ansia e il terrore o non sarei sopravvissuta a quella notte. Mi misi a sedere proprio al centro di quel fazzoletto di terra, dopo essermi assicurata che non si aggirasse niente di losco nei paraggi. Lorenzo era ormai via da decine di minuti e l'ansia, che si potesse essere perso o fosse stato catturato, diventò sempre più prorompente. Provai a non pensarci, ma dentro di me mi dissi che se non fosse stato lì entro cinque minuti sarei andata a cercarlo.
All'improvviso sentii una scossa scuotermi il corpo, caddi all'indietro di schiena. Portai la mano al collo e vidi che usciva sangue. La testa mi girava e cominciavo a vedere tanti piccoli puntini luminosi. Non era un bel segno. Provai ad alzarmi, ma il dolore mi stava trattenendo a terra. Le orecchie erano completamente tappate e un forte mal di testa si stava insinuando nel mio cervello. Restai distesa, mugolando e ansimando per il dolore. Non capivo cosa fosse successo. Forse un animale mi aveva attaccata da dietro? E quell'animale avrebbe finito la sua opera, sbranandomi? Non sentii niente intorno a me, finché qualcosa non si parò davanti ai miei occhi. Era una silhouette da uomo, molto massiccio. -Eccoti qua, pezzente.- Aprii e chiusi gli occhi più volte per cercare di mettere a fuoco la situazione, ma mi stavo rendendo conto di perdere sempre di più la percezione di me stessa. Poi tutto diventò scuro e non sentii nemmeno una voce. Con le labbra tentai di chiamare Lorenzo, ma non ne uscì niente.

Eppure fuggo                       •A royal love story•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora