•XLV•

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"Tutto, tutto ciò che so, lo so solo perché amo."
(Lev Tolstoj)

Scivolai su di una roccia ricoperta di muschio e caddi in avanti, portai le braccia a coprirmi la testa e sbattei violentemente il corpo per terra. Sentii un forte dolore irradiarsi dalle ginocchia, guardai velocemente in basso e vidi del sangue sgorgare dalle ferite che mi ero appena procurata. Imprecai e tentai di rialzarmi, aggrappandomi all'erba del suolo marcio sotto di me. Riuscii a mettermi in piedi, ma, non appena allungai la gamba per iniziare di nuovo a correre, il dolore e la vista del sangue mi fecero girare la testa. Tutto ciò che avevo intorno cominciò a rendersi offuscato, colpito da tante piccole stelline gialle e successivamente da puntini neri. Sentii la nausea aggrovigliarmi lo stomaco e poi non vidi più niente.
Ondeggiavo in su e in giù, i piedi erano come panni stesi sul balcone di casa, che si muovevano sospinti dal vento. Le palpebre erano così pesanti e stavo talmente bene che non avevo nessuna voglia di aprirle e farmi colpire dalla luce. Non sapevo dov'ero, cosa stava succedendo. Mi trovavo in un prato verde, talmente verde da somigliare a una enorme distesa di caramelle alla menta, di quelle che ti fanno bruciare la gola e la lingua. Piccoli mazzetti di margherite formavano dei grossi cuori e qualcuno mi stava chiamando per nome. Una figura lontana, scura, aveva la mano alzata. Poi riconobbi il suo sorriso e aprii la bocca per chiamarlo, ma non uscì nessun suono. Strinsi i pugni e tesi il collo, riprovai ad urlare, ma niente. La figura diventava sempre più lontana e sempre più arrabbiata. Le gambe erano diventate due tronchi d'albero, non riuscivo a muoverle e nemmeno più a sentirle. Portai le mani alla gola e cominciai a stringerla, senza volerlo mi stavo uccidendo. L'aria non passava più per la gola, le tempie stavano per scoppiare e i bulbi oculari per sgusciare fuori dalle orbite.
Poi sentii la gota frizzare, una sensazione fastidiosa. Il prato iniziò a diventare una enorme nuvola di fumo, la cornice si stava spezzando, tutto stava implodendo e così anche la mia mente.
-Luce!-
-Luce! Cazzo, apri gli occhi!-
Le parole erano così lontane e poco nitide. Come un rimbombo al di là della collina.
-Sta perdendo troppo sangue. Dobbiamo portarla in ospedale.- Sentenziò Ettore, che aveva la mia testa tra le sue gambe. Aprii gli occhi lentamente e ciò che vidi fu il mento del ragazzo sollevato in aria a guardare una persona in piedi accanto a lui. Richiusi gli occhi.
-In ospedale il Re farà di tutto per rapirla. È troppo pericoloso.-
Sentii passi pesanti avvicinarsi. -Stanno arrivando!-
Qualcuno imprecò, un altro sputò per terra. -Se non la facciamo curare, morirà dissanguata.-
-Come cazzo hanno fatto a colpirla così?-
-Cecchini.- Una ragazza, la cui voce mi era lontanamente familiare, parlò con risolutezza. -Dovevamo aspettarcelo.- Concluse.
Sentii che la mia testa veniva spostata per essere poggiata sopra a qualcosa di morbido. Forse una giacca oppure un paio di guanti.
-Cristo, non so cosa fare.- Ettore aveva cominciato a camminare in tondo con le mani tra i capelli. Lorenzo si era accucciato vicino a me, mi aveva preso la mano. -Luce, mi senti? Se mi senti, stringi la mano.-
Io feci come mi aveva detto. -Ragazzi, ci sente.-
-Come stai? Se senti dolore, stringi la mano.-
Tutti aspettarono con apprensione per qualche secondo. -Non sente dolore. Adesso stringi la mano se sei d'accordo ad andare in ospedale.-
-Che glielo chiedi a fare?- Intervenne Ettore, sbuffando. -È ovvio che voglia essere salvata.-
-Lei sa che lì sarà vulnerabile.-
Io strinsi leggermente la mano.
-Ci vuole andare.- Lorenzo sollevò la testa verso i suoi compagni. -Aiutatemi a trasportarla. Attenti alle ferite, cercate di farla sanguinare il meno possibile.- Sospirò, per poi leccarsi le labbra.
-Josè, vai a prendere la jeep e cerca di avvicinarla il più possibile a dove siamo.- Impartì un ordine ad uno dei suoi soldati, che immediatamente cominciò a correre su per la collina, per poi scomparire. -Ettore, prendi le gambe, mentre voi sollevate il bacino. Al mio tre lo facciamo tutti insieme delicatamente.-
Per fortuna non sentivo dolore, anzi non mi rendevo proprio conto di cosa fosse successo e di come ero finita in quella posizione e in quelle condizioni. Mi ricordavo solo di un enorme prato verde e tante piccole margherite. -Uno...due...e tre.-
Venni sollevata in un batti baleno. La mia testa si piegò indietro, ma Lorenzo la risollevò subito. Aprii leggermente gli occhi e incrociai lo sguardo del ragazzo. Aveva il terrore stampato in faccia, che cercava di nascondere con la determinazione che un Re e un condottiero dovevano avere. Ma io riconoscevo quelle rughette sulla sua fronte e quello sguardo perso nel vuoto. -Ti salveremo, Luce. Ti salverò.- Disse a denti stretti, per poi guardare avanti a sé.

Eppure fuggo                       •A royal love story•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora