•XXVIII•

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"La paura può farti prigioniero. La speranza può renderti libero."
(dal film Le ali della libertà)

La folla si era radunata di fronte alla cattedrale Maggiore. Non volava nemmeno una mosca, c'era un silenzio che ti faceva provare profonda inquietidune. Salii i gradini per raggiungere le tre enormi navate e la bara procedette davanti a me. Era sollevata dagli stessi uomini che lo avevano condannato a morte. Avrei voluto urlare a tutti che la sua morte era frutto di un complotto, ma era mio compito non finire decapitata e continuare la mia lotta nascosta contro il Re. Raggiunsi una delle prime panche e feci per sedermi, ma il mio polso fu stretto da una morsa infernale. Sollevai lo sguardo, impaurita, ed incrociai gli occhi demoniaci del padre di Lorenzo. -Tu, puttana, ti siedi in fondo. È colpa tua se lui si trova lì dentro.- E mi strattonò. Quelle parole e quel gesto furono così inaspettate, che non ebbi il tempo per rielaborarle e rispondere. Mia nonna mi aveva preso per i fianchi e mi aveva condotta alle panche centrali, cercando di calmarmi. Lui stava facendo sicuramente il doppio gioco, accusava me della dipartita del figlio e non si faceva nemmeno un'analisi interiore di ciò che lui aveva sbagliato? Era tutto così assurdo. Il mio petto era dolorante per quanto avevo pianto in quei due giorni e non avevo nemmeno più sensibilità sotto alle narici del naso per quanto me lo ero soffiato. Mi sedetti sul legno massiccio e incrociai le mani sul grembo, mentre la stoffa dei guanti neri strofinava l'una sull'altra. La velina davanti ai miei occhi mi permetteva di osservare gli altri, senza essere vista. I presenti erano per lo più giovani ragazze e giovani ragazzi dall'aria quasi atterrita. Nessuno avrebbe mai creduto che un guerriero come Lorenzo sarebbe potuto morire in quel modo. La morte, un concetto così astratto eppure anche così concreto. Aveva portato via una delle anime più enigmatiche che conoscevo e una delle persone più indecise del mondo, ma che io adoravo. Adoravo veramente. Sapere che le sue mani non mi avrebbero più toccata, che le sue labbra non avrebbero più sfiorato le mie...un nodo si era formato all'altezza della gola e non mi permetteva di deglutire senza sentire dolore. In fondo sentire dolore era la cosa migliore che potesse capitarmi, almeno qualcosa sentivo. Sospirai non appena entrò il vescovo. Aveva le mani alzate e stava ripetendo una preghiera in latino, dietro di lui camminavano in fila indiana un gruppo di ragazzini dall'età incerta. Avevano in mano dei piccoli recipienti, che facevano oscillare con le catene, dentro ai quali usciva il fumo dell'incenso. Odiavo quell'odore, mi nauseava. La nonna si piegò verso di me. -Non mollare, tesoro. In fondo alle tenebre c'è sempre la luce.- E mi strizzò l'occhio. Aggrottai la fronte, confusa dalle sue parole. Cosa intendeva dirmi? Forse che non dovevo piangere a dirotto perché prima o poi sarebbe passato tutto? Grazie nonna, lo sapevo anche io. Anche se "tutto" non sarebbe mai passato.

Finito il funerale fummo, in pratica, cacciati fuori dalla cattedrale, perché il nuovo Re doveva fare il suo discorso. Ogni volta che veniva proclamato il nuovo Re, questo avrebbe dovuto sostenere un lungo discorso di presentazione, in cui avrebbe parlato di ciò che avrebbe fatto per migliorare il Reame e le leggi che avrebbe introdotto o modificato. Di solito restava quasi sempre tutto uguale.
Scesi la scalinata e vidi, proprio in fondo a dove mi trovavo, Francesco. Deglutii con forza e provai a non guardarlo. Mi alzai il vestito e feci velocemente gli ultimi gradini, sperando che non mi avesse ancora vista.
-Luce!- E invece mi aveva vista eccome. Mi bloccai con la mascella chiusa in una morsa. Mi voltai, senza nemmeno esibire il solito falso sorriso, che si sfoggiava a chiunque ci rivolgesse la parola. -Non ti ho più vista. Come stai?- Quella domanda mi fece rigirare tutte le budella nel corpo, improvvisamente la sua faccia angelica aveva assunto le sembianze di un diavolo maledetto. Non potevo guardare quei capelli perfettamente acconciati all'indietro, mi davano il voltastomaco. -Davvero me lo stai chiedendo?-
-Io...lo so, cioè...- Si grattò nervosamente la testa, sbiascicando qualche parola di troppo. Puntellai il piede da una parte, sbattendolo velocemente a terra. -Non sto affatto bene, caro Re.- Marcai la "r" dell'ultima parola. -Sono stata in un bosco per cercare di aiutare un tuo amico, per cercare di salvarlo dalla morte praticamente certa, voluta dalla tua famiglia. E tutti mi trattano come se lo avessi...come se lo avessi...- Mi si spezzò la voce e mi odiai per non riuscire a tenere un tono adeguato. -ucciso io. E invece io ho cercato di evitargli in tutti i modi quello che gli è successo. E tu? Tu ti sei fatto incoronare, infischiandotene di Lorenzo e di me. Sei soddisfatto? Hai la tua cazzo di corona, ora lasciami in pace.- Sollevai il vestito nero e gli diedi le spalle, correndo via. Francesco non ribatté, né mi corse dietro. Restò con la faccia da pesce lesso, fermo in piedi. Aveva le sopracciglia aggrottate e un indecifrabile sguardo. Mi allontanai ed entrai in auto, scoppiando nuovamente a piangere. Avrei trovato le prove di chi aveva organizzato quella imboscata e avrei fatto pagare la morte di Lorenzo dal primo all'ultimo. Ci avrei giurato la mia vita.

Eppure fuggo                       •A royal love story•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora