•XXXIX•

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"Nessuno, neanche un poeta, ha mai misurato la capacità di un cuore."
(Zelda Fitzgerald)

Le due settimane seguenti non avevo più sentito Lorenzo. Era come scomparso, avevo cercato di contattarlo attraverso Ettore, che spesso veniva a trovarmi nella casa universitaria, ma il cellulare di Lorenzo squillava sempre a vuoto.
-Che fine avrà fatto?- Gettai la testa sul cuscino del letto, urlandovici contro. -Sono quasi due settimane che non si fa sentire.-
Alice si sedette accanto a me, sospirando. -Devi capire che adesso è un Re e che ha doveri da portare a termine. Magari in questi giorni ha dovuto gestire parecchi affari, chi lo sa.-
-E non hai cinque minuti per me?- Mugolai. La mia amica scosse la testa, affranta. -Non so che dirti.-
Qualcuno suonò al campanello. Drizzai la testa, mentre l'adrenalina crebbe nel mio corpo fino a raggiungere la testa. Alice mi guardò con lo sguardo di chi voleva evitare che mi illudessi. Mi alzai dal letto tutta in fretta, con ancora il pigiama addosso. Corsi attraverso il corridoio e arrivai alla porta, la spalancai e il sorriso mi morì sulle labbra. Le mie spalle cedettero e il mio corpo ritornò allo stato di equilibrio di sempre. -Luce...-
Deglutii con forza. -Francesco...-
-Posso entrare?- Io annuii, facendomi da parte. Poi guardai in basso e mi accorsi di avere addosso il pigiama più brutto che avevo. Sollevai gli occhi al cielo. Alice aveva fatto capolino dalla sua stanza e poi era tornata dentro. Io e Francesco ci sedemmo sul divano del soggiorno e restammo qualche attimo in silenzio. Lui incrociò le mani tra di loro, nervosamente. -Mi dispiace non essere passato prima, ma con mio padre...sai.-
Annuii. -Certo, non ti preoccupare. Non deve essere facile per te.-
Lui distolse lo sguardo, morsicandosi le gote. -Non so come abbia potuto farti quello che ha fatto. Mi sento in colpa...posso fare qualcosa?-
Drizzai la schiena. -Ma ci mancherebbe! Non è colpa tua, è stato il vecchio Re. Siete due persone diverse e non ti incolpo di niente.- Gli presi la mano, stringendola. Lui mi sorrise appena. -Sarà incarcerato. Per qualche anno non lo vedremo.- Continuò, grattandosi, poi, la nuca. Mi accorsi della sua espressione tormentata e del dolore che provava, mi ricordò la faccia di Lorenzo all'ospedale, quando si sentì in colpa per non avermi difesa come avrebbe voluto. Immediatamente il mio cuore si appesantì e percepii un dolore acuto all'altezza del petto. Lo stomaco si chiuse in una morsa immaginaria. -Sai...ehm...sai che fine ha fatto...- Cominciai, ma vidi Francesco annuire con forza. -Lorenzo?-
-Sì.- Sussurrai. Lui mi sorrise.
-Non devi preoccuparti, so bene cosa c'è tra di voi. Ma devo dirti che Lorenzo è strano in questi giorni, è chiuso nello studio reale ventiquattro ore su ventiquattro e non parla con nessuno. Mangia solo quello che gli viene lasciato davanti alla porta e non fa altro che urlare al telefono non si sa con chi.- Quelle parole mi sembrarono più uno sfogo che altro. Quindi Lorenzo era tormentato tanto quanto me, con la differenza che lui adesso aveva il peso di un regno sulle sue spalle. Deglutii. -Lavorate insieme?-
Lui fece di sí con la testa. -Mi ha chiesto di diventare il suo braccio destro.-
-È un bene, no?-
Lui sospirò. -Se solo mi facesse entrare nel suo studio.-
Mi morsi le labbra, pensierosa. Non doveva essere facile diventare Re in una modalità così particolare, soprattutto non era semplice sopportare giornali e riviste che parlavano soltanto dell'ascesa del nuovo Re. Tutti gli occhi erano puntati su di lui, grazie anche al fatto che, sotto a tutto ciò, vi era stato uno scandalo incredibile. La pressione doveva essere insormontabile. -Luce, vorrei che tu venissi con me.- Disse tutto d'un tratto.
Mi accigliai. -Perché?- Il mio respirò cominciò ad arrancare.
-Forse tu sei in grado di aiutarlo. Sono davvero preoccupato per lui e non credo sia nelle condizioni di portare a termine gli affari, se sta così.- Pronunciò quelle parole con un filo di voce. -Ettore ha provato ad arrampicarsi fino alla finestra, ma era chiusa a chiave e non è riuscito a vedere niente.-
Sussultai. Era davvero così grave la situazione? Ed io che mi lamentavo perché non mi chiamava e non rispondeva alle mie di chiamate.
-Vengo con te.-

L'entrata del castello mi fece salire l'ansia. Sentii il mio intestino contorcersi e farmi male. Asciugai le mani piene di sudore sul vestito che avevo indossato e procedetti con passo incerto. Seguii Francesco fino alla prima scalinata, per poi voltare verso un lungo corridoio poco illuminato. La saliva si azzerò e così il cuore cominciò a pompare il doppio del sangue. Mi si intorpidirono le dita delle mani e mi guardai attorno per evitare di pensare troppo. Le pareti grigie di quei muri non erano un granché, le uniche cose che si salvavano era i lampadari bellissimi sopra le nostre teste. A seconda di come la luce cadeva, il vetro dei bracci lunghi proiettava delle figure geometriche sul pavimento in velluto. Finalmente arrivammo alle porte dello studio. Francesco bussò, ma qualcuno dall'altra parte brontolò. Il ragazzo mi guardò, disperato. -Ti lascio qui. Ti prego, fai qualcosa.- Disse, per poi allontanarsi.
Io puntai gli occhi in alto, le porte erano enormi e le ginocchia mi tremavano dall'emozione. Non capii bene come mai fossi così in ansia, non aveva senso. Era il solito Lorenzo di sempre, niente di più e niente di meno. Eppure sentivo qualcosa dentro di me, qualcosa che mi faceva temere un ulteriore suo rifiuto. Non avrei sopportato, dopo tutto quello che avevo passato, che lui mi mandasse via ancora. Bussai. Silenzio. Bussai ancora. -Lorenzo, sono io.-
Sentii qualcosa cadere per terra, forse un posacenere. Poi i passi si fecero sentire e percepii la serratura scattare. Portai la mano alla maniglia e l'abbassai. Le porte si aprirono e davanti a me apparvero centinaia di fogli sparsi per terra, libri aperti sulle sedie e il computer sommerso da documenti e fascicoli. Alzai lo sguardo, esterrefatta, su Lorenzo. I suoi capelli erano tutti arruffati e la barba non era più stata curata. Indossava una camicia di lino, semi aperta sul petto e un paio di pantaloni neri. Era scalzo, con solo un paio di calzini. Le maniche tirate su della camicia mostravano i suoi taguaggi "illegali".
-Che vuoi?- Disse con la voce graffiata. Sollevai le sopracciglia. -Non iniziare.- Sentenziai.
Lui mi diede le spalle e andò verso la poltrona dietro alla scrivania. Con la mano buttò a terra i fogli spiegazzati sopra e ci si sedette. Raccolse qualcosa da sotto la matassa bianca e poi accese un fuocherello. Il puzzo di fumo mi fece tossire. -Sono due settimane che sei chiuso qui dentro. Cosa pensi di fare?-
Lui aspirò dalla sigaretta. -Quello che mi pare?-
Sbuffai. -Non attacca con me.-
Lui fece spallucce, prendendo uno dei tanti documenti, leggendolo con noncuranza. -Lorenzo, ti prego. Perché fai così? Ti ricordo che mi avevi detto che se mi avessi allontanata ancora avrei potuto picchiarti.- Cercai di smorzare la tensione, ma lui nemmeno mi guardò. Puntai le mani sui fianchi, sbattendo un piede nervosamente per terra. Visto che non ricevetti considerazione, mi avvicinai con passo pesante verso di lui. Sapevo bene che quello era il suo modo di difendersi, uno scudo che si era creato ad hoc per la sua fragilità. Non amava farsi vedere debole ed usava la fuga e l'indifferenza per proteggersi. Gli arrivai davanti, presi tra le dita la sigaretta e la spensi dentro al posacenere dietro di lui. I suoi occhi si spalancarono e la sua mano accartocciò il foglio di carta, che teneva stretto. Si raddrizzò sulla poltrona e mi alzò da sotto le spalle, portandomi a farmi sedere su di lui. Lo fece talmente in maniera improvvisa che il cuore mi salì in gola. Mi ritrovai con la faccia a pochi millimetri da lui e deglutii, guardando le sue iridi azzurre dipingersi di passione. Si leccò le labbra e portò la sua mano sulla mia gola, prima carezzandola con due dita, poi stringendola con forza. Sentii la testa scoppiarmi e un piacevole dolore risalire lungo il corpo. Oscillai, involontariamente, i fianchi sopra di lui e Lorenzo emise un suono gutturale molto eccitante. Tentai di parlare, ma l'altra sua mano si poggiò sulla mia bocca, per poi ficcarci dentro due dita. Mi obbligò ad avvicinare ancora la mia testa. Inspirò ed espirò, per poi far scorrere le dita dalla gola alla scollatura del vestito. Il tutto sempre guardandomi fissa negli occhi. Io rimasi immobile, avevo bisogno che mi toccasse in quel modo e non potevo impedirglielo, perché mi piaceva. Mi fece inclinare il collo in avanti e posò le sue labbra umide sul petto, risucchiando leggermente la pelle, che era già pronta ad ogni tipo di stimolazione. Poi si staccò e le sue mani scesero sulla gonna del vestito, prima sui fianchi e poi sotto ad essa, sulle cosce. Velocemente le sue dita lunghe raggiunsero le mie mutande, strizzandomi le natiche fino a quasi farmi provare dolore. Poi il suo dito medio si insinuò sotto al mio intimo e sentii il suo respiro farsi pesante, tanto quanto il mio. Mi aggrappai alle sue spalle e ondeggiai i fianchi verso di lui, per far sì che si spingesse più in fondo. Allora affondò il dito tra le pieghe della mia intimità e iniziò a massaggiarmi l'interno, con movimenti alternati tra dentro e fuori. Mugugnai e gettai la testa all'indietro, allora lui aggiunse un secondo dito e portò la sua bocca sul mio collo, leccandolo e grugnendoci sopra. Sentii il rumore dell'eccitazione e il suo braccio e la sua mano si muovevano velocemente. Ansimai e sentii l'altra sua mano spingere sulla mia schiena per tenermi ben salda su di lui. Gli morsi la spalla per l'effetto dei suoi movimenti, ma si interruppe.
Mi staccai con il fiatone e lui mi guardò. Mi prese per il sedere e si alzò in piedi. La mia testa era confusa e il piacere non mi stava facendo ragionare lucidamente. Mi poggiò sulla scrivania, buttando per terra con l'avambraccio tutto quello che vi era sopra, compreso il computer. Mi allargò le gambe e mi tolse le mutandine. Fece scivolare le mani sulle mie cosce interne e piegò la schiena in avanti. Sollevò lo sguardo su di me, che mi stavo reggendo con le braccia sull'asse di legno, e sorrise, tirando fuori la lingua forata dal piercing. Immediatamente capii e una stiletta di piacere fece drizzare ancora di più i miei capezzoli. Le sue labbra affondarono tra le pieghe della mia intimità e gettai la testa indietro, sospirando. La sua lingua leccò dal basso verso l'alto, mentre il pallino di metallo strusciò contro la carne umida. Poi la punta cominciò a ruotare attorno al mio clitoride, prima allargando la base della lingua, avvolgendolo interamente, lasciandovi sopra una scia calda, poi pizzicandolo con movimenti più veloci e netti. Sentii montare il piacere, ma le sue dita si conficcarono per bene sulle mie cosce, guardai in basso e pensai che quelle mi avrebbero lasciato dei lividi. Sorrisi al solo pensiero. La sua lingua continuò a strusciarsi contro e poi oscillò all'interno, facendomi gustare il momento. Infilai le mani tra i suoi riccioli e gli feci sollevare la testa. Lui mi guardò con gli occhi lucidi, leccandosi le labbra. Si avventò sulle mie di labbra, allora, e mi baciò con passione, avvolgendo e contorcendo la sua lingua attorno alla mia. Io mi spinsi contro di lui e allungai le mani verso la sua patta. Lui sorrise tra le mie labbra, sghignazzando. Si tirò giù i pantaloni e subito dopo le mutande. Sospirai e lui si morse la bocca bagnata. Fece passare la mano dietro alla mia nuca e mi afferrò i capelli. Piegai la testa e sentii il calore della sua pelle contro la mia. -Va bene?- Bisbigliò contro il mio collo. Io annuii con foga e lui afferrò il suo membro, per poi entrare dentro di me con una pressione lenta e dolce.
Chiusi le gambe attorno ai suoi fianchi e gli feci capire che volevo di più. Allora mi premette una mano sul petto e mi fece pendere all'indietro, sollevando la gonna fin sopra il mio ombelico. Cominciò a spingere sempre più velocemente e con forza. Si aggrappò alla scrivania e grugnì. Vidi le vene delle sue braccia pulsare e con le dita della mia mano strappai la sua camicia di lino, che si aprì sul suo torace e sui suoi addominali scolpiti. Era sudato, ma continuava con le sue spinte. Sentii interamente la sua eccitazione, ogni singolo centimetro della sua carne scivolare tra le pieghe della mia. La sua mano poi si posò nuovamente sul mio collo. -Stringi.- Gracchiai e lui sospirò, con l'espressione più seria che avessi mai visto. Chiuse le dita attorno alla mia gola e usò quell'appoggio per uscire ed entrare da dentro di me. Ansimai e tentai di trattenere le grida, ma il piacere era così forte e l'orgasmo così vicino da rendermelo difficile.
Le sue dita tornarono alle mie cosce ed incrementò la velocità con cui conficcare il suo membro dentro di me. Il rumore di pelle contro pelle mi fece provare ancora più piacere e la sensazione di umido e della sua bocca su di me mi fecero arrivare all'apice. -Ahh- Strinse le natiche e buttò indietro la testa, i riccioli si rivolsero contro e chiuse gli occhi. Esplose dentro di me e subito dopo lo seguii, mentre le pulsazioni del suo pene fecero da innesco al mio orgasmo. Mi aggrappai alla sua schiena e lui mi tenne stretta. Ondeggiammo insieme per qualche altro secondo, finché non piegai la schiena sulla scrivania, stremata, e lui sopra di me.
Avevamo il respiro accelerato, l'affanno. Mi sentivo come in paradiso. Tranquilla e felice, vuota.
-Cazzo.- Disse lui a denti stretti, puntando le mani sul legno, guardandomi. -Ti sono venuto dentro.-
Annuii. -Prendo la pillola.-
-Sì, ma non abbiamo usato il preservativo.-
Mi morsi le labbra. -Lo so.-
-Non va bene.- Continuò lui.
-È successo tutto in fretta...- Sussurrai. Lui mi sorrise. -Non ce la facevo più.- Mordicchiò il lobo del mio orecchio, facendomi rabbrividire.

Eppure fuggo                       •A royal love story•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora