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"Io mi chiedo come sia venuta su così! Io non c'entro niente con voi" - urlai contro mia madre.
Abbassai subito la voce guardandomi intorno, sentendomi in imbarazzo.
Ero andata a casa di Antonio dove da più di un mese mia madre abitava, solo per cercare di avere una conversazione con lei una volta per tutte.
"Me lo chiedo anche io! Guardati: stai gridando contro tua madre, mancandole di rispetto! Per non parlare poi degli stracci che hai addosso e che tra un po' ti cadranno di dosso per quanto sei dimagrita" - il tono della sua voce era severo, ma non era più alto del normale.
La sua apparente calma mi infastidiva, perché la collera era parte di me.
"Non cambiare discorso. Io avevo tutto il diritto di sapere cosa stava succedendo... C'è il bisogno di specificarlo? Mamma, ma come fai a non capire quanto sia sconvolgente? Ci sentiamo ogni giorno praticamente e tu credi che sia un dettaglio trascurabile? "- la mia giugulare era gonfia e sotto sforzo e la mia voce era provata, infatti la stavo perdendo.
Stavo utilizzando così tanta energia che la testa girava e di fatti, poco dopo svenni.
Quando aprii gli occhi mi sentii doppiamente delusa. Mia madre non era stata capace di prepararmi acqua e zucchero e alzarmi le gambe per farmi riprendere; subito mi aveva portata in ospedale.
L'infermiera, chiamata nella stanza dall'altro paziente con cui condividevo lo spazio, vedendomi cosciente chiamò la dottoressa.
"Allora, Signorina... Mancini, sì, è la prima volta che sviene all'improvviso? Sua madre era molto preoccupata." - domandò, compilando nel mentre la scheda destinata alla mia diagnosi con le informazioni generiche.
"Mia madre crede che io sia caduta in miseria e che mi faccia di crack solo perché sono dimagrita di cento grammi" -sputai acida, cercando comunque di farle capire la situazione e che no, non c'era di che preoccuparsi.
"Se lei lo consente facciamo un prelievo così controlliamo che tutto vada bene" - mi sorrise servizievole.
"Il problema è la testa, non il corpo" - bisbigliai, giudicando negativamente l'impegno della dottoressa.
Lei corrugò la fronte in cerca di una spiegazione.
"Mia madre e mio padre si sono separati e non mi hanno detto niente, mia madre ha un compagno, ho tradito il mio ragazzo con il padre di mia figlia, ho deluso la mia migliore amica e non riesco a costruire niente con nessun altro poiché sono innamorato del primo ragazzo "- iniziai a piagnucolare, esplodendo.
" Quello cornuto? "- domandò in confidenza, presa dal giro di problemi. Annuii, con la vista annebbiata dalle lacrime.
" Perché non vai in terapia?"- mi propose la donna scrutandondomi con i suoi occhi vigili color nocciola.
"Non ho tempo per lo psicologo! Non ha sentito quanti guai combino? Non ho tempo per vivere come una persona normale" - le diedi di spalle, poggiandomi stesa su un fianco.
"Signorina Mancini, stia calma. Io il prelievo glielo consiglio, mentre è in osservazione chiamo la psicologa dell'ospedale. La mia diagnosi è un esaurimento nervoso. La mente non è meno importante del copro e credo che lei si stia facendo troppo male per essere così giovane" - sentenziò con aria saggia e severa al contempo.
La guardai uscire dalla stanza. Io non volevo parlare con nessuno. Dire tutto ad alta voce avrebbe significato ammettere il fallimento più di quanto avessi già fatto a me stessa.
Il mio unico pensiero era voler risolvere la situazione con Erika. Come potevo riuscirci? Per me era più facile pensare di ottenere il perdono di Luca che quello di sua sorella.
Luca mi amava, aveva pianto per me la sera prima, guardandomi dritto negli occhi.
Lo sguardo di Erika invece era vitreo e non ammetteva che io le rivolgessi parola, né a lei né al resto della ciurma.
Erano relativamente pochi giorni che non ci sentivamo, poiché Luca aveva scoperto delle mie azioni deplorevoli da poco più di una settimana. Ovviamente per questo Erika reagiva così: ferita fresca e bugia antica.
Cercai il gruppo whatsapp in cui c'eravamo tutti.
"Buongiorno ragazzi, oggi è l'Immacolata, quindi se non avete già organizzato con le vostre famiglie vorrei che ci riunissimo tutti e pranzassimo insieme. Fatemi sapere, ho urgenza di parlare con molti di voi"
Andrea e Diego erano a Genova, invece Mario e Gionata in fretta risposero che ci sarebbero stati, anche se quest'ultimo sarebbe andato via prima per passare il resto della giornata con Tano che compiva gli anni un giorno dopo rispetto a lui.
Mirko mi chiese se volessi una mano per fare la spesa.
"Onestamente sono in ospedale, non so a che ora riesco ad uscire, o ve la sbrigate voi o ordiniamo d'asporto. Non so se sono l'unica, ma non mi va di stare fuori di casa, scarterei dunque il ristorante."
Gionata diede il via libera ad occupare casa sua e ad ordinare tutto lui.
Quando Luca iniziò a digitare il mio cuore batteva all'impazzata.
"Perché sei in ospedale?"
Spiegai brevemente che non era niente di cui preoccuparsi ma la sua risposta mi stupí.
"Dimmi dove sei, tanto credo che in ospedale me lo possano prescrivere il Rivotril"
Non infastidita, ma con la voglia di non fargli dimenticare che me l'ero presa e che al contempo ero preoccupata digitai: "Che cazzo ci devi fare con il Rivoltril? E poi chiedi a mia madre dove sono, sarà lieta di risponderti"
Erika poi riprese il mio messaggio:
"A malincuore devo dire che ha ragione, basta Rivotril Luca"
Comparse il messaggio di Luca pochi secondi dopo: "Io che sto realmente scrivendo a Gemma💫💫💫💫" e io sbuffai un "che coglione!"
La psicologa mi aveva raggiunta e aveva confermato la diagnosi della dottoressa: esaurimento nervoso. Se avessi voluto avrei potuto iniziare con le sedute, al contrario avrei comunque dovuto rilassarmi o almeno provarci per il mio bene.
Delle voci interruppero la quiete del reparto e ovviamente erano Luca e mia madre.
Quando lo vidi entrare cercai di sistemarmi al meglio nel letto, ma senza scendervi perché avevo le gambe nude a causa della veste ospedaliera.
Ci stavamo cercando. Non ci respingevamo.
Ciò che temevo era che lui non si stesse amando abbastanza, perché se lui mi avesse tradito io non sarei stata così permissiva.
Volevo che riflettesse, volevo che si tutelasse, volevo che si volesse bene e che non me la facesse passare liscia "solo" perché mi amava.
O forse bastava l'amore?
"Ciao Greta, come stai?" - mi domandò, avvicinandosi per baciarmi le guance.
L'elettricità tra di noi scorreva fluida e io non riuscivo più a rimanere immobile.
Delle immagini di noi riuniti in un atto di passione si fecero spazio nella mia mente, ma li scacciai via, rispondendogli.
"Tutto bene, tu?" - gli riproposi lo stesso quesito, squadrandolo da testa a piedi ma analizzando il viso.
Quando pronunciò un "Io sto una bomba", capii quanto ancora procedessimo sulla stessa lunghezza d'onda.
Le nostre occhiaie regnavano sovrane sul nostro viso, eravamo magri e sicuramente lui come me stava fumando tantissimo senza mai smettere. Entrambi fingevamo di stare bene ed entrambi stavamo bene se stavamo insieme.
"Ansiolitici eh?" - domandai perdendomi in quelle pozze marroni.
Si guardò attorno, intercettando gli occhi di mia madre che come a recepire un messaggio colse l'occasione per andarsene, salutandomi al volo. Tipico.
"Non riesco a dormire la notte da... un po' " - mi confessò, abbassando lo sguardo e rigirandosi i pollici - "I pensieri mi inghiottiscono e Ava mi ha proibito di dormire in studio perché quando mi risveglio nel panico gli faccio prendere uno spavento" - accennò una risata sofferta.
"Sì, lo stesso io però sto assumendo la valeriana così ci vado più chill"- gli riassunsi la situazione.
"E sta funzionando? Mi sto veramente rincoglionendo con le gocce e quando sto male psicologicamente le prendo senza seguire la posologia del medico" - si grattò la nuca, in difficoltà.
"No, non sta funzionando." - risi- "Per risolvere l'ansia dovrei risolvere i miei problemi" - sospirai e guardai in alto cercando di rimandare indietro le lacrime che stavano facendo capolino e che producevano quel pizzicore agli occhi.
"Mi aiuteresti a risolvere con Erika?" - gli presi le mani tra le mie per essere il più convincente possibile.
"Con me non ci vuoi parlare? Non vuoi risolvere? Sto male da quando non sei qui a Milano" - mi rivelò. La voce piatta, come se avesse appena letto la lista della spesa.
"Anche io sto male da quando hai smesso di voler stare con me" - ribattei, cercando di utilizzare il suo stesso tono.
Mi guardò, assottigliando gli occhi.
Mi squillò il telefono e aprii la comunicazione.
"Sì amore, stavi dormendo e non volevo svegliarti. Sono andata alla nuova casa di mia madre stamattina presto e mi sono sentita poco bene, quindi sono in ospedale. No no, niente di grave shalla. Oggi pranziamo con i miei amici. Eh che te devo dì? Se ti vergogni stai pure a casa con mio padre. Ecco, appunto. Ci vediamo, amore" - riattaccai dopo aver parlato con Fede, svegliatosi da solo in una casa vuota.
"Amore?" - alzò un sopracciglio il salernitano.
"Sì, è Federico, l'ho lasciato solo a casa stamattina" - gli raccontai.
"Con quanto è grande e ricca casa tua ti concedi anche di lasciare gli sconosciuti da soli. Non sei normale secondo me" - mi guardò quasi sconcertato, sistemandosi meglio sulla sedia vicina al letto.
"Io non sarei normale? Ma se lui mi ha accolto in casa sua senza farmi cacciare mezza lira per affitto e bollette! Non dovrei fidarmi a lasciarlo solo? Ma che ne sai tu? Dovrei preoccuparmi di cosa? È un cantante affermato, non ha bisogno di rubare o fare magagne di alcun genere! E poi scusa, reputeresti sconosciuta una persona con cui vivi in simbiosi da tre mesi?" - gli feci una sfuriata, interrotta però dalla dottoressa entrata con una ragazza piuttosto giovane al suo seguito.
"Mancini! Lei deve rilassarsi, non peggiorare la situazione! Eh per carità, chi è questo elemento di disturbo?" - si rivolse direttamente a Luca, abbassandosi gli occhiali per poter inverosimilmente inquadrarlo meglio.
Luca, però, prese la mano della ragazza e dopo averle fatto il bacia mano, si presentò.
Sembrava inopportuno mandarlo a fanculo?
" Sai, ti seguo molto come artista. State di nuovo insieme?" - chiese la bionda, senza giri di parole.
"No no, non stiamo insieme. Comunque potremmo procedere? Altrimenti mi reco da un laboratorio d'analisi privato" - cercai di chiudere lì quel discorso, risultando sicuramente acida.
La specializzanda mi fece il prelievo e mi disse che avrei potuto ritirare i risultati il giorno dopo, ma se ne sarebbe occupata mia madre poiché in serata sarei tornata a Roma.
"Sei senza macchina come al solito?" - mi chiese Luca, facendo scorrere lo sguardo lungo le mie gambe mentre mi rivestivo.
"Hai perso due taglie di tette soré" - commentò poi, accorgendosi che il dolce vita non aderiva come avrebbe fatto l'inverno precedente.
"Fatti i cazzi tuoi. E comunque ovvio che sono senza macchina, non è che potevo guidare da svenuta, che ne pensi?" - lo feci riflettere, dato che non lo faceva mai.
"Quindicimila euro di regalo buttati!" - si lamentò, rinfacciandomi il regalo per il mio compleanno.
"Te la puoi pure riprendere, non mi faccio comprare con i regali di alcun genere. Dalla a Naomy se vuoi, visto che ti sta pure chiamando" - feci cenno con il mento al suo cellulare depositato sul comodino, che si era illuminato mentre raccoglievo i miei effetti personali.
Mi mise una mano sulla spalla, volendo un confronto.
Mi ritrassi e lui si arrese, ingoiando il magone.
Uscii dalla porta e mi seguí. Entrò però in uno degli uffici e ritirò la ricetta e i medicinali.
Doveva proprio stare di merda. Era sempre stato paranoico e ansioso, ma a livelli comuni. Al massimo fumava fuori dalla dose normale, ma mai aveva preso gocce o pillole.
La cosa peggiore era sentire il nostro rapporto così cambiato da non avere nemmeno il coraggio di approfondire la questione.
Ormai era lui la mia guida e lo seguii fino alla sua macchina.
Tutte le volte che avevamo scopato sui sedili posteriori si materializzarono davanti ai miei occhi, portandomi ad osservarlo.
Il suo profilo era perfetto e il tatuaggio sulla parte destra della fronte gli donava, al contrario della croce sull'altro lato.
Al primo momento utile gli avrei detto che mi faceva proprio schifo e che doveva smetterla di tatuarsi come passatempo. Ma dopotutto, che autorità avevo? Non ero più nessuno.
La situazione era surreale: eravamo nella stessa auto ma le parole mi morivano in gola e lo stress era alle stelle. Il senso di spossatezza non mi abbandonava. Abbassai il finestrino per respirare un po' di ossigeno.
La sua voce mi distolse dai miei innumerevoli e sempre uguali pensieri: "Non fare la sostenuta, parlami!" - mi rimproverò, ma sapevo che era più una supplica.
"Mi fa schifo il tatuaggio della croce, rimuovilo, veramente" - sbottai, innervosita.
"Tu sola sai se è vero o no che credo in Dio" - canticchiò e scossi la testa quando stava per poggiare la sua mano sulla mia coscia.
"No, davvero, no. Chiama la tua tipa e riservale tutte queste smancerie." - lo ammonii, non guardandolo negli occhi, ma continuando a tenere lo sguardo fisso sulla strada che scorreva. Eppure, lui si fermò e accostò in un vicolo più isolato, fuori dal centro.
"Ma mi spieghi che problemi hai? Ti sto dicendo in modo ormai esplicito che non me ne frega un cazzo se ti sei scopato un mio amico, se mi hai praticamente tradito! E ti comporti così? Dimmi che non mi vuoi! Urlamelo dritto in faccia e non si torna indietro!"- gridò ad un palmo dal mio naso, prendendomi per le spalle e scuotendomi.
Onestamente, ero piuttosto spaventata perché non lo avevo mai visto così arrabbiato.
"Sei tu che non mi vuoi! Mi hai abbandonato alle mie paranoie in una città gigante e nuova, dove non conoscevo nessuno e l'unica cosa in cui riponevo le speranza era la tua promessa di amore e vicinanza! Complimenti, eh! E io non ti ho mai tradito, la carne è debole ma il mio amore per te è sempre rimasto invariato! Come al solito, nemmeno volevo stare con un bambino come te e mi son trovata fregata. Un classico, praticamente "- scesi dalla macchina, sbattendo la portiera con tutta la forza che quasi temevo lo sportello potesse staccarsi.
Mi poggiai di tutto peso sullo scheletro dell'automobile, iniziando a piangere come spesso accadeva in questo periodo.
"Non fare l'isterica che veramente mi incazzo il doppio, Greta. Non venirmi a parlare di sentimenti rimasti immutati che se per te non fosse stata una cosa da nascondere o di cui vergognarti mi avresti detto il secondo dopo che ti eri scopata quel coglione patetico che dopo anni aspetta e spera ancora! Intendo dire, abbiamo scopato con un'altra donna a Parigi; semplicemente, con Gionata non è stato un semplice atto, aveva un peso e un'importanza per te e ti sentivi in colpa indipendentemente da come ti sei comportata in seguito. E ti dirò di più! Hai iniziato ad essere la fidanzata perfetta solo perché ti facevo pena e ti sentivi in colpa. Ecco tutto! "- continuò con la sua pioggia di parole, mentre all'improvviso sembrava essere diventato di venti centimetri più alto di me e io mi sentivo piccola e insignificante.
Mi conosceva e aveva centrato il bersaglio. Ogni sua frase era corretta, eccetto l'ultima.
"Non sparare cazzate ai quattro venti! Se mi sono avvicinata maggiormente a te è stato solo perché avevo capito che ti amavo e che eri la così tanto agognata dolce metà. È stata semplicemente la prova del nove. Ma forse mi sbagliavo se siamo arrivati a questo punto."- lo spintonai e istintivamente la mia mano si alzò per entrare in collisione con il suo viso.
Lui prontamente la fermo, bloccandomi il polso e tenendolo sospeso in aria.
" Se ti sbagliavi perché senti la costante necessità di tirare in ballo Naomy? Non ci sto insieme, cretina" - si avvicinò pericolosamente al mio viso, arrivando a sussurrare.
I brividi costellarono la mia pelle e abbassai lo sguardo, inumidendomi le labbra in soggezione.
Portò la mia mano sulla sua guancia e quello che doveva essere uno schiaffo mutò in una carezza.
Una canzone mi venne in mente, i cui versi recitavano:
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Ne è valsa la pena - Capo Plaza
Fanfiction#4 in sferaebbasta e #3 in capoplaza il 23/04/2021 Greta e Gionata sono diventati migliori amici quando avevano solo pochi anni e il loro rapporto non ha mai smesso di essere affiatato. Quando il loro più grande segreto non può più essere custodito...