Capitolo 49

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ISTANBUL - Primavera 2009

 Era da più di un anno che Sanem si era trasferita ad Istanbul per seguire all'università un corso di scrittura creativa, ma ancora non si era ambientata.

Faceva fatica a fare amicizia e la città era troppo caotica per i suoi gusti. L'unica persona, con la quale si può dire avesse legato, era Serdar che aveva conosciuto proprio all'università. Con lui stava bene: era intelligente, spiritoso e soprattutto non si aspettava nulla da lei a differenza degli altri ragazzi che avevano cercato di avvicinarla.

Avevano cominciato a frequentarsi, come amici, ma poi poco a poco le cose erano cambiate. Lui aveva cominciato a prenderla per mano, a salutarla con un bacio, prima sulla guancia poi a fior di labbra e lei lo aveva lasciato fare, perché quelle attenzioni la facevano sentire amata e meno sola. Non aveva mai, neppure lontanamente, pensato che le cose tra di loro potessero andare oltre. Invece era accaduto.

Era successo alla festa di fine corso.

Avevano ballato, bevuto qualche bicchiere, ma senza ubriacarsi, riso; insomma si erano divertiti com'è normale che sia quando si festeggia. Poi lui l'aveva riaccompagnata al suo alloggio, presso la casa dello studente e avevano finito col fare l'amore.

Per Sanem era la prima volta, quella che avrebbe tanto voluto condividere con Can....ma lui se ne era andato e non aveva mai risposto a nessuna delle sue lettere..

Alla fine si era ritrovata di nuova sola e con un bambino in grembo. Quando Serdar aveva appreso la notizia si era arrabbiato, l'aveva insultata e le aveva ordinato di abortire. Sanem aveva rifiutato e lo aveva cacciato. Da allora non si erano più visti.

In un primo momento aveva pensato di tornare a casa, ma poi aveva scartato l'idea. Non poteva deludere in quel modo suo padre che l'aveva educata secondo i rigidi principi della cultura turca, principi, tra l'altro, in cui lei credeva ma che aveva miseramente tradito in un momento di leggerezza.

Aveva trovato un lavoro nella biblioteca pubblica di Istanbul e si era trasferita in un monolocale nelle vicinanze. Con quello che guadagnava e quello che le mandava Nihat, con un po' di accortezza, riusciva a tirare avanti. Sapeva che prima o poi doveva metterlo al corrente del proprio stato ma ancora non aveva trovato il coraggio di farlo.

Poi una notte si era svegliata con forti dolori al basso ventre accompagnati da perdite di sangue. Terrorizzata si era recata in ospedale e lì le avevano comunicato che il suo bambino non c'era più.

Aveva sofferto perché aveva cominciato ad amare quel bambino che non aveva cercato ma che Allah le aveva mandato.

Aveva trasferito su di lui tutto l'amore che sentiva nel cuore e già si immaginava mentre gli cantava la ninna nanna per farlo addormentare, o lo portava al parco o ancora gli leggeva delle storie, ma, adesso, anche quel sogno, come tutti gli altri, era finito.

Per giorni si era sentita in colpa. Si riteneva responsabile per averlo perduto, nonostante i medici la tranquillizzassero dicendole che aborti del genere erano abbastanza frequenti alla prima gravidanza.

Poi poco a poco il dolore era passato, la ferita non sanguinava più ma la cicatrice sul suo cuore sarebbe rimasta in eterno. Allah l'aveva punita e lei doveva accettarlo!



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