CAPITOLO VENTICINQUE-seconda parte

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Siamo così sommersi di lavoro che la settimana sta decisamente volando, Pierre passa l'intera giornata a consigliare, impacchettare e battere scontrini, mentre io non alzo la testa dalla macchina da cucire da quando arrivo a quando chiudiamo, se non per alzarmi a pranzare quella mezz'ora.

È già giovedì e visto che domani partiamo per il compleanno di Max, io e Pierre abbiamo deciso di andare a comprare il regalo prima di andare alla mostra di Paul Poiret.

Prima di accendere la macchina da cucire compongo il numero del mio amico e lo chiamo.

<<Pronto>>, la sua voce sembra assonnata.

<<Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri all'argentino più bello e simpatico del mondo, tanti auguri a te>>, canticchio.

<<Mi princesa, nessuno mi aveva mai cantato la canzoncina al telefono, ecco perché sei così speciale>>.

<<Buon compleanno>>, dico nel tono più dolce che riesco a fare.

<<Grazie splendore, non vedo l'ora che sia domani>>.

<<Anche io. Ora devo scappare al lavoro, ti voglio bene>>.

<<Ti voglio bene princesa>>, e prima di riattaccare mi manda un bacio.

Sto per rimettere il cellulare in tasca quando lo sento vibrare, è un messaggio, lo apro e provo quel famoso brivido lungo la schiena.

"Ti penso".

Alexandre mi ha mandato una foto, alla fiera dove si trova c'è un artista che sta dipingendo Audrey Hepburn. Alla cena di beneficenza qualche settimana fa avevo comprato un quadro con rappresentata lei, e a quanto pare se lo ricorda ancora.

In questi giorni ci siamo sentiti qualche volta, mi ha scritto lui per primo, dicendomi:

"Come sta andando senza il tuo vicino di casa preferito?".

Da quel messaggio ci siamo sentiti tutti i giorni, a volte un po' di più a volte un po' meno, ma ci siamo cercati, lui mi ha cercata.

Riguardo la foto che mi ha appena mandato, è un disegno magnifico, non è un vero e proprio ritratto, è stilizzata, in bianco e nero, l'artista è stato davvero bravo.

Gli rispondo veloce prima di rimettermi al lavoro, mi mancano ancora cinque capi da finire prima di chiudere, e devo impegnarmi davvero per farcela.

<<Come mai hai quel sorriso?>>, Pierre fa capolino della stanza.

<<Non so di cosa parli>>, fingo, e copro la sua voce con il rumore della macchina da cucire.

A passo svelto mi raggiunge e si avvicina alla mia orecchia, <<era lui vero?>>.

<<Può darsi>>, rido.

<<Avete fatto pace?>>, mi domanda felice.

In questi giorni siamo sempre stati così presi dal lavoro da non avere tempo di chiacchierare, non sa del fatto che è venuto da me lunedì, né che ci stiamo sentendo.

<<Siamo sulla buona strada>>, rispondo, poi gli racconto della cena e dei messaggi che ci stiamo scambiando in questi giorni.

<<Lo sapevo, sapevo che alla fine sareste tornati insieme>>, batte le mani euforico.

<<Non stiamo insieme, siamo... amici>>.

<<Sì, amici. Voglio vedere cosa succederà appena rimarrete soli>>.

A Parigi ho capito cos'è l'amore.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora