CAPITOLO TRE

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"Io non sono un sarto, ma un fabbricante di felicità"

Yves Saint Laurent





Mi sono addormentata prestissimo e stamattina mi sono svegliata due ore prima che suonasse la sveglia, sono così riposata che non vedo l'ora di mettermi a lavorare.

Preparo una tazza di latte di cocco e cereali al cacao, mi siedo sullo sgabello in cucina e fisso il foglio di carta mentre tengo la matita in mano. Come sempre la mia mano inizia a muoversi da sola, sembra quasi avere una vita tutta sua, e quando finisco la colazione strappo il nuovo bozzetto dall'album e lo metto sul tavolino in salotto assieme a tutti gli altri. Conservo i miei disegni da sempre, non ne ho mai buttato nemmeno uno, possono sempre tornare utili, le ispirazioni non sono mai abbastanza.

Una cosa certa però, è che se non mi decido a sistemare quel tavolino prima o poi crollerà tutto.

Mi faccio una doccia e asciugo i capelli, poi come tutte le mattine, rimango ferma a fissare la cabina armadio indecisa su cosa indossare. Opto per una gonna in jeans nera, calze nere, maglione nero e cappotto lungo grigio. Lego i capelli in una coda di cavallo e finisco il trucco con il rossetto scarlatto, mi infilo un paio di stivali biker che non uso da un po' di tempo ed esco di casa.

La prima voce da spuntare dalla lista di cose da fare oggi è comprare le tende per l'atelier, ho già un'idea su come le voglio, ma sono sicura che alla fine prenderò qualcosa di diverso da come lo immaginavo, va sempre a finire così.

Il negozio dove pensavo di andare oggi è chiuso, e per arrivare all'altro che avevo adocchiato devo prendere un taxi, se voglio risparmiare ore di camminata. Il tassista mi lascia proprio di fronte all'entrata, già in vetrina vedo qualcosa che mi piace, entro subito e inizio a girare tutte le corsie.

Dopo circa due ore vado in cassa con le tende che avevo avvistato in vetrina appena arrivata. Sono bianche in tessuto leggero, quasi trasparente con dei disegni astratti ricamati a mano, tono su tono. Già le immagino appese nel laboratorio di sartoria, sono sicura che daranno quel tocco in più che manca ora.

Ringrazio la commessa per la pazienza ed esco dal negozio.

Dopo aver preso un altro taxi per tornare a casa, salgo in appartamento a prendere le chiavi dell'atelier che avevo come sempre dimenticato e mi dirigo a piedi, è quasi mezzogiorno ma preferisco finire di sistemare le tende prima di fermarmi per pranzo. Sono quasi arrivata quando sento il telefono squillare, lo sfilo dalla tasca del cappotto e rispondo.

<<Pronto?>>.

<<Ciao Penelope sono Aubree. Ti chiamo per avvisarti che sono arrivati in studio i campioni per le cornici, ti va di passare a selezionarne alcuni che ti piacciono?>>.

<<Ciao Aubree, molto volentieri. Wow è stato velocissimo>>, dico, non vedo l'ora di vedere come potrebbero essere e accetto subito il suo invito.

<<Quando posso passare?>>.
<<Io sono in studio anche adesso, se non hai impegni ti aspetto, ti piaceranno ne sono sicura>>.

<<Perfetto, sono già in strada, tempo mezz'ora e sono da te, a dopo Aubree>>, la saluto e riattacco.

Mi avvio verso lo studio fotografico a piedi, stamattina Parigi è ancora più bella con la luce di questo bellissimo sole autunnale. Come sempre mi godo ogni angolo, e nonostante io sia già qui da tre mesi non perdo mai l'occasione di fermarmi a guardare tutti i nuovi posticini che scopro ogni giorno.

Allungo il passo per non fare aspettare Aubree per altro tempo, visto il mio ritardo di dieci minuti. Quando arrivo davanti allo studio busso, ma nessuno mi apre. Dopo qualche minuto provo a suonare il campanello, ma di nuovo nessuna risposta.

A Parigi ho capito cos'è l'amore.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora